Era passato un anno dalla sua assunzione come portiere. Un anno trascorso abbastanza in fretta e, tutto sommato, piacevolmente. Sia gli inquilini che l'amministratore erano contenti di lui, l'unica che si lamentava era, neanche a dirlo, la vedova Ravera, ma quella non era mai contenta di nulla.
Il giudice Gamberali si fermava abbastanza spesso a scambiare due parole con Fausto, di cui ammirava l'indole riflessiva e la cultura che si era fatto da solo leggendo molto e riflettendo. Fausto, da parte sua, ne apprezzava particolarmente l'equilibrio e la semplicità con cui affrontava anche argomenti complessi.
"Non si sente solo, signor giudice?" gli chiese una volta Fausto.
"No. A parte il fatto che io sono sempre stato molto bene sia in compagnia che solo con me stesso... solitamente ho anche troppe cose da fare, per potermi sentire solo. Qualche volta vengono a trovarmi o mi invitano i miei figli, qualche volta viene anche a trovarmi qualche amico. Credo che chi si sente solo è colui che non sta bene con se stesso. Diciamo che mi so tenere compagnia." rispose sorridendo il giudice.
Un'altra volta Fausto chiese al giudice: "Lei, che cosa ne pensa della religione? Io ho un atteggiamento ambivalente, da una parte mi affascina, dall'altra mi... infastidisce."
"Quando parla di religione, immagino, si riferisce al cattolicesimo, o comunque al cristianesimo, giusto?"
"Sì..."
"Mah, vede, ogni religione organizzata si basa su una serie di norme: spirituali, cioè che cosa devi credere per esserne parte; sociali, cioè quale deve essere il tuo rapporto con altri che condividono la stessa religione o che non la condividono; e infine fisiche, cioè cose da farsi o non farsi. La religione è quindi un complesso di norme, di pratiche, di riti e di credenze per mezzo dei quali l'uomo vuole mettersi in relazione con una realtà che egli considera divina, sacra, o comunque superiore."
"Forse sono proprio le norme quelle che meno mi piacciono."
"Ma vede, Fausto, qualunque società cessa di esistere se non si dà norme. La norma in sé è necessaria. Però, quello che non mi piace molto nelle norme, è la normativa negativa."
"Cioè?"
"Guardi il decalogo: quante volte inizia con un: non devi... Ad esempio, non uccidere."
"Mi sembra importante..."
"Si avrebbe lo stesso risultato, ma con una positività molto più grande, se invece dicesse: rispetta la vita. Non rubare, sarebbe meglio espresso e molto più valido in un: rispetta i beni altrui. Non commettere atti impuri, avrebbe tutt'altro valore dicendo: vivi una vita pura. Eccetera."
"Beh, ma ci sono anche precetti positivi, come: onora tuo padre e tua madre."
"Sì, è vero, ma perché non anche onora la tua sposa, i tuoi figli... e tutti gli altri? E ricordati di santificare le feste, non sarebbe più valido con un: ricordati di santificare ogni giorno della tua vita? E come giudice, uno mi interessa in particolare: non dire falsa testimonianza; a mio avviso sarebbe più completo se fosse formulato come: sii sempre sincero."
"Esiste una religione che abbia solo precetti positivi?"
"Temo di no, perché in ogni religione organizzata vi sono necessariamente alcuni che hanno un potere, sia pure solamente spirituale, sugli altri, siano essi chiamati preti, o sciamani, o maestri, o pastori, o come si vuole. E chi ha il potere, si preoccupa soprattutto di mettere dei paletti fatti appunto di divieti, di 'non fare'."
"Per conservare il proprio potere?"
"Non necessariamente. Molti, credo, lo fanno in buona fede, perché si sentono investiti di una responsabilità, venga questa dal loro dio o dai fedeli della comunità. Vede, anche i genitori, troppo spesso, indicano ai figli quello che 'non' devono fare, invece di quello che è bene che facciano."
"Anche lei con i suoi figli ha agito così?" gli chiese Fausto.
Il giudice Gamberali sorrise: "Temo di sì, anche se ho cercato di evitarlo."
Un'altra persona con cui a volte faceva qualche chiacchierata era Nestore Grasso, l'inquilino dell'ottavo piano della scala B. Questo era un single di quarantadue anni, aveva un negozio di abbigliamento maschile, cose piuttosto belle, moderne, griffate e non. Fausto c'era andato un paio di volte a comprare qualche capo, e Nestore gli aveva fatto ottimi sconti, senza che lui li chiedesse.
Nestore aveva due commessi, giovani e carini, che si chiamavano Dino e Angelo, e Fausto ebbe l'impressione che, soprattutto con Dino, avesse un rapporto un po' più che professionale e si chiese se per caso fra quei due... Poi si disse di non malignare, e non ci pensò più. Quando era andato nel suo negozio era sempre stato Nestore a servirlo, e se per caso stava già servendo un altro cliente, lo affidava a uno dei commessi per occuparsi personalmente di lui.
Con Nestore non aveva mai avuto discussioni come quelle con il giudice Gamberali. Forse anche per il suo lavoro, si parlava più spesso di moda, di stili, di colori e così via, anche se non solo di quello.
Una volta si erano incontrati nel giardino posteriore della casa e c'erano anche i tre piccoli Donato che giocavano e scavallavano assieme, sorvegliati dalla madre che leggeva una rivista.
Nestore gli aveva detto: "Quei tre piccoli mi piacciono perché sono vivacissimi, eppure gentili e obbedienti. Se non altro per avere figli così, varrebbe la pena di sposarsi."
"Spesso si apprezzano i piccoli quando sono figli degli altri, perché non se ne ha la responsabilità e non si vive con loro giorno dopo giorno." gli fece notare Fausto.
"Ha ragione, comunque quei tre sono deliziosi. Guardi il grande come si prende cura del piccolo... e comunque quanta armonia c'è fra i tre. Mi sarebbe piaciuto avere fratelli."
"Io li ho... tre fratelli minori... eppure sono ben contento di non avere più contatti con loro, mi creda."
"Forse ognuno di noi invidia la situazione degli altri... proprio perché non è la sua, perché non la vive." disse Nestore. "Lo stesso accade per il lavoro: a molti sembra che il lavoro degli altri sia migliore del proprio, meno pesante, più ben pagato eccetera... proprio perché non lo fa. Dall'esterno se ne vedono solo gli aspetti positivi, ma quando uno lo fa, si accorge anche degli aspetti negativi."
Anche a lui, Fausto chiese: "Non si sente solo, a volte?"
"Sì... a volte sì. Forse anche per questo mi piace avere il negozio, perché, oltre ai miei due commessi, ci sono i contatti con i clienti e... e questo lenisce abbastanza il senso di solitudine."
"Sembrano due ragazzi in gamba i suoi commessi." notò Fausto.
"Sì, abbastanza. Soprattutto perché a tutti e due piace fare il loro lavoro. Angelo inoltre è molto ordinato, il che in un negozio non guasta. Dino ha più abilità nel vendere, nonostante sia più giovane di Angelo."
"Lavorano da molto con lei?"
"Angelo da sette anni, cioè da quando ho aperto il negozio, e Dino da tre. Prima avevo un altro ragazzo, ma davvero non sapeva vendere. Così l'ho licenziato e ho cercato un nuovo commesso e ho avuto la fortuna di conoscere Dino."
"Sembra un ragazzo dal carattere assai piacevole." disse Fausto.
"Sì, lo è. Anche Angelo, onestamente, ma Dino mi piace di più. Angelo a volte è un po' troppo pignolo, un po' troppo... precisino. Comunque non mi posso certamente lamentare di nessuno dei due. Ognuno ha i suoi talenti."
"Quanti anni ha, Dino?"
"Credo la sua età, ne ha ventisei."
"Ah, soltanto uno meno di me. Mi sembrava più giovane."
"Sì, è vero. È a causa di quel suo faccino pulito, degli occhi azzurri, e perché è castano chiaro, quasi biondo. Ha mai notato che i biondi sembrano più giovani dei mori?"
"Non ci avevo mai fatto caso... ma credo che sia come dice lei. Non li conosco bene, ma mi sembrano entrambi persone assai gradevoli, specialmente Dino." insisté Fausto, che continuava a pensare che forse fra il signor Nestore e quel Dino ci potesse essere una relazione.
"Sì, specialmente Dino." commentò l'uomo con un lieve sorriso.
Fausto dovette tornare alla guardiola. Salutò Nestore e i Donato e rientrò. Il pomeriggio trascorse regolarmente. A sera, mentre stava abbassando le veneziane sui vetri della guardiola, rientrò Serse Jacovoni.
"Ciao, Fausto." lo salutò.
"Ciao. Oggi sei tornato a casa prima del solito."
"Sì. Un periodo di calma, nello studio di mio padre. Abbiamo consegnato ieri l'ultimo lavoro e papà con Silvia stanno impostando quello nuovo. In certi periodi ne abbiamo anche tre o quattro contemporaneamente, in altri, come questo, no. Ceni in casa, Fausto?"
"Pensavo di sì, ma devo ancora cucinare."
"I miei sono a cena fuori con il cliente. Io pensavo di andare a farmi una pizza qui vicino, da Ferruccio. Ti andrebbe di venire a mangiare qualcosa con me?"
"E perché no? Dammi il tempo di sistemare e vengo."
Così, commutata la pulsantiera, cambiate le cassette ai monitor, chiuse a chiave e uscirono assieme. La pizzeria non era troppo affollata. Scelsero un tavolo e ordinarono.
"Sai, Fausto, all'ultima riunione di condominio papà ha mandato me, perché lui ed Elisa erano occupati. Erano tutti molto soddisfatti di avere te come portiere."
"Anche la signora Ravera?" chiese il giovanotto con un lieve sorriso divertito.
"Non si è lamentata di te, perciò direi di sì. La Ravera non l'ho mai sentita dire niente di positivo, perciò se non dice nulla di negativo è già un buon segno. Il giudice Gamberali è comunque il più entusiasta del tuo lavoro. Ha avuto parole molto belle nei tuoi confronti. E anche la signora Gerbino."
"E tu?"
"Io, cosa?"
"Hai parlato bene di me?"
Serse sorrise: "Beh, tu mi sei simpatico. Mi ricordi il mio più caro professore, quello di tecnica fotografica. Non fisicamente, ma come carattere. Oltre a essere un ottimo insegnante, era quello con cui avevamo quasi tutti il miglior rapporto. Con lui, fuori dall'aula, potevi parlare di qualsiasi cosa, confidarti, chiedergli consiglio. Era sempre pronto ad ascoltarti, a darti un parere, una mano. Era anche l'unico professore a cui potevamo dare del tu, nonostante non fosse dei più giovani."
"Io non ho nessun professore che ricordo con altrettanto piacere. Non che non abbia avuto buoni insegnanti, ma con nessuno c'era un rapporto più che da studente a professore. Facevano il loro lavoro, magari anche bene, e basta. Beh... a parte uno, a dire il vero, che però... senza volerlo mi ha messo nei guai con la mia famiglia."
"Il professor Carlini era molto più di un insegnante per noi. Quando avevo sedici anni... mi ha aiutato molto... a capirmi, ad accettarmi. Sai, quando si è adolescenti... i genitori non bastano più, in un certo senso, e allora si ha bisogno di un altro adulto con cui confidarsi, a cui appoggiarsi. Io l'ho trovato nel professor Carlini."
"Credo che l'adolescenza sia l'età più difficile, perché avvengono i più grandi cambiamenti... e non solo fisicamente."
"Sì, proprio così. È l'età in cui ti senti al tempo stesso onnipotente e fragilissimo. Non sei più un bambino ma non sei ancora un adulto. Né carne né pesce. Soprattutto sul piano sessuale, che è quello su cui meno puoi confrontarti, confidarti con i tuoi."
"È vero. Anche per me è stato così. Forse proprio su quel piano ci si sente più vulnerabili."
"Il fatto è che io... mi sentivo così lontano, così... inadeguato rispetto ai miei coetanei, ai miei compagni. Ho cominciato a sentirmi così appena entrato nelle superiori e più i mesi passavano, più mi sentivo strano. Era come se la società, la famiglia mi presentassero un unico modello a cui non mi sentivo di appartenere. Stavo diventando cosciente di essere diverso... ma diverso, come?"
"Già, credo di poterti capire, Serse. Anche a me è capitato qualcosa del genere. Ed è brutto, perché se da una parte vorremmo essere diversi dagli altri, dall'altra vorremmo anche essere come gli altri, per essere accettati."
"Proprio così: il timore di non essere accettati. Vedi, io trovavo che i miei compagni di classe erano troppo aggressivi, ma al tempo stesso non è che mi trovassi meglio con le compagne, troppo diverse da me. Mi sentivo escluso dagli uni e dalle altre, anche se in realtà non erano loro a escludermi. Però non ero neanche io a voler essere escluso, diverso."
"Sì, ci sono passato anche io."
"Ero turbato... Come conseguenza, ho cominciato a rendere meno a scuola, nonostante cercassi di impegnarmi come prima. Avevo sedici anni, come ti ho detto, quando il professor Carlini s'è accorto che c'era qualcosa in me che non andava. Allora, come sempre, prendendo il discorso molto alla larga, pian piano è riuscito a farmi sbottonare. Con lui, sentivo di poterlo fare: di lui mi fidavo, sapevo che non mi avrebbe giudicato, condannato, preso in giro. Sapevo che qualsiasi cosa gli avessi detto, lui avrebbe cercato di capirmi e di aiutarmi a capire me stesso."
Fausto sentì che Serse stava tentando di dirgli qualcosa ma non sapeva ancora fino a che punto potesse confidarsi con lui e soprattutto fidarsi di lui. E pensò che forse proprio per quello gli avesse proposto di andare a mangiare la pizza insieme.
"Nessuno dovrebbe mai prendere in giro, giudicare o condannare un altro. Anche io avevo una sensazione di paura... o almeno di inquietudine, riguardo a me stesso, e anche io l'avevo superata proprio grazie al fatto di essermi aperto con un professore... che mi ha aiutato a capire che non ero... strano, mal fatto." disse Fausto. "Per questo poi ho trovato il coraggio di parlarne con i miei... che però non solo non mi hanno accettato, ma mi hanno reso la vita impossibile, tanto che appena ho compiuto diciotto anni me ne sono andato via da casa, come t'ho raccontato."
"Per me, fortunatamente, è stato diverso. Mio padre mi ha accettato. Mia sorella meno, ma proprio per l'accettazione da parte di mio padre, ha dovuto... adeguarsi. Adesso anche per Elisa non è più un problema il fatto che sono... gay."
Ecco, l'aveva detto. Mentre lo diceva guardò dritto negli occhi di Fausto, come per valutarne la reazione. Fausto sorrise e annuì.
"Nonostante sembri che oggi sia meno difficile per un gay che una generazione fa, abbiamo ancora un sacco di problemi. Non siamo ancora pienamente accettati. Ci sono ancora forti pregiudizi contro di noi, barriere di ogni tipo." disse Fausto. "Pensa, per esempio, se io mi facessi un ragazzo e lo volessi portare a vivere con me... come credi che reagirebbero i coinquilini dello stabile? A parte la signora Ravera, quanti altri non si... scandalizzerebbero?"
"Molto pochi. Specialmente nel tuo caso, nella tua posizione. Per me sarebbe più facile che per te portarmi a casa il mio compagno e vivere con lui."
Ora che si erano confidati l'un l'altro di essere entrambi gay, si sentivano più liberi, più sereni. Serse raccontò a Fausto come avesse capito di essere gay.
"Avevo tredici anni, quando cominciai a capire di non essere come gli altri ragazzi. Tutti facevano battute su quello che gli sarebbe piaciuto fare con questa o quella ragazzina, e come gli veniva duro solo a pensarci e... Ma io mi accorgevo che per me era diverso e che a me piuttosto veniva duro a pensare a certi miei compagni già più ben sviluppati di me.
"Anche se era già il 1999, e benché se ne parlasse sui giornali e alla TV, quindi non potevo dire di essere del tutto digiuno su cosa significasse essere gay, la cosa m'aveva turbato. Sentivo attorno a me la disapprovazione, il disprezzo o anche solo l'ironia che circondava e ancora circonda i gay. Anche perché alla TV spesso facevano vedere gente come Platinette, o comunque gay più o meno effeminati ed io non mi sentivo affatto né effeminato né femminile.
"Sentivo le dichiarazioni di sarcasmo di certi uomini politici, quelle di condanna della chiesa, e anche la confusione della gente fra pedofili e gay... eppure io non mi sentivo neanche un pedofilo, nel senso che non guardavo mai ragazzini più giovani di me, quindi... Tutto questo non faceva che creare dentro di me una crescente confusione.
"Poi a quattordici anni mi sono iscritto alle superiori, all'istituto per grafici pubblicitari come voleva mio padre e come piaceva anche a me. Lì c'erano ragazzi più vecchi di me, e io letteralmente morivo dietro a qualcuno dei miei compagni più grandi. Chiaramente non avevo il coraggio di farglielo capire, e mi accontentavo di sognarli, di desiderarli... anche se logicamente nessuno di loro pareva accorgersi di me. E soprattutto, mi pareva di essere l'unico con quel problema.
"È brutto, a quattordici anni, sentirsi unici, specialmente in quel senso. Credo che sia un po' come dovevano sentirsi i figli dei divorziati venti, trenta anni fa. E soprattutto, il problema era non potersi confidare, confrontare con nessuno. Avevo un caro amico, e già pensavo che forse avrei potuto rischiare ad aprirmi con lui, ma un giorno fece apprezzamenti sarcastici e pesanti sui 'culattoni' e capii che non potevo certo dirlo a lui... Neanche a lui!
"È stato un vero inferno, credimi, man mano che crescevo, il fatto che i miei impulsi verso altri ragazzi si facevano più forti, più urgenti e che mi sentivo come... prigioniero. È stato allora che ho deciso che non potevo andare avanti così e che, quando il mio professore ha capito che in me c'era qualcosa che non andava, mi sono confidato con lui. Per me è stata una vera liberazione poterne parlare ed essere capito, accettato, anche consigliato."
"Già, anche per me... anche se poi, quando ne ho parlato in casa, è scoppiato l'inferno." commentò Fausto.
"A me è andata bene, invece. A quel punto ho deciso di parlarne con mio padre. Era una domenica ed eravamo andati, lui e io da soli, a pescare. Elisa era altrove con le sue amiche. Così, mentre si stava fianco a fianco con le nostre canne da pesca ad aspettare che qualche pesce abboccasse, l'ho detto a papà. Lui m'ha detto che ne era stato tutt'altro che sicuro, ma che aveva pensato che potesse essere così. Mi chiese se avevo già avuto qualche... esperienza con un ragazzo o con una ragazza. Gli dissi di no, perché le ragazze proprio non mi attraevano per nulla e non conoscevo nessun ragazzo come me.
"Parlammo molto a lungo... La cosa che mi stupiva e che mi sollevava, era come papà ne parlasse con me come se fosse la cosa più naturale di questo mondo, proprio come ne avrebbe parlato se gli avessi detto che mi piacevano le ragazze. Mi dette molti consigli, sia sul sesso sicuro, sia sui pericoli di brutti incontri, che sul lato affettivo. Mi ricordo che mi sentivo come se... come se m'avessero amnistiato. Di nuovo libero, nonostante i problemi che indubbiamente ci sono per quelli come noi.
"Essere così pienamente accettato da mio padre fu qualcosa di molto bello e se già prima avevo preferito restare con lui, quando s'era separato da mia madre, ora ne ero anche più lieto. Però a questo punto desideravo più di prima trovare un compagno, un amico con cui poter esplorare la mia sessualità.
"Una domenica, dopo essere andato a trovare mia madre assieme a Elisa, lei aveva deciso di rientrare già la mattina perché doveva trovarsi con alcune amiche, così nel pomeriggio andai da solo alla stazione per prendere il treno. Notai un bel ragazzo sui diciotto, venti anni, alto, moro, che mi guardava con speciale intensità, tanto che mi chiesi se per caso ci si conosceva...
"Poi lui mi si avvicinò e mi chiese a che ora avevo il treno. Quando gli dissi che era dopo mezz'ora, mi chiese se non potevo prendere quello dopo, perché gli sarebbe piaciuto molto poter passare un po' di tempo con me. Mi sorrideva e mi fece capire, con un giro di parole abbastanza chiaro, che cosa volesse da me... Mi sentii subito elettrizzato, ma anche titubante, indeciso.
"Insistette, mi disse che gli piacevo molto, che ero bello, e che davvero avrebbe voluto stare da solo con me per un po'. Gli dissi che non ero sicuro perché... non l'avevo mai fatto. Ormai era chiaro che cosa volesse... e anche che cosa volevo io. Mi disse di fidarmi di lui e, non so perché, ma sentii che potevo farlo. Forse il modo in cui mi guardava, forse perché era vestito bene, non te lo saprei dire.
"In breve, lo seguii. Aveva la moto lì fuori dalla stazione. Mi portò in una casa, nel box del garage. Lì c'era una brandina... Appena chiusi dentro, lui si spogliò rapidamente: pensai che era bellissimo, ed era già eccitato: il primo ragazzo completamente nudo che vedevo. Mi sorrise e mi disse di spogliarmi.
"Io mi sentivo il cuore battere furiosamente sia perché lui era veramente bello, era lì per me, pieno di voglia, sia perché di lì a poco avrei potuto finalmente provarci. Mi spogliai. Lui sedette sulla brandina e mi attirò a sé, in piedi fra le sue gambe, e si mise a succhiarmelo. Mi sentii le gambe cedere per l'emozione. Dopo poco eravamo stesi sulla brandina che facevamo un sessantanove e io mi sentivo in paradiso ed ero così eccitato ed emozionato che tremavo e mi sentivo il sangue pulsare nelle tempie.
"Lui mi sorrideva, leggevo la voglia nei suoi occhi e questo mi dava piacere. Lui mi leccava, mi carezzava, mi baciava e io mi sentivo sempre più eccitato e... come in paradiso: era molto meglio di quanto avessi immaginato. Poi prese da una scatola una confezione di preservativi, se ne infilò uno, prese un flacone di gel e iniziò a lubrificarmi il foro.
"Un po' temevo quanto stava per fare, un po' lo desideravo. Mi preparò a lungo, continuando a sorridermi e a baciarmi mentre con le dita mi iniziava a penetrare e continuava a prepararmi. Io lo lasciavo fare, un po' timoroso ma deciso ad andare fino in fondo. E finalmente mi fece mettere a quattro zampe e mi prese. Lo fece con molta cautela, poiché gli avevo detto che era la mia prima volta.
"Provavo un po' di fastidio, però lo volevo. Cercai di rilassarmi come diceva lui... e finalmente lo sentii invadermi a poco a poco ed era bello, il fastidio passava in secondo piano. Mi piaceva sentire le sue mani forti tenermi per la vita, il suo membro duro e caldo scivolarmi dentro, dilatarmi. Il fastidio c'era sempre, eppure il piacere era più forte. E finalmente mi fu tutto dentro e cominciò a scoparmi con crescente vigore.
"Io ero eccitatissimo, cominciai a masturbarmi, ma lui mi fece fermare e mi disse che dopo mi faceva venire lui. Mi prendeva con forza, ma non violentemente, anzi, direi che ci sapeva fare, me lo faceva piacere. E finalmente mi scaricò dentro tutta la sua voglia. Poi, si sfilò lentamente da me, mi fece girare, sedere sul materasso, scese sul mio pube e riprese a succhiarmelo fino a farmi venire, pochi minuti dopo, nella sua calda, umida, esperta bocca e bevve tutto.
"Mi chiese se m'era piaciuto. Gli dissi di sì, m'era piaciuto molto, e lo ringraziai. Ci rivestimmo e chiacchierammo ancora un po'. Mi riaccompagnò alla stazione. Mi lasciò il suo numero di telefono, chiedendomi di chiamarlo quando fossi tornato a trovare mia madre. Durante il viaggio di ritorno sentivo ancora un vago fastidio nel sedere, ma ero felice.
"Ci si è rivisti soltanto una volta, dopo di allora, perché poi lui trovò lavoro all'estero. Ecco, quella è stata la mia prima volta. In questi quattro anni ho poi avuto altre avventure e ho anche provato a fare la parte attiva. Ora ho qualche amico con cui a volte ci si diverte. E grazie a uno di loro ho scoperto che c'è un altro come noi, qui nel nostro stabile..."
"Chi, Nestore Grasso?" chiese Fausto, interessato.
"No... Comunque non è proprio gay come noi, è un bisessuale. Infatti s'è sposato e ha avuto figli."
"Chi è?" insistette Fausto.
"Non so se lui ha piacere che te lo dica."
"Ma lui sa di te? E che tu sai di lui?"
"Sì, perché ho conosciuto un uomo che ha una relazione con lui."
"Beh... non potresti allora... dirgli di me? E se vuole, lui me lo dice o ti autorizza a dirmelo?"
"Sì, certo, potrei. Tu non hai un ragazzo, ora?"
"No..."
"E a te piacciono uomini più vecchi o ragazzi più giovani di te?"
"Tendenzialmente più giovani." gli disse Fausto sorridendogli. "Ma non è così importante."
"Tu mi sei molto simpatico, però..." disse Serse, esitante.
"Non ti sto proponendo di venire a letto con me... anche se non mi dispiacerebbe. Ma sono molto contento di sapere di te e che tu sai di me. Tu hai qualche... qualcuno in vista, ora?"
"Non proprio. Ma dopo tutto ho solo diciannove anni, ho tempo. Certo che prima o poi mi piacerebbe avere un compagno fisso, uno che mi vuole bene e non solo con cui scopare."
"A chi non piacerebbe?" disse Fausto con un sorriso.
"No, ci sono alcuni che non vogliono legami."
"Sì, hai ragione, ma mi pare così... Cioè, voglio dire, è bello anche solo divertirsi, però... A me piacerebbe avere un vero amante. Prima o poi spero di trovarlo."
"Io la penso come te, ma... non adesso. Non mi sento ancora abbastanza maturo per mettermi in una relazione fissa."
"Dirai a tuo padre di me?" gli chiese Fausto.
"Se vuoi. Sicuramente papà non avrà nessun problema nei tuoi confronti, ti stima. Come vuoi tu."
"Da parte mia non c'è nessun problema. Anzi, in un certo senso, più gente lo sa più mi sento libero."
"Ti va di raccontarmi di te, ora? Come l'hai capito, che esperienze hai avuto..."
"Sì, certo." disse Fausto e gli raccontò di sé e delle sue esperienze.
Erano usciti dalla pizzeria e tornavano lentamente verso casa, mentre Fausto continuava a raccontargli di sé. Ogni tanto Serse gli faceva qualche domanda a cui Fausto rispondeva, tranquillamente. Volle sapere soprattutto della sua storia con Gildo e perché e come si fossero lasciati.
"Perché fra noi gay è così difficile avere una relazione duratura?" gli chiese Serse.
"Non più che fra gli etero. E comunque ci sono alcune differenze che ci portano a rompere più liberamente una relazione che non funziona. Una è che ancora molte donne fanno le casalinghe, cioè non sono indipendenti economicamente. Un'altra è il fatto che noi non abbiamo figli che, almeno in certi casi, cementano una coppia... Inoltre il fatto di non poterci ancora sposare: il matrimonio crea un legame un po' più forte, perché ha una valenza sociale."
"Già... in effetti anche fra le coppie etero, gradualmente aumentano le separazioni o i divorzi. Perciò, secondo te, non cambierebbe molto, fra coppie etero e gay, se ci fosse una maggiore parità di diritti e doveri?"
"Ne sono convinto. E se ci fosse la stessa accettazione da parte della società. L'uomo è uomo, nei suoi desideri e nei suoi difetti, che sia gay o etero. E anche la cosiddetta promiscuità dei gay, secondo me, è solo una bufala e un'affermazione ipocrita. Quanti etero, sposati o single, scopano a destra e a sinistra senza problemi? Eppure nessuno li accusa di essere promiscui."
"Già... Ci sono ancora un sacco di pregiudizi riguardo a noi gay." commentò Serse.
Chiacchierarono ancora un po', nella guardiola chiusa, poi si augurarono la buona notte.