logoMatt & Andrej Koymasky Home
una storia originale di Andrej Koymasky


IL PORTINAIO CAPITOLO 8 - CONFIDENZE

Fausto scese a vedere le due cantine che aveva a disposizione. Una conteneva le cose del condominio, l'altra alcuni suoi oggetti personali e mobili che non aveva potuto sistemare nella portineria. Spostò parecchi oggetti nel garage, dove teneva la sua utilitaria, in modo di liberare la propria cantina, lasciandovi solo il suo vecchio lettino, una cassettiera e due sedie.

La cantina aveva il pavimento in cemento, la luce elettrica, e una finestrella che dava sul marciapiedi, con vetri opachi e una grata di metallo. La ripulì accuratamente, mise un tappetino accanto al letto, poi, soddisfatto, andò a far fare due copie della chiave yale della porta.

Quindi, la prima volta che Gustavo tornò, fece scendere Loris, li portò a vedere la cantina e dette loro le chiavi: "Ecco, qui potete stare più tranquilli. A parte che da fuori nessuno vi può vedere, avete il letto e vi ho messo anche le lenzuola. Se non fate rumore, da fuori nessuno può sapere che siete dentro. L'ascensore arriva fin qui, quindi siete comodi."

I due ragazzi gli furono molto grati. Portarono lì anche alcuni loro oggetti, soprattutto a soggetto gay, che avevano precedentemente nascosti in casa; inoltre anche un fornelletto elettrico e il necessario per farsi il caffè. Gustavo vi portò anche alcuni bei poster che misero alle pareti. Fausto era contento: i due ragazzi avevano così il loro "nido"... In inverno non era riscaldato, perciò i ragazzi decisero di comprarsi anche una stufetta elettrica.

A volte si fermavano a chiacchierare con Fausto, in portineria, e questi narrava loro le sue esperienze e avventure, oppure parlavano di argomenti vari o gli chiedevano consigli. Ogni tanto Fausto scendeva per cambiare le lenzuola, che lavava con le proprie. I due ragazzi gli erano grati ed erano felici.


Un giorno il giudice Gamberali si era fermato a parlare con lui.

"Signor Picozzi, mi ha detto Serse Jacovoni che lei non avrebbe avuto nessun problema che lui mi parlasse... delle sue tendenze." esordì, con un lieve sorriso.

Fausto capì a che cosa il giudice si riferisse, e spalancò gli occhi: "Lei, signor giudice? Quando Serse m'aveva detto... non avrei mai pensato che..."

L'uomo sorrise: "Già. Chissà perché, per il fatto che un uomo è o è stato sposato e ha figli..."

"Beh, in realtà Serse mi aveva detto che conosceva una persona bisessuale, non gay."

"Sì, d'accordo, anche se sono distinzioni un po' grossolane. Però è vero, fin da ragazzo mi è capitato di sentirmi attratto verso entrambi i sessi più o meno con la stessa intensità. A mio parere la grande maggioranza degli esseri umani è fondamentalmente bisessuale. Certamente, la pressione sociale verso l'eterosessualità porta quasi tutti a negare la propria componente omosessuale... o a mascherarla, a sublimarla."

"Io non ho mai provato la minima attrazione verso le ragazze." disse Fausto.

Il giudice sorrise: "Neanche io verso le ragazze o verso i ragazzi in generale, ma verso una certa ragazza o un certo ragazzo. Secondo me è qui uno degli errori della nostra cultura. L'attrazione è verso una certa persona, non verso un gruppo o una categoria di persone."

"Ma quando nessuna ragazza m'attrae, almeno in senso puramente sessuale... Quando solo i ragazzi risvegliano in me interesse fisico, sessuale..."

"A mio parere è solo perché fin da piccoli la società ci abitua a distinguere per ruoli, per genere, per sesso e non per personalità, per valori, per carattere."

"Ma... lei mi ha detto che fin da ragazzo si è sentito attratto sia verso i ragazzi che le ragazze, giusto?"

"Sì, è così. Negli uni e nelle altre trovavo aspetti che m'attraevano, che mi piacevano, sia come carattere che fisicamente. Con lo sviluppo della mia sessualità, ho subito notato questo mio aspetto."

"E non le ha creato problemi?" gli chiese Fausto, interessato.

"Lo sviluppo sessuale crea sempre una grande quantità di problemi nel ragazzino o nella ragazzina che raggiunge la pubertà. Anche perché, a metà degli anni cinquanta, non si parlava liberamente di sesso come si fa ora: era un argomento tabù. Anche genitori molto aperti, quali erano i miei, non affrontavano con noi figli certi discorsi. Vi era un mal inteso senso del pudore. Ognuno di noi doveva cercare di capire, e capirsi, praticamente da solo."

"In quegli anni, oltretutto, l'unico modello presentato agli adolescenti era quello eterosessuale."

"È vero. E anche quello era presentato in modo poco chiaro, confuso. E non parlo solo della cosiddetta educazione sessuale, per cui c'erano, soprattutto fra le ragazze ma non solo, alcuni che non sapevano nemmeno come fosse fatto, fisicamente, l'altro sesso... Ma meno ancora vi era un'educazione sentimentale."

"Che ancora manca. Oggi si parla molto di sesso, ma ancora troppo poco, e male, di amore."

"Proprio così, giovanotto, proprio così. Anche fra ragazzi si parla più apertamente di relazioni sessuali che di innamoramento e amore. Questo però è comprensibile, perché la sessualità coinvolge solo la fisicità, mentre l'amore coinvolge tutta la persona, i sentimenti più intimi, perciò si ha più pudore a parlarne."

"Ma lei... se mi permette di chiederglielo, ha avuto prima esperienze con il proprio sesso o con una ragazza?" gli chiese Fausto.

"A breve distanza, prima con un amico, poi con una ragazza. Come le ho detto, mi sentivo attratto verso gli uni e le altre. Ma fra amici era più facile che con le ragazze. Sì, la mia prima esperienza fu con un amico, un compagno di studi." disse il giudice, un lieve sorriso sulle labbra, lo sguardo lontano, come perso nei suoi ricordi, e raccontò...


Avevo diciassette anni, si era perciò nel 1959. Fra i miei amici più stretti c'era Cristiano. Ricordo che, a differenza di me, lui era molto bravo in algebra e io ero assai preoccupato per un imminente compito in classe. Così il mio amico mi propose di andare a casa sua per ripassare assieme il programma e mi promise che mi avrebbe spiegato tutto quello che ancora non avevo afferrato bene.

Non era la prima volta che uno di noi andava a casa dell'altro per studiare, e i nostri genitori, che si conoscevano, vedevano di buon occhio la nostra amicizia. Ci si conosceva da diversi anni, esattamente dalla prima media, e si era sempre stati compagni di classe, anzi, di banco. Così, chiesto il permesso ai miei, quel pomeriggio andai a casa sua per studiare.

Mi piaceva molto, Cristiano. Ci si era trovati bene assieme fin dal primo momento, quando il primo giorno di scuola il professore ci aveva assegnato i posti a sedere e ci eravamo trovati uno accanto all'altro. Inoltre abitava quasi di fronte a casa mia, quindi si andava a scuola e si tornava sempre assieme. Spesso si giocava anche assieme, che fosse a guardie e ladri, a calcio, a figurine... oppure andavamo al cinema, la domenica pomeriggio, dai salesiani. Ci si scambiava i giornaletti, i giocattoli...

Eravamo quasi come due fratelli, o forse anche più uniti di due fratelli. Lui aveva solo una sorella, ma di undici anni più grande e sposata, perché due sorelline nate fra loro erano morte durante la guerra, sotto un bombardamento. Io, invece, ero figlio unico.

Cristiano mi piaceva molto, e mi ero accorto di essere attratto, fisicamente intendo, da lui. Aveva i capelli a caschetto, che gli coprivano la parte alta delle orecchie, un naso dritto e forse un po' troppo lungo, ma i suoi occhi erano belli, di un nocciola quasi dorato, e avevano una luce che "covava sotto la cenere" come aveva detto una volta una nostra compagna di classe.

Anche il corpo, che avevo visto spesso anche nudo per qualche istante, quando ci preparavamo o dopo le lezioni di educazione fisica, nelle docce della scuola, era bello. Aveva un petto cesellato, buoni bicipiti, un ventre piatto, cosce forti, un folto ciuffo di peli castani gli aureolava un bel pene e aveva un culetto sodo.

A volte mi guardavo, nudo, allo specchio del bagno e, passandomi le mani sul corpo, pensavo che mi sarebbe piaciuto essere bello come lui. Solitamente, guardandomi e toccandomi, mi veniva una bella erezione, che allora toccavo, carezzavo, sognando che fossero le mani di Cristiano a farlo... e io a farlo a lui. E allora socchiudevo gli occhi finché la mia immagine era quasi indistinguibile, così potevo sognare che fosse Cristiano, e mi masturbavo lentamente, piacevolmente.

Sognavo allora di baciarlo... dappertutto... anche sul suo pene... e di dargli piacere così, fino a farlo diventare bello duro. E immaginavo che lui facesse a me le stesse cose. Poi sognavo di farmelo infilare dietro, prima lui a me, poi io a lui. Ma questo era un mio segreto che non avrei mai rivelato a nessuno, tanto meno a lui.

Dapprima avevo pensato che fosse solo una di quelle cotte adolescenziali che a volte si hanno nei confronti di amici intimi, ma presto mi accorsi che era altro, era molto di più. Qualcosa a cui ancora non avevo avuto il coraggio di dare un nome, forse perché il naturale pudore verso la sessualità non l'abbiamo solo verso gli altri ma anche verso noi stessi.

Però, man mano che passavano gli anni, facevo del tutto per vederlo nudo: dall'andare ai cessi della scuola assieme per vederglielo quando si orinava, a fare sempre la doccia contemporaneamente a lui dopo le lezioni di educazione fisica. Quando ci si rivestiva, lo guardavo di sottecchi, rammaricandomi di vedere il suo bel corpo sparire sotto gli abiti.

Qualche rara volta mi era capitato di vedere il suo pene anche semieretto e allora pensavo che era perfetto anche in quel reparto. Anche lui, m'ero accorto, mi guardava a volte, ma fra ragazzi ci si guardava abbastanza tranquillamente, probabilmente per paragonare i nostri attributi virili, per controllare se si stava crescendo regolarmente.

D'altronde, quasi tutti avevamo la ragazza, anche Cristiano e io: niente di veramente serio, diciamo che si filacchiava con le nostre compagne di classe, più o meno apertamente. Faceva parte del gioco dei ruoli a cui tutto ci spingeva. Fra noi ragazzi si parlava delle nostre "ragazze", spesso esagerando un po' le cose e vantandoci di aver fatto cose inesistenti. Però, quando Cristiano e io si era soli, né lui né io si parlava mai di ragazze.

Bene. Così, quel giorno, andai da lui per il ripasso di algebra. Come capitava spesso, il pomeriggio era solo a casa. La sorella abitava altrove, il padre aveva un'agenzia di assicurazioni dove lavorava con la madre. Entrai, gettai i miei libri sul tavolo del soggiorno, dove erano già i suoi. Ma, senza farlo apposta, i miei libri urtarono i suoi che caddero a terra, e i suoi appunti si sparsero sul pavimento alla rinfusa.

"Oh, cavolo!" esclamò Cristiano, "non potresti stare più attento? Guarda cosa hai combinato: ora tutti i miei appunti sono mescolati e ci metto un'ora a rimettere le pagine a posto!"

"Scusa, mica l'ho fatto apposta! Non hai numerato le pagine? E poi, perché prendi gli appunti su foglietti separati?" dissi, chinandomi a terra con lui per raccoglierli tutti.

"Su foglietti, se devo inserirne un altro o riscriverne uno, è più comodo. Per questo non li ho numerati!"

Stavamo accoccolati sul pavimento, raccogliendo le sue carte sparse. Non so perché, ma io pensai che mi sarebbe piaciuto abbracciarlo, baciarlo... per farmi perdonare. Mi sentii incredibilmente eccitato, tanto da provarne quasi vergogna, come se lui potesse rendersene conto.

"Che hai da guardarmi così?" mi chiese.

"Così... come?" chiesi, ancora più imbarazzato.

"Cosa hai, Filippo?" insistette lui, a voce bassa, calda, che mi fece fremere.

"Ma niente... Perché?" chiesi, esitante, cercando di assumere un atteggiamento indifferente.

Cristiano sedette a terra, le gambe incrociate, posò i foglietti che aveva raccolto sul tappeto, accanto a sé. Mi tese la mano e gli detti quelli che avevo raccolto io. Li posò sui suoi.

"Non li mettiamo a posto?" gli chiesi, incerto.

"Dopo." mi rispose guardandomi fisso negli occhi, con espressione incredibilmente seria, come se volesse leggermi dentro.

"Dopo... cosa?" chiesi, sentendomi a disagio.

Cristiano emise un sospiro e si stese sulla schiena, sul tappeto, guardando verso il soffitto. Lo guardai un po' stupito. Lui girò verso di me solo gli occhi e, quasi sottovoce, mi chiese: "Tu, Filippo, ti sei mai innamorato? Veramente innamorato, voglio dire?"

"Non lo so..." risposi, incerto. Pensai che forse s'era innamorato di una delle nostre compagne.

"Come sarebbe che non lo sai?" mi chiese con voce soffice.

"Come fa, uno, a sapere che è innamorato?" gli chiesi allora.

"Uno lo sente, no? Uno sente che... stare vicino a una persona... vorrebbe stare ancora più vicino... abbracciarla, baciarla... farci l'amore, no? Come può non accorgersene?"

"A te... è capitato?"

"Sì." disse girandosi su un fianco, verso di me, la testa poggiata su un braccio ripiegato. "Credo che... prima o poi, capita a tutti, no?"

"E... com'è?" gli chiesi, restando accoccolato accanto a lui.

"Bello e brutto. Bello, perché vorresti fare cose meravigliose con la persona che ami... Brutto, quando non sai cosa sente per te quella persona."

"E chi è? Una nostra compagna?" gli chiesi allora.

"No..."

"La conosco?"

"Sì... bene." mi disse, e posò la mano libera sulla mia coscia, lieve, un gesto amichevole, pensai, che però mi mandò brividi lungo la schiena.

"E chi è?" gli chiesi, sedendo anche io sul tappeto.

"Non lo immagini?" mi chiese lui, sottovoce.

La sua mano ora mi carezzava lieve la coscia, attraverso la tela dei calzoni. Lo guardai un po' stupito, spostai lo sguardo sulla mano che si muoveva lieve su e giù sulla mia coscia, poi di nuovo nei suoi occhi, che mi fissavano con intensità incredibile. Provai nuovamente un brivido lungo la spina dorsale, che guizzò su e giù, e che poi sembrò focalizzarsi nel mio pene che palpitò nella sua prigione di tela.

"A volte... l'amicizia... si colora anche di... desiderio." mi disse Cristiano esitante.

"Anche... la nostra?" gli chiesi allora, temendo di aver detto troppo.

Lo guardai negli occhi e li vidi brillare, e capii cosa era quel fuoco che covava sotto la cenere. Posai la mia mano sulla sua. Lui la girò e intrecciò le dita con le mie.

"Ti pare strano? Tu e io... ti pare così strano?" mi chiese in un soffio, continuando a fissarmi negli occhi.

"No..." mormorai io.

Cristiano si spostò, appoggiò la testa sulla mia coscia, continuando a guardarmi e con l'altro suo braccio mi cinse lieve la vita.

"Tu e io..." mormorò, ed era quasi una preghiera.

"Più che amici?" gli chiesi, trattenendo il respiro.

Mi pareva inverosimile, incredibile. Dunque... anche lui provava per me quello che io sentivo per lui?

"Non credi che... sia possibile e... e anche bello?" sussurrò lui.

"Tu e io..." mormorai commosso. "Più che amici..."

"Sì. Se vuoi. Io... lo desidero. Io... ti desidero."

Mi ricordo che inghiotti a vuoto, incapace di ragionare, di riflettere: avevo tutto il corpo in fiamme, la testa in fiamme. Le dita di Cristiano si posarono sull'altra mia coscia e lentamente... oh quanto lentamente, risalirono verso la mia nascosta erezione. Tremai, eccitato, incredulo, felice: il mio sogno, non era solamente un sogno, dunque?

La sua mano sfiorò la patta dei miei calzoni, lieve, e sentì la mia erezione. Io ero più immobile di una statua. Dato che non reagivo, la sua mano si fece più ardita e premette contro il mio turgore, che palpitò in risposta, quasi per un'autonoma volontà. Vi posai sopra la mia mano e la spinsi con più forza contro la mia erezione.

"Vuoi... essere il mio ragazzo, Filippo?" mi chiese in un sussurro.

"Davvero lo vuoi?" gli chiesi, emozionato.

"Non credi che sarebbe bello?"

Annuii, commosso, realizzando con stupito piacere che anche lui stava nutrendo per me gli stessi sentimenti che avevo per lui. Mi stesi anche io su un fianco, di fronte a lui. Mi prese fra le braccia e mi tirò a sé. Tremai, emozionato. Lui intrecciò le gambe con le mie.

"Posso... baciarti?" mi chiese in un sussurro.

Accostai il volto al suo. I nostri nasi si toccarono, si sfregarono lievi, uno contro l'altro. Il suo sguardo era bruciante. Il mio corpo era completamente in fiamme. Cristiano mi strinse a sé con maggior vigore e le sue labbra cercarono le mie. Chiusi gli occhi. Le nostre bocche si premettero e sentii la sua lingua forzarmi le labbra. Le schiusi, la accolsi, trattenendo il respiro. Aveva un buon gusto di caffè...

Quanto a lungo avevo desiderato quel momento! E ora stava accadendo e mi sembrava così bello, così giusto! Ci stavamo baciando. Cristiano sospinse il bacino verso il mio e sentii la sua erezione premere contro la mia. Era... troppo bello!

Cristiano staccò le labbra dalle mie e mormorò: "Non voglio farlo qui... Vieni in camera mia."

"Io... non l'ho mai fatto..." dissi.

"E non vuoi farlo... con me?"

"Sì, sì che voglio!" dissi con entusiasmo.

Cristiano si alzò, mi prese per mano facendomi alzare, guardandomi con un sorriso bellissimo... mi portò nella sua camera, dove mi abbracciò di nuovo.

"Davvero non l'hai mai fatto?"

"Davvero, mai, con nessuno. E tu?"

"Io sì, per divertimento... ma con te... con te è diverso."

"Perché?"

"Perché io mi sono innamorato di te"

"E io di te." mormorai, emozionatissimo.

"Sì... lo so... l'ho capito... Per questo ho deciso di dirtelo."

"Da cosa l'hai capito?"

"Ci conosciamo bene, ormai, no?" mi disse con un sorriso lieve. "Da come mi guardi, l'ho capito."

"E come ti guardo?"

"Con desiderio e con affetto al tempo stesso. Con amore."

"Credevo di avertelo saputo nascondere."

"Proprio perché cercavi di nasconderlo l'ho capito."

"Mi insegnerai?"

"Vieni."

Mi guidò fino al suo letto. Ci spogliammo l'un l'altro, lentamente, carezzandoci, baciandoci. Era bellissimo! Mi pareva di sognare. Quando fummo nudi, mi attirò sul letto con sé, ci abbracciamo e ci baciammo di nuovo. E facemmo l'amore. Mi guidò a poco a poco, giorno dopo giorno, finché io fui suo e lui fu mio.


Fausto l'aveva ascoltato, immaginando la scena, e pensò che doveva essere stata molto bella.

"E siete rimasti assieme a lungo?" gli chiese allora.

"Per poco meno di tre anni. Poi suo padre decise di andare a lavorare negli Stati Uniti e così ci si dovette separare."

"Ma eravate maggiorenni, no? Non poteva restare con lei?"

"No, allora si diventava maggiorenni a ventuno anni. Se fosse restato, come poteva continuare gli studi? E mantenersi, anche se avesse smesso di studiare e si fosse trovato un lavoro. Comunque non poteva opporsi al padre."

"Deve essere stato penoso, sia per lei che per il suo amico." commentò Fausto.

"Indubbiamente lo fu. Ma d'altra parte io ero anche contento per lui, perché sapevo che gli piaceva l'idea di potersi laureare negli Stati Uniti. Quindi da una parte mi sentivo triste, ma dall'altra lieto per lui."

"Siete ancora in contatto?"

"Lo siamo stati per una quindicina di anni. Poi... nel 1974... quando gli americani stavano iniziando a ritirarsi dal Vietnam, un anno prima che lo abbandonassero... fu ucciso dal cosiddetto fuoco amico... un incidente... Io, nel frattempo, mi ero sposato... Per me fu un bruttissimo colpo."

"Quando... quando si sposò, era innamorato di sua moglie?"

"Sì, lo ero, e le fui fedele fino a quando morì. Solo dopo... solo sei anni fa... ho trovato il mio nuovo amante, con cui ancora sto."

"Ma lei... vive da solo."

"Lui non può venire a vivere con me, né io con lui. Ma ci si vede molto spesso."

"Perché non potete?"

"Sei anni fa... in tribunale... Il mio Raniero è un poliziotto, capisce... e io un giudice... Siamo tutti e due in una posizione che non ci permette di vivere come vorremmo. Aveva trentuno anni. La prima cosa che notai di lui furono i suoi occhi di un azzurro incredibile, tanto da chiedermi se non avesse lenti a contatto colorate. Poi le sue mani belle, da pianista. Io mi sentivo fortemente attratto da lui, ma certamente non potevo farglielo capire."

"E allora, come vi siete... capiti?"

Il giudice sorrise: "In un modo assai semplice. Una sera andai con alcuni amici in un bar gay, per la festa di compleanno di uno di loro. E lo vidi entrare, in borghese, logicamente, ma era certamente lui. Non mi vide. Andò al bancone e strinse la mano al barista. Chiacchieravano amichevolmente, e capii che si conoscevano. Poi Raniero andò in bagno... Allora mi alzai, andai dal barista e gli chiesi, chiaro e tondo, se Raniero fosse gay.

"Mi guardò un po' sorpreso e disse di sì, che 'logicamente' lo era. Restai un attimo al bancone. Quando Raniero uscì dal bagno e mi vide, si fermò di colpo e mi guardò, arrossendo. Gli feci un sorriso, un cenno di saluto e gli andai incontro. Lo invitai a bere qualcosa con me... e gli dissi chiaro e tondo che ero fortissimamente attratto da lui.

"Beh... fui fortunato, perché lui mi disse che da tempo anche lui si sentiva attratto da me. A lui piacciono uomini maturi, capisce? Quindi la nostra differenza di età per lui andava giusto bene. Beh, così cominciammo a farci il filo l'un l'altro e infine una sera lo invitati a venire su da me... e finalmente facemmo l'amore. È stato molto bello per tutti e due. E allora si decise di metterci assieme."

"Però è un peccato che non possiate vivere assieme. La nostra società ci impone ancora molti limiti." gli disse Fausto.

"Sì, troppi. L'evoluzione c'è, ma è lenta... e con un passo indietro ogni due passi avanti."

"E com'è che lei e Serse Jacovoni siete venuti a sapere uno dell'altro?" gli chiese Fausto.

"L'anno scorso, per il compleanno del mio Raniero, si era fatta una festicciola proprio nel bar gay dove ci si era incontrati. E fra i suoi invitati c'era anche un giovanotto che in quel periodo stava con Serse, e pure il ragazzo era stato invitato, così, logicamente ci si è riconosciuti. Un gran bravo ragazzo, Serse. A volte viene a trovarmi, a chiacchierare con me, a sfogarsi."

"Quando sono venuto a lavorare qui, in portineria, mi pareva che non ci fosse nessuno, oltre me, che..." disse Fausto, pensieroso.

"Se non altro statisticamente, doveva pensare che vi dovevano essere altri, oltre lei." gli disse il giudice con un sorriso.

"Sì, ha ragione. Però, sa, è come la storia del pollo a testa in media. Magari qui nessuno e in un'altra casa molti di più. Non che sia molto importante: meglio una persona gradevole, onesta, e non gay, che uno come me ma insopportabile o disonesto."

"Certamente ha ragione. Però a volte fa bene poter parlare liberamente con qualcuno anche della propria sessualità. Voglio dire... Un uomo sposato, se ad esempio ha problemi con la moglie, può sfogarsi tranquillamente con un amico, o anche solo con un conoscente. Per noi gay, è diverso."

"Ha ragione. Pochi etero ci potrebbero capire e saprebbero starci ad ascoltare, vorrebbero consigliarci, o solo lasciarci piangere sulla loro spalla."

"Proprio così. Ma lei, signor Picozzi..."

"Non potrebbe chiamarmi per nome?" gli chiese Fausto con un sorriso.

"Volentieri. Lei, Fausto, è solo? O ha una qualche relazione?"

"Sono solo. Qualche avventura, ma nulla più. Fino ad un paio di anni fa, poco meno, avevo una relazione, ma è finita."

"Un bel ragazzo come lei..."

"Mah, il fatto è che frequento molto poco i locali gay, perciò, a parte i pochi amici gay che ho, non ho molte possibilità di fare un incontro interessante."

"Anche io non li frequento quasi mai, eppure, le poche volte che l'ho fatto, prima ho conosciuto il mio Raniero, poi anche Serse. E grazie al ragazzo, sono venuto a sapere anche di lei."

"Quand'anche trovassi un compagno... mica potrei portarlo a vivere qui con me. Dovrei vedermi con lui solo ogni tanto... Un po' come per lei ed il suo Raniero."

"Bisogna accontentarci di ciò che la vita ci offre, mio caro Fausto. Comunque... sono lieto che ora lei sa di me ed io di lei. Ho sempre provato una simpatia istintiva nei suoi confronti."

"E io nei suoi, signor giudice."

"Se io la devo chiamare per nome... perché anche lei non mi chiama per nome?"

"Beh... lei è un giudice e io un portiere, inoltre lei ha più del doppio della mia età, e gli altri inquilini..."

Il giudice sorrise: "E non potremmo non preoccuparcene? D'accordo a darci del lei, però... mi farebbe piacere se mi chiamasse per nome."

"D'accordo, signor Filippo." gli rispose Fausto con un sorriso.


Pagina precedente
back
Copertina
INDICE
16oScaffale

shelf 1

Pagina seguente
next


navigation map
recommend
corner
corner
If you can't use the map, use these links.
HALL Lounge Livingroom Memorial
Our Bedroom Guestroom Library Workshop
Links Awards Map
corner
corner


© Matt & Andrej Koymasky, 2015