Aldemaro passava il suo tempo soprattutto a scrivere, ma anche a fare lunghe e lente passeggiate. Aveva finito le sigarette perciò, passando per via degli Olivi, si fermò alla piccola tabaccheria-caffè.
Ordinò al giovane che stava al bancone un caffè e cinque sigarette Turmac rosse con filtro.
"Abbiamo solo le Macedonia..." gli disse il giovane, quasi scusandosi, con un sorriso.
"E allora vada per le Macedonia." disse Aldemaro rispondendo istintivamente con un sorriso.
Aniello gli servì il caffè, aprì un pacchetto di Macedonia, ne estrasse cinque, le infilò in una bustina di carta e gliela pose accanto alla tazzina del caffè. "Due lire e mezzo, in tutto."
Caro. Ma c'era da immaginarselo. Aldemaro posò sul bancone due monete da una lira e una da cinquanta centesimi.
Sorseggiò il caffè, poi estrasse dalla tasca una scatoletta di latta e vi mise le cinque sigarette. Notò che il ragazzo continuava a guardarlo. Quando i loro occhi si incontrarono, Aldemaro gli sorrise.
"Siete un nuovo confinato, neh?" gli chiese il ragazzo.
"Già. Certo non un villeggiante."
"Vi ho visto arrivare, sapete. Sentite, se verrete a comprare le vostre sigarette qui da me, vedrò se posso ordinarvi le Turmac."
"Gliene sarei grato. Non fumo molto, solo due o tre al giorno. Se fosse possibile... Turmac rosse con filtro."
"Vedrò cosa posso fare. Io mi chiamo Aniello... Coraggio Aniello."
"Piacere. Io sono Aldemaro Franceschini."
"Ho sentito dire che... che siete un professore dell'università e un conte."
"Ha preso informazioni su di me?" gli chiese con un lieve sorriso l'uomo.
"No... è che qui... è un fazzoletto di terra, tutti sanno tutto di tutti."
"Io, ad esempio, non so niente di lei."
"E che c'è da sapere di me? Mi chiamo Coraggio Aniello, ho ventidue anni, i miei vivono tutti di pesca, da sempre, ma a me non piace andare in mare e così, un tre anni fa, ho aperto questa botteguccia. Grazie alla presenza qui di voi confinati, gli affari vanno discretamente."
"Beh... almeno a qualcuno, la nostra presenza, porta qualche vantaggio."
"Oh, mica volevo dire che... Cioè... mi dispiace per voi, credetemi."
"Le credo."
Aldemaro notò con piacere il sorriso ampio, franco e pulito del ragazzo, i suoi occhi scuri e luminosi. Pensò che sarebbe stato un bel soggetto per un pittore.
"E, dite, vi piaceva insegnare all'università?" gli chiese Aniello.
"Sì, l'insegnamento è una nobile missione, forma le coscienze dei giovani."
"Io so a mala pena leggere e scrivere." disse con un sorriso lievemente vergognoso il ragazzo. "Che cosa insegnavate?"
"Lettere antiche, all'Università di Pisa."
"Lettere? Le lettere... di chi?"
Aldemaro sorrise: "Lettere, in questo caso, significa letteratura: poesie, cronache, testi storici, teatro... ciò che gli antichi ci hanno lasciato di scritto." spiegò gentilmente.
"Ah... mi pareva strano che qualcuno studiasse le lettere della gente. Dovete scusarmi, io sono ignorante."
"Non ha nulla di cui scusarsi, Aniello: ciascuno di noi conosce il proprio mestiere. Beh, buon lavoro. Ci vediamo."
Aniello gli fece un cenno di saluto e lo seguì con lo sguardo, mentre usciva dalla piccola bottega.
Il ragazzo si sentiva incuriosito e attratto da quel bell'uomo: l'aveva notato appena era sbarcato e aveva pensato che, fra i confinati, non aveva mai visto nessuno così attraente. Non che fosse il più bello, però aveva occhi limpidi e uno sguardo così sereno, così gentile che lo aveva fatto fremere. In quello sguardo, se pure carpito da lontano, e benché solo per un attimo, aveva sentito anche una notevole forza morale.
Era contento che si fosse fermato da lui per comprare le sigarette: questo significava che l'avrebbe potuto vedere abbastanza spesso. E chissà che non potesse nascere una certa reciproca simpatia, una qualche intimità.
Aniello conosceva diversi confinati, perciò si era informato sul conte. Certo, pensò, che ci può essere in comune fra un conte, un professorone e il figlio di un pescatore? Eppure... non si può mai dire. Quell'incontro inatteso e insperato gli aveva fatto percepire la gentilezza e la semplicità di quel "signore".
Aldemaro stava passeggiando su e giù per via Calanave quando fu affiancato da Cesare.
"Signor Franceschini, buon giorno."
"Buongiorno a lei, Soldi."
"Ho notato che parlate spesso con il Ferraris..."
"Sì? E che problema vi è?"
"Non sapete perché l'hanno mandato al confino?"
"Non gliel'ho chiesto, non me l'ha detto e non mi interessa."
"Il Franceschini... è un pederasta."
"Ah sì?"
"Sì. L'hanno mandato qui perché l'hanno sorpreso a fare cose sconce con il figlio del segretario del fascio di Bologna a cui dava lezioni di violino."
"Ah. Perciò è un confinato... politico!" notò con umorismo Aldemaro.
"Non è bene che un uomo come voi si mescoli con gente come lui." gli disse Cesare.
"Io non mi mescolo. È semplicemente un compagno di sventura, come è lei, signor Soldi."
"Eh no! Quelli se lo meritano di essere tenuti isolati. Non dovevano mescolarli con noi. Sono dei degenerati."
"Teme per la sua... illibatezza, caro Soldi?" gli chiese Aldemaro.
"Ci mancherebbe. Però è una vergogna che li mettano qui con noi. Dovrebbero metterli tutti fra di loro, in un altro posto."
"Magari anche loro ne sarebbero contenti." disse, sempre con ironia, Aldemaro.
"Sapete... a volte l'ho visto appartarsi con Damiano Musumeci..."
"E chi è?"
"Un ragazzo di Catania, che hanno trovato a Napoli a vendersi... un pederasta passivo, capite? Sta in un'altra camerata."
"Oh, capisco. Bene, affari loro, no?"
"Ma è una vergogna. E quel Damiano, anche qui continua a fare... il suo sporco mestiere. Si dice che, in gran segreto, si fa mettere sotto persino da qualcuno della milizia e da qualche carabiniere."
"Buon dio! E lei... che fa, tiene la contabilità dei suoi incontri e di quanto ci guadagna?"
"Ma che dite! Però qui, che volete, le cose si vengono a sapere... Siamo su un fazzoletto di terra, dopo tutto."
"Beh, certamente, e chi non ne sa nulla viene subito informato da persone... zelanti come lei."
"Io vi ho messo in guardia. Se frequentate quella gente, prima o poi si comincerà a pensare che anche voi siete della stessa genìa. Per il vostro buon nome..."
"Al mio buon nome ci penso da solo, grazie, signor Soldi." tagliò corto Aldemaro.
"Oh, beh... Io ve l'ho detto solamente per il vostro bene."
"Troppo gentile."
In realtà Aldemaro non capiva come vi potessero essere persone che preferivano giacere con gente del proprio sesso. Sapeva, anche grazie ai suoi studi, che la cosa era sempre esistita, e che anzi nei tempi antichi era fiorita e si era manifestata alla luce del sole, fra i greci, i romani, e nel Rinascimento in particolare. Però davvero non riusciva a comprendere che cosa due uomini potessero trovare di gradevole in simili relazioni.
Passò davanti alla piccola scuola del villaggio proprio mentre ne sciamavano fuori gli scolaretti. Si fermò a osservarli, e ripensò ai propri figli. Quei ragazzini avevano le gote bianche e rosse, gli occhi scintillanti e garrivano come uccellini felici, correndo ciascuno verso la propria casa. Pensò che erano come fiori olezzanti, e quella visione suscitò in lui un senso di tenerezza, di dolcezza, come un'alba soave su un mare calmo e sereno.
Finalmente liberi, dopo le ore di lezione in cui avevano dovuto restare calmi e, almeno apparentemente, attenti, ora sfogavano tutte le loro fanciullesche energie.
Giunse nella Piazza davanti al Castello baronale, o "torre" come lo chiamava la gente del luogo, e si fermò di fronte al negozietto di sandali, cappelli di paglia e altre cose, sulla cui insegna campeggiava la scritta "Impagliazzo". Si chiese se avesse qualcosa a che fare con i cappelli di paglia, ma poi pensò che molto probabilmente era solo il cognome dei proprietari.
Non avendo granché da fare per tutto il giorno, ora spendeva il proprio tempo a guardare cose che, in precedenza, gli sarebbero passate del tutto inosservate. Ebbe la sensazione che per tutta la vita, passata fra libri e aule, in famiglia o nei suoi studi, avesse perso di vista molte cose. Cose umili, semplici, ma non meno interessanti di quelle che aveva perseguito fino ad allora.
Poi si presentò per l'appello quotidiano. Dopo pranzo, avendo sentito dire che una vedova del paese affittava una stanza, chiese informazioni e andò a vedere. La padrona di casa, donna Tanina, gli disse che aveva una stanzetta libera ma che, per affittargliela, lui avrebbe dovuto chiedere il permesso alla direzione della colonia di confino. Aldemaro le chiese comunque di mostrargli la stanza.
Non era né graziosa né brutta; era rettangolare, aveva le pareti scialbate e decorate al rullo con una lieve fascia di fiori in stile liberty a circa un metro dal pavimento. Nella cameretta vi era un lettino, una sedia, un minuscolo tavolo, un armadio e un cassettone con lo specchio. In un angolo vi era anche un minuscolo lavandino.
Si entrava nella stanza da una porta-finestra che metteva in comunicazione con la lunga balconata a L; questa da un lato dava sulla spiaggia Calanave e sul mare immenso ed azzurro, tranquillo come un lago. Dal lato opposto si vedeva la campagna verde, silenziosa e piena di sole e, qua e là, con ciuffi di fiori dai colori smaglianti. La balconata dava anche sulla cucina-soggiorno e su un piccolo cesso. Dalla cucina si entrava nella camera da letto della vedova e si scendeva con una scala fino alla via.
La casa era a due piani, le pareti esterne del colore di una rosa secca; pensò che la si doveva vedere anche da lontano, annidata sulla roccia tufacea tra il mare e la campagna, tra l'azzurro del cielo e la bruna terra; a pianterreno abitava un'altra famiglia, lontani parenti della vedova. Sul retro vi era poi la "terra", con alcuni alberi da frutta e fiori e anche tre caprette che lì pascolavano.
Ad Aldemaro quella stanza modesta, semplice ma pulita, piacque molto e sperò che il direttore lo autorizzasse ad andare ad abitare lì. Anche il prezzo che la vedova ne richiedeva era alla portata della sua borsa. Nella cucina della vedova, su una parete campeggiava un "Sacro Cuore" e due ritratti: non erano i genitori della donna, né il defunto marito o i figli, che lavoravano a Ostia: rappresentavano sua maestà Vittorio Emanuele III e sua eccellenza Benito Mussolini! Una buona fascista e monarchica, almeno formalmente e apparentemente.
Andò perciò alla direzione e chiese di essere ricevuto dal dottor Guida. Questi lo accolse con la consueta gentilezza, ascoltò la sua richiesta, quindi gli disse che non vi erano problemi e che al più presto gli avrebbe fatto avere l'autorizzazione, che avrebbe dovuto tenere sempre allegata al suo libretto rosso. Così si trasferì a casa di donna Tanina. Fu un cambiamento assai gradevole: lì godeva di quella riservatezza che non aveva potuto avere nella camerata con gli altri confinati.
Pochi giorni dopo aver traslocato, durante la sua consueta passeggiata pomeridiana, fu accostato dal Ferraris.
"Mi permettete di scambiare due parole?" gli chiese a mo' di saluto.
"Certamente."
"Mi è stato detto che il motivo principale per cui avete voluto andar via dalla camerata sono io."
"Lei? No davvero. Perché mai avrei dovuto?"
"Beh... per le mie... preferenze sentimentali, su cui certamente vi avranno ragguagliato." rispose il violinista, sogguardandolo.
"Dato che io non faccio parte dei suoi... delle sue preferenze, non vedo come..."
"Mi stanno facendo terra bruciata attorno. Sono il reietto fra i reietti."
"Scusi se mi permetto, ma... in un certo senso posso capire che... Non mi permetto di giudicarla, però, mi chiedo... che cosa ci può trovare in certe pratiche... Una persona come lei, colta, istruita, raffinata..."
"Credete che non me lo sia chiesto anche io fin dalle prime avvisaglie di questa mia... tendenza? Credete che sia stata una mia scelta? Chi mai sceglierebbe una vita piena di problemi come la mia, ditemi? Se questa è la mia natura... come potrei andarvi contro?"
"La sua natura! Come può affermare una cosa del genere? La natura del maschio è eccitarsi per la femmina, non per un altro maschio. Non può chiamare natura ciò che è solamente un vizio. Oh, badi bene, ciascuno di noi ha i propri vizi: io ad esempio non riesco a rinunciare a fumare... Ma non dico per ciò di avere la... natura del fumatore!"
"Vizio... Già. Malattia, peccato, vizio."
"Peccato, è l'ultima cosa che mi interessa. Malattia... non ne so abbastanza per definire tale la sua condizione."
"Vizio, dunque. Ma voi mi insegnate che il vizio è un'abitudine negativa acquisita con la ripetizione, non è forse così?"
"Certamente."
"Ed allora, ditemi, come poteva essere vizio, quando io non mi sono mai sentito... attratto dall'altra metà del cielo? Mai. Se la natura per ogni uomo del nostro sesso fosse quella di essere attratto dal sesso opposto, perché ciò non accadde mai a me?"
"Ma se invece di lasciarsi andare a certe propensioni, lei avesse applicato le sue energie a indirizzarsi verso il gentil sesso..."
"E credete che non abbia tentato con tutte le mie forze di... entrare nei ranghi? Credete che la mia condizione sia qualcosa che uno abbraccia con tanto entusiasmo? Credete che sia gradevole essere derisi, condannati, segnati a dito? E per che cosa, poi, per un'ora di intimità proibita?"
"E allora, mi dica, perché mai lei si è lasciato andare e si è adeguato a una vita talmente... disordinata? Perché si è dato alla seduzione di ragazzini innocenti?"
"Ragazzini innocenti? Oh, se sapesse quanta poca innocenza vi è in quei ragazzi... una volta che in loro si risvegliano certi istinti. Con che prontezza quei ragazzi... non ragazzini, ma già giovani adulti, accettavano di prendere il loro piacere con me. Purché non si sapesse, certamente. Non ho mai approfittato dell'innocenza di nessun ragazzo, credetemi. Non ne ho mai sedotto uno solo!"
"Sia come sia... Le credo, però per me resta un mistero come un uomo possa prendere il proprio piacere con un altro uomo, con una persona del proprio sesso. Posso concepire, anche se non certamente approvare, come... privato per lungo tempo della vicinanza della donna, un uomo possa anche cercare sfogo con un altro uomo... come si dice che accada sulle navi, o in carcere. Comunque io non la giudico, Ferraris, la compiango."
"Il che, permettetemi, è anche peggio che giudicare. Vi credete molto migliore di me solo perché nel vostro letto non è mai entrato un altro uomo?" chiese il violinista, con amarezza. "Credevo che voi, una persona colta e intelligente, e anche gentile... foste diverso dagli altri."
"Non mi credo migliore né di lei né di nessuno. Però questo non m'impedisce di ritenere che l'omosessualità sia una deviazione inaccettabile. Un qualcosa che svilisce l'uomo."
"Ma ditemi, spiegatemi, voi che siete un professore... in che cosa sarei svilito io, o chi trova il suo piacere con me? Che forse questo mi rende meno capace di suonare il violino? Oppure mi rende meno onesto, meno rispettoso degli altri? Che vi sarebbe dunque di vile nella mia condotta? Non ho mai forzato nessuno a cedere ai miei desideri. Non ho mai ingannato nessuno. Non ho mai sedotto nessuno che non volesse lasciarsi sedurre."
"Mi scusi, Ferraris, io non mi permetto di giudicarla, come le ho detto, però non posso non giudicare severamente ciò che ai miei occhi è un disordine morale. Non ho nessun problema nei suoi confronti... Comunque preferirei che non si tornasse su questi sgradevoli discorsi."
"Un atteggiamento molto borghese, il vostro." disse con amara ironia il violinista. "Purché non se ne parli... giusto? Quando, dall'alto della verità che pretendete di possedere, non trovate argomenti logici e seri, troncate il discorso."
"Mi scusi, Ferraris, ma non sono io che ho dato inizio a questo discorso con lei. La sua sessualità non mi riguarda, non mi interessa. Apprezzo in lei l'esperto di musica, la persona intelligente e colta. Il resto..."
"Ma l'uomo non è come un frutto, mio caro professore: non si può gettarne la buccia e il nocciolo e mangiare solo la polpa. Se voi non mi accettate tutto intero, così come sono, se non mi sapete accettare, significa che non accettate Carlo Ferraris. Vi comportate con me esattamente come i fascisti si sono comportati con voi. Vi avrebbero anche lasciato insegnare in pace, se non aveste rivelato la vostra vera essenza, non è così?"
"Non mi pare che si possano paragonare le due cose..."
"Paragonare... si può sempre e tutto. Per vederne le similitudini e le differenze. Ma non vi preoccupate, ho capito che non vi vado a genio, non tutto intero, per lo meno. Siete già sufficientemente cortese ad accettare di parlare con me... anche se testé m'avete chiesto di non sfiorare certi argomenti. Buona giornata, professore. Non vi voglio tediare oltre."
Aldemaro lo guardò allontanarsi e scosse il capo. Davvero non aveva nulla contro quell'uomo, ma altrettanto sinceramente, non riusciva ad accettarlo. A comprenderlo. A giustificarlo.
No, si disse, convinto, non si poteva certamente paragonare l'antifascismo con l'omosessualità. Il primo era un valore, in quanto proveniva dall'amore per la libertà e per la democrazia, perbacco! L'omosessualità, invece, era solo una deviazione. Vizio o malattia che fosse. Che valore vi può essere nel giacere e prendere il proprio piacere con una persona del proprio sesso? L'unico punto di contatto era che entrambi erano perseguitati dai fascisti.
Scacciò, lievemente infastidito, quei pensieri dalla sua mente. Dopo tutto quei problemi non lo riguardavano e non lo interessavano. D'altronde, lui erano quasi due anni che non aveva più rapporti sessuali, ma perbacco, un uomo è tale perché è capace di controllare i propri istinti, no? Lui in quei due anni, non si era neppure dato sollievo da solo. Anche se a volte era stato difficile.
Le donne del luogo... irraggiungibili. E le pochissime donne confinate, sembravano più interessate alla politica che a... A parte qualcuna che s'era unita in una relazione con un altro confinato. A volte gli mancava una donna, doveva ammetterlo. Ma non per questo si sarebbe appartato, per esempio, con quel ragazzo di Catania, quel Damiano Musumeci.
Qualcuno lo definiva un femmeniello, alla napoletana. Altri lo chiamavano ricchione, o frocio, o finocchio. Era la barzelletta dei confinati. Un peccato, perché pareva un ragazzo gentile... un peccato che fosse così corrotto.
Quel Damiano era più o meno coetaneo di Aniello, il tabaccaio. Eppure, che differenza fra i due! Aniello, si vedeva, era un ragazzo sano, pulito. Lo si poteva leggere nei suoi occhi brillanti come pietre preziose, dallo sguardo franco e dritto, così diverso da quello sfuggente e malizioso del catanese.
Già, Aniello... chissà se era riuscito a farsi mandare le Turmac? Si chiese Aldemaro. A passo spedito andò in via degli Olivi ed entrò nel caffè. Il ragazzo lo accolse con un sorriso, finì di servire due clienti che erano già lì e gli si rivolse.
"Professore, sono riuscito a farmi mandare qualche pacchetto di Turmac, sapete? Ne volete?"
"Sì, certo, grazie, Aniello. Me ne dia cinque."
"E un caffè?"
"E un caffè, sicuro." assentì Aldemaro, con un sorriso.
Il ragazzo lo servì, poi si appoggiò con un gomito sul bancone e gli chiese: "Ma ditemi, professore, che fate tutto il giorno, per far passare il tempo?"
"Bella domanda. Lascio che il tempo passi da solo. Passeggio, leggo, scrivo..."
"Scrivete? Che cosa, romanzi?"
"No. Come ebbi a dire al direttore di questo ameno luogo di villeggiatura... forzata, fotografo la realtà, ciò che vedo; fisso ciò che mi circonda usando la mia penna in luogo della macchia fotografica."
"Allora presto avrete fotografato tutto. Ma ditemi, che c'è su quest'angolo di terra sperso in mezzo al mare?"
"Ci sono più cose di quante uno potrebbe immaginare. Oltre alla natura, c'è la gente..."
"Allora, voi... fotografate pure me, con la vostra penna?"
"Prima o poi, credo che lo farò." ammise l'uomo con un lieve sorriso.
"E quando lo farete, mi leggerete quello che scrivete di me?"
"Vuole controllare che il ritratto che le farò sia somigliante?"
"Mi incuriosisce poter sapere come gli altri mi possono vedere. Come voi mi vedete, professore."
"Ebbene, se e quando scriverò anche di lei, le prometto che... forse glielo farò leggere. Va bene?"
Aniello annuì con un sorriso.
Ad Aldemaro piaceva molto il sorriso di quel ragazzo. Ogni volta era come una sorsata di acqua fresca, di acqua di fonte, pura, incontaminata. Era un ragazzo semplice, spontaneo, eppure aveva la sensazione che dentro nascondesse tesori. Un po' come la superficie di un limpido mare: bastava tuffarvisi per scoprire tesori sommersi, nascosti, eppure vivi e preziosi.
Mentre lasciava il minuscolo caffè-tabaccheria, Aldemaro si chiese come avrebbe potuto fare per tuffarsi dentro l'anima di quel gradevole ragazzo. Amicizia. Ecco, sì, se fosse stato in grado di stabilire una forte amicizia con lui, avrebbe certamente scoperto i suoi tesori nascosti e ne avrebbe potuto godere.
Le giornate scorrevano tranquille e tutte uguali, eppure Aldemaro non si annoiava. A volte, nel pomeriggio, si ritirava in camera e riposava un poco, un po' riflettendo, un po' sonnecchiando, un po' scrivendo. A volte, nel dormiveglia, gli pareva di vedere spezzoni di scene in cui realtà e fantasia si mescolavano.
Si ricordò che presto sarebbe stato il compleanno del secondo figlio, perciò gli scrisse una lettera. Una lunga missiva in cui gli raccontava della sua vita al confino, facendo attenzione che non vi fossero parti che la censura non avrebbe lasciato passare. Quindi, terminata di scriverla, lasciando la busta aperta come era prescritto, vi appose il francobollo e andò a imbucarla nella cassetta speciale destinata alla corrispondenza in partenza da parte dei confinati.
Aveva concordato con la vedova che avrebbe sempre consumato la cena con lei. Cucinava bene, e benché l'isola dipendesse da Latina, quindi dal Lazio, in realtà era un lembo di Campania, e questo si rivelava anche nella preparazione del cibo.
Spesso donna Tanina cucinava pesce comprato direttamente dai pescatori appena tornavano a terra: dalle varietà più pregiate come saraghi, cernie, scorfani, triglie e anche merluzzi, a quelle meno rinomate, ma non meno buone e dal sapore inconfondibile, come le grandi ricciole e le piccole occhiate, nonostante le molte spine di queste ultime. I pescatori dell'isola usavano ancora sistemi di pesca tradizionali, come il tramaglio ed il bolentino.
Il tramaglio, gli aveva spiegato donna Tanina, era costituito da tre pezzi di reti sovrapposte, di cui le due esterne a maglie grandi, chiamate pezze o pareti, e una interna a maglie più piccole; il bolentino, invece, è la pesca alla canna, eseguita da una barca ancorata, su fondali rocciosi e poco profondi: le condizioni migliori per la pesca a bolentino sono con sole pieno, leggera brezza e acque chiare. Questo aveva spiegato con competenza donna Tanina all'ignaro professore.
"Eh, professore, il mio povero marito era un pescatore e pure i miei figlioli, prima che andassero a lavorare a Ostia, vicino a Roma. Ora lavorano in uno stabilimento balneare, sapete, un posto per gente ricca, per i pezzi grossi del Partito. Faticano di meno e guadagnano meglio. Eh, i giovani d'oggi, mica hanno più la voglia di faticare di noi vecchi. Una volta erano loro che mi portavano a casa il pesce, ora invece lo devo andare a comprare."
"E com'è, donna Tanina, che lei non è andata a vivere coi suoi figlioli?"
"Mah, che volete, una è che sono tutti e tre maritati, e che se ne fanno le mie nuore della suocera in casa? E l'altra è che io ho qui le mie radici, e al cimitero ci sta tutta la mia gente. No, di qui non mi spostano nemmeno le cannonate."
"Non sono in guerra i vostri figlioli?"
"Grazie a santa Candida, no, nessuno dei tre. Sennò, chi manderebbe avanti lo stabilimento balneare per i pezzi grossi del partito?"
"Ho notato che anche qui sull'isola, alcuni giovani non sono partiti per la guerra."
"Pochi, purtroppo, troppo pochi. Non avete notato che ci sono più ragazze giovani che ragazzi? Più donne che uomini, fra gli isolani? Perché credete che sia così? Per la guerra."
"Ha ragione... il fatto è che noi confinati, invece, siamo quasi tutti uomini, perciò non si nota troppo. Anzi, si vedono più uomini in giro che donne."
"Le donne per bene, solitamente, non si fanno vedere troppo in giro. A parte forse le vecchie come me." sentenziò la vedova.
"E... mi dica, lei conosce quel ragazzo che ha una tabaccheria-caffè in via degli Olivi? Quell'Aniello Coraggio?"
"Aniello? Un buon figliolo, gentile. I suoi hanno una casetta a Parata Grande, fanno i pescatori. Però Aniello adesso sta di casa lì, dove ha la bottega. Lo conosco sì: qui ci si conosce tutti. E poi sua madre è una cugina seconda del mio povero marito, perciò mi chiama zia. Si è tutti più o meno parenti, qui a Ventotene. Lo conoscete?"
"Vado a comprare le sigarette da lui."
"Un buon figliolo, sì. Ogni domenica mattina lo vedo a messa, sapete?"
"Non l'ho mai notato..."
"Oh, lui viene alla prima messa, come me. Poi va ad aprire la bottega. Sapete, poiché è anche un caffè, lui può tenere aperto pure la domenica. Un buon figliolo, davvero."
Aldemaro pensò che sicuramente il ragazzo aveva un volto da buon figliolo.