Dopo aver scritto per quasi tutta la mattina, Aldemaro mise via le sue carte, si alzò dal tavolinetto posto accanto alla porta-finestra, si stirò voluttuosamente lasciando vagare lo sguardo sull'ampia distesa dell'azzurro mare, appena increspato da miriadi di diamanti lucenti al sole ormai alto.
Decise di uscire e fare la sua solita passeggiata percorrendo tutte le poche vie e vicoli del centro abitato di Ventotene, nei limiti concessi ai confinati. Lungo il suo vagabondare, di tanto in tanto incrociava un altro "passeggiante" come lui e si scambiavano un cenno di saluto. Ormai anche fra confinati si conoscevano quasi tutti.
Qualcuno, terminato il periodo di confino, poteva finalmente attraversare il confine ammesso e con le sue poche cose prendere il vaporetto che lo riportava alla terra ferma. Altri venivano scaricati e iniziavano, smarriti, il loro periodo di confino. Ma la maggioranza era lì, come lui, chissà da quanto e per quanto tempo. A parte coloro che se ne andavano per la porta di servizio... i morti.
Infatti, sul vasto campione di deportati a Ventotene, i morti erano quasi il due per cento, un'enormità se si tiene conto che l'età media dei confinati si aggirava sui quarantacinque, cinquanta anni. Come quel comunista morto dopo soli due mesi per l'insorgere di una grave forma paratifica. E non mancavano fra i confinati neppure i suicidi, sia fra quelli che soffrivano di una forte forma di depressione per le loro condizioni di vita, sia quelli "suicidati" a opera dei "manciuriani" collusi con la milizia fascista.
Le autorità locali, compreso il "gentile" dottor Guida, stavano riducendo il confino politico a un vero carcere, perché alla fine trovavano il modo di costringere gli elementi più "pericolosi" , più irriducibili, a starsene nelle camerate: questi non potevano fare neppure le passeggiate ché, con una scusa o un'altra, con i più inverosimili pretesti, erano messi in contravvenzione. Le vessazioni erano continue.
Con il passare degli anni ai confinati rimase solamente la possibilità di compiere una breve passeggiata da "automi" sulla via principale che era così percorsa innumerevoli volte al giorno, incontrando sempre le medesime persone che facevano la stessa cosa: cercavano di far passare il tempo senza impazzire.
Già dalla mattina alle otto, quasi tutti i confinati erano fuori. Lemmi lemmi se ne andavano su per la scala di sassi che dalle camerate conduceva a via del Muraglione. Ogni cinque o dieci passi salutavano qualcuno, con un "Ciao", "Salute", "Salve", "Buondì" o con un più formale "Buongiorno": ogni termine rappresentava un diverso grado di intimità.
Ogni mese, ogni confinato riceveva circa centocinquanta lire, cioè cinque lire al giorno (la cosiddetta "mazzetta") ma un chilo di fagioli costava cinque lire, e un chilo di pane costava due lire e quaranta centesimi.
Pochi ricevevano soldi da casa come il conte Aldemaro Franceschini della Riva, ex docente universitario. Allora, chi poteva, si ingegnava a crearsi un lavoro. Alcuni gestivano le sette mense per i confinati, altri una lavanderia, i più intraprendenti anche una botteguccia. Un gruppetto iniziò a coltivare un pezzetto di terra e ad allevare conigli, pollame che poi rivendevano.
Chi fra loro era provvisto di spiccioli, entrava in una delle mense per bere due soldi di caffè: verso l'inizio del mese può darsi che avesse in tasca un cartoccetto di zucchero acquistato in paese, ma solitamente lo beveva amaro verso la fine del mese, prima di ricevere la nuova mazzetta e potersene comprare nuovamente. Passava davanti a uno dei due tabaccai, spesso sprovvisto di tabacco, oppure di sigarette, o che aveva finito le cartine o che era rimasto senza fiammiferi, e che spesso aveva terminato anche il sale. Ma era una scusa per scambiare due parole e lamentarsi.
Per il sale, alcuni isolani avevano rimesso in uso le antiche saline romane, una serie di centinaia di piccole buche circolari, poco profonde, scavate nel nero tufo oltre la punta sormontata dal faro, accanto alle "piscine" scavate sempre dagli antichi romani per allevarvi alcune specie ittiche. Riempite le piccole buche di acqua di mare, si attendeva che il sole la facesse evaporare e si raschiavano le manciate di sale depositato. Era proibito "fare il sale", ma le autorità dell'isola fingevano di non vedere, impegnate piuttosto a sorvegliare i confinati.
La passeggiata proseguiva, passando davanti all'ufficio postale, fermandosi a osservare la biblioteca, poi infilandosi per via degli Olivi. Qui c'erano due caffè, compreso quello di Aniello, due fruttivendoli, alcune botteghe come quella del calzolaio-confinato e anche un arrotino, un confinato lui pure.
Ogni giorno, per mesi e mesi, per anni, ottocento paia di scarpe battevano e ribattevano l'interno dell'esiguo perimetro che delimitava la zona concessa ai confinati, aggirandovisi anche due o tre volte al giorno. Spesso raggiungevano i limiti di quella gabbia all'aperto, imbattendosi in uno dei cartelli di legno grezzo con la scritta "limite di confino" e sorvegliati da un milite fascista con fucile ad armacollo e cartucciera alla cintura.
Così, anche Aldemaro, sospendendo ciò che stava scrivendo, si dette una pettinata veloce, controllò che i suoi abiti fossero in ordine, salutò donna Tanina, uscì e iniziò a fare il suo solito giro, passando davanti all'ufficio postale e facendo un cenno di saluto al direttore, a cui chiese se il vaporetto fosse partito. Ricevutane la risposta positiva, assentì come per dire che tutto andava bene, scese per via Calanave e attraversò piazza Castello.
Fiancheggiando la scenografica Rampa Marina, che dalla chiesa di Santa Candida scende al porto e che era perciò fuori dai limiti permessi, si infilò per Via del Pozzo di Santa Candida, che circonda l'insenatura del Pozzillo. Poco oltre, nei pressi del faro, che era stato edificato per la prima volta poco meno di cento anni prima per guidare i legni nelle notti burrascose, e dove sorgeva una delle batterie a guardia del porticciolo, si inoltrò nella zona detta tradizionalmente, dalla gente del posto, della Polveriera.
Da lì sarebbe stato possibile scendere sia verso destra che verso sinistra, attraverso una scalinata che andava verso la banchina della peschiera, ma che era prescritta ai confinati. Imboccò quindi Via Roma che conduceva verso l'alto a Piazza Castello e, in discesa, verso Piazza della Chiesa. Prese questa seconda direzione.
Da lì, proseguendo lungo Via Granili, arrivò ad affacciarsi al belvedere aperto sulla rada di cala Rossano; oltre i limiti, lo stesso viottolo di terra battuta, continuando in discesa, conduceva al cimitero e infine, divenuto sentiero, saliva alla Villa di Punta Eolo. Gli sarebbe piaciuto potervi andare, ma sapeva bene che sarebbe stato inutile chiederne l'autorizzazione.
Altre due strade, via Casarelle e via del Muraglione, correvano parallelamente a via Granili andando dal Castello baronale, che da pochi anni era stato sopraelevato di due piani per farne un carcere, fino alla zona in cui si trovavano alcuni degli edifici funzionali al confino, la "cittadella confinaria", dove anche lui aveva abitato prima di trovare la sua stanzetta in affitto.
Aldemaro stava guardando verso l'isola di Santo Stefano e la mole del penitenziario borbonico che vi sorgeva sulla sommità, quando sentì un lieve scalpiccio fermarsi alle sue spalle. Si girò e vide che era il "femmeniello" catanese.
"Buon giorno, professore." lo salutò il giovane, guardandolo dritto negli occhi.
"Buon giorno a lei, Damiano."
"Oh, il signor professore si degna di rendere il saluto a uno... come me!" disse il ragazzo in tono lievemente sarcastico, "E conosce pure il nome mio!"
Aldemaro sentì il tono di sfida nella sua voce e lo guardò serio, sostenendone lo sguardo.
"Eh, voi siete una persona gentile, nevvero?" riprese Damiano.
"Che c'è Damiano?" gli chiese Aldemaro, domandandosi il perché di quell'atteggiamento nei suoi confronti. Lui non aveva mai avuto a che fare con quel ragazzo.
"Che c'è dite, neh? C'è che io, con la mia ignoranza, con la mia pochezza, mi chiedo che diritto avete voi, egregio professore, che diritto avete di giudicare il maestro Ferraris... solo perché gli dà piacere a fottere il mio culetto!"
"Sono cose che non mi interessano e che non mi riguardano." rispose in tono leggermente secco Aldemaro. "Se le aggrada fare commercio del suo corpo, Damiano..."
"Ih, commercio! Mica tutti ricevono denari da casa come voi, oltre alla mazzetta. Mica tutti si possono permettere di prendere in affitto una stanza come voi, sapete? Commercio! Per me, io lo farei pure a gratis, se non c'avessi tanti problemi. Ma se oltre a fare quello che mi piace ci posso anche vivere un po' meno malamente in questa fogna di confino... a voi, che vi tolgo, eh?"
"Fare quello che le piace... Non crede, Damiano, che sia proprio qui il problema?"
"E quale problema? Vi fa problema che mi dà gusto succhiare un bell'uccello fino a farlo diventare duro per il piacere, prima di riceverlo tutto nel mio caldo e accogliente culetto? Vi fa problema se, non potendo avere un uomo tutto mio, che si prende cura di me, che mi vuole bene e che gli posso volere bene, mi presto a dare un po' di sollievo al gentile maestro Ferraris, o a un certo bel carabbiniere, e pure ad un paio di militi che... continuano a fottermi con grande piacere, giurando però che loro sono mascoli veraci?"
"Il problema non è mio, ma suo, Damiano."
"E allora, dato che vostro non è, e mio neppure, problema non esiste. Ma il vero problema siete voi, non io, voi che col vostro disprezzo avete ferito una persona fina e buona come il povero maestro Ferraris, il signor Carlo."
"Ferito? Non era certamente nelle mie intenzioni ferire..."
"Ah, no! Ma senti senti! Disprezzate quelli come me, o come il signor Carlo... e mi venite a dire che non era nelle vostre intenzioni ferire. E perché ci disprezzate tanto? Solo perché voi non siete nato come me o come il signor Carlo, o come quel mio carabbiniere così caruccio?"
Aldemaro lo guardò senza reagire.
Damiano fece un risolino e proseguì: "Sapete, lui pure, il carabbiniere, Eros Lucarelli da Terni, di anni venti, le prime volte diceva che lui non è un ricchione, che lo faceva solo per sfogarsi, solo perché gli mancava una donna. Finché, e dai e dai, ha capito che invece è proprio come me e che gli piace di più assai farlo con un ragazzo che con una ragazza... con me. Voi, ci avete mai provato? Che ne sapete che, sotto sotto, siete voi pure un ricchione, se non ci avete mai provato, eh?"
"Che c'è, Damiano, non sta per caso cercando di convertirmi... o di sedurmi?" gli chiese il professore con lieve ironia.
"Sedurvi a voi? Ma manco per sogno! Ma manco se mi copriste d'oro. E sapete perché? Perché non siete uomo, voi, dato che giudicate senza conoscere."
"E lei invece, Damiano, sarebbe uomo?"
"Di più assai di voi. Perché uno non è più uomo se mette l'uccello nella fessa e meno uomo se preferisce metterlo o prenderlo nel culo, mio caro professore. Voi che credete di sapere tutto, dovreste sapere pure che l'uomo verace non si misura dall'uso che fa del proprio uccello o del proprio culo o della bocca sua. L'uomo verace si misura dalla sua capacità di amare; non lo sapete, istruito come credete d'essere?"
"Come può parlarmi di amore, quando tutto si riduce a puro sesso?" gli chiese, sempre con lieve ironia, il professore.
"Mi dà fastidio che mi date del lei, sapete? C'è freddezza nel lei. Preferisco il voi o il tu, onestamente. Il voi di rispetto, che almeno in questo i fascisti c'hanno raggione, o il tu, che può essere di familiarità o di disprezzo... fate voi."
"Dunque lei... tu... mi rispetti?"
"Molto più di quanto voi rispettate me o il signor Carlo. Molto più di quanto meritate, o non vi sarei venuto a parlare." dichiarò Damiano con forza.
"Se non sono degno di rispetto, perché allora continui a darmi del voi: non sarebbe più logico darmi del tu... quel 'tu' che definisci di disprezzo?"
"Preferirei darvi il tu d'amicizia, onestamente, se teneste una capa meno tosta, professore. Se foste capace di capire o se almeno ci provaste."
"Capire che? Che è 'giusto' fare sesso fra uomini?"
"Giusto, sì. Giusto perché è la natura mia. Giusto perché così posso dare sollievo a chi ne abbisogna, ma mica solo un sollievo del corpo, ma pure dell'anima. Sollievo e... affetto. A chi date affetto voi? A voi stesso? Alle vostre idee? Siete capace voi di dare affetto?"
"Si può dare affetto senza bisogno di fare... certe cose nel letto."
"E perché non nel letto? Dov'è il confine? Non vi rendete conto che la vostra anima è più confinata del vostro corpo, in un'isola più piccina di Ventotene? Nell'isola del vostro perbenismo? Non capite che un'amicizia può essere tanto forte e verace e profonda che si può sentire l'esigenza di esprimerla anche con tutto il proprio corpo? Un'amicizia che soccorre la solitudine del signor Carlo, o che ricambia l'affetto del mio dolce carabbiniere?"
"Perciò, secondo te, per essere un... uomo verace, come dici tu, dovrei fare sesso con un altro uomo?"
"Questo lo dite voi, non io. Per essere un uomo verace... come dico io, dovreste semplicemente non avere pregiudizi e non emettere giudizi su qualcosa che non conoscete affatto. Ognuno di noi è diverso dagli altri e se voi siete portato più verso la donna, sono affari vostri. Ma non è merito vostro: ci siete nato, così. Ci siete nato per puro caso, credetemi. Non avete nulla di cui gloriarvi, e tanto meno avete qualcosa da rinfacciare a quelli come me, o come il signor Carlo o come il mio carabbiniere."
"Ma dio creò l'uomo maschio e femmina, perciò la sua volontà è che l'uomo s'unisca alla femmina, non al maschio."
"E dio creò Caino e Abele, perciò la sua volontà è che il fratello ammazzi il fratello!"
"Che c'entra, questo?"
"Appunto, niente. Voi cercate le vostre certezze in quello che vi raccontano, invece di cercarle dentro di voi. Voi avete un'idea e fate di tutto per sostenerla con ogni mezzo, invece di tentare di vedere se è giusta o no. Almeno in questo, scusatemi tanto, ma... voi siete simile assai ai fascisti."
"E tu? Come sei, tu?"
"Io? Una testa di minchia, sono. Ma, almeno, io ce lo so! Perciò c'ho un grosso vantaggio su di voi, che lo siete e che manco lo sapete." gli disse il ragazzo, poi lo salutò: "Fatevela bene, professore." e se ne andò.
Aldemaro era rimasto colpito dalla conversazione con quel ragazzo che parlava in un italiano che risentiva sia delle sue origini sicule che degli anni passati a Napoli. Nonostante Damiano lo avesse accusato di essere preda di pregiudizi, in realtà il professore era uso a riflettere sugli stimoli che riceveva. E certamente il ragazzo gliene aveva dati.
Quando, dopo l'appello, tornò a casa per il pranzo, la signora Tanina stava terminando di cucinare e ascoltava la radio, una piccola "Radio Balilla", prodotta dalla Radiomarelli, col suo bravo fascio davanti all'altoparlante e le due manopole della sintonia e del volume. Era logicamente un programma farcito di propaganda del regime, che celebrava i molti successi che l'Italia stava riscuotendo nella sua guerra a fianco dell'alleato tedesco.
Aldemaro se ne sentì vagamente infastidito, ma non poteva certamente chiedere alla donna, una convinta fascista, di cambiare stazione o di spegnerla. D'altronde, evitava accuratamente di sfiorare argomenti di politica con lei.
Fu allora che desiderò di avere una radio sua... ma sapeva che questo era proibito ai confinati. Se solo avesse potuto costruirsene una di nascosto... Magari una piccola radio a galena... Ma non poteva certamente ordinare i pezzi per farsene una. C'era fra i confinati, però, un ingegnere... avrebbe dovuto parlarne con lui.
Dopo il pranzo, si ritirò in camera a scrivere ancora un poco. Poi, dopo essersi steso per alcuni minuti per fare il rituale riposo, uscì nuovamente per la consueta passeggiata pomeridiana. Si fermò in vista del mare, della grande spiaggia su cui la gente del posto, cioè quelli non al confino, si stendeva a prendere il sole.
Avrebbe voluto poter scendere anche lui sulla battigia, correre sul bagnasciuga, raccogliere le belle conchiglie. Ma non da solo: avrebbe voluto avere tutti con lui, per prendere parte della sua agognata spensieratezza: i suoi amati figli, gli amici più cari; sarebbe stato così felice! Ma lo sapeva, non era che un sogno, il suo.
Risalì verso via degli Olivi, la imboccò e decise di andare a prendere un caffè e comprare le solite cinque sigarette da Aniello. Il ragazzo lo accolse con il consueto luminoso sorriso.
"Beato lei, Aniello, che ha motivo di sorridere!" gli disse Aldemaro, guardandolo con un mesto sorriso, mentre sorseggiava e gustava il buon caffè.
Il giovane rispose al suo sorriso. "Ditemi, professore... ormai ci si conosce da qualche mese... e io, se studiavo, potevo essere un vostro allievo. Non potreste darmi del tu?"
Quel giorno era la seconda persona a chiedergli di dargli del tu. Annuì con un altro sorriso, e, brevemente, iniziò a paragonare nella sua mente quei due ragazzi, Damiano ed Aniello. Ma fu distolto dalla voce del giovane.
"Ho saputo che ora abitate da mia zia Tanina."
"Sì, è così."
"E come ci state?"
"Mah... bene."
"Anche se è una fascista convinta?"
"Non parliamo mai di politica, logicamente."
Aniello annuì: "È una brava donna, comunque. Semplicemente... si beve tutto quello che si dice alla radio o che è scritto sui giornali. O quello che il prete dice dal pulpito."
"E tu... no?"
Aniello si guardò attorno, poi abbassò la voce: "Io no, professore... Io non credo a niente di niente, che venga da una parte o dall'altra. Ciascheduno dice solo quello che ti vuole far credere. Vedete, cerco di ragionare con la mia testa, anche se è tutt'altro che facile e... a volte... pericoloso."
"Già, proprio così, pericoloso: infatti proprio per questo ora io sono costretto a vivere qui, su Ventotene."
"Però, vedete, che scelta può avere uno come me fra due scatole ben chiuse, di cui non conosce il contenuto; o che, se anche potesse aprirle, non riesce a capire che cosa contengono?"
"Perciò... tu non hai fatto una scelta?"
"L'ho fatta sì... Però continuo a domandarmi se ho fatto quella giusta oppure no."
"Questa è una cosa positiva. Comunque non bisogna cercare le nostre certezze in quello che ci raccontano, ma dentro di noi." disse Aldemaro, e si rese conto, mentre le pronunciava, che quelle erano le parole che giusto quella mattina gli aveva detto Damiano, il femmeniello. "Bisogna essere capaci di rivedere a ogni momento le nostre convinzioni." aggiunse.
"Non è mica facile, però! Le nostre convinzioni ci danno sicurezza, per questo tendiamo a restarci attaccati. Un uomo senza convinzioni... come vive?" Aniello chiese, a mezza voce.
"È vero, non è facile. Però è essenziale."
Entrò un milite fascista e i due tacquero. Il nuovo arrivato chiese di verificare la "carta di permanenza", cioè il libretto rosso di Aldemaro; lo sfogliò lentamente, poi glielo rese senza dire nulla. Il professore lo rimise in tasca, fece un cenno di saluto ad Aniello, che gli rispose con un lieve sorriso, e uscì.
Vagabondò ancora un po' nella zona permessa ai confinati. Scambiò due parole con Spinelli, un altro confinato, un ex-comunista che con Rossi e Colorni stava stendendo un "manifesto" sul federalismo europeo. Ma non parlarono di quello.
Spinelli gli raccontò che Secchia aveva messo su assieme a Picardi, un confinato di Napoli, una specie di Bottega dell'Arte dove vendevano i loro dipinti: marine e composizioni di frutta, ma anche ritratti di locali e di confinati come pure conchiglie con su dipinti soggetti religiosi. Non guadagnavano male: riuscivano certi giorni a incassare fino a quattordici lire.
Di Vittorio e Santhià, invece, avevano preso in affitto un po' di terra e si erano messi a coltivarla. Cicalini aveva trovato lavoro presso un fabbro ferraio. Turchi aveva ripreso in mano metro e forbici e aveva ricominciato a fare il sarto per la gente del posto. Povere occupazioni e poveri guadagni, naturalmente.
Aldemaro gli chiese dove potesse incontrare l'ingegner Fiorino, e seppe che era a letto con la febbre, ma pareva che il buon medico condotto di Ventotene lo stesse rimettendo in sesto.
Chiacchierarono ancora un po', quindi si salutarono e ripresero ognuno il proprio vagabondare.
Dopo aver cenato, Aldemaro scrisse ancora un po' le sue "cronache da Ventotene" poi, dopo essere uscito sul balcone a guardare il mare e la vaga silhouette dell'isola di Santo Stefano che stava scomparendo nel crescente buio della sera, decise di mettersi a letto.
Prima di addormentarsi pensò alla lontananza che lo separava dalla sua amata città, dalla sua vita: nonostante fosse passato quasi un anno dal suo arrivo sull'isola, gli pareva ancora di star vivendo, se non in un incubo, comunque in un sogno. Si sa, la vita è forse sogno; ma è meglio sognare dormendo, si disse.
Mentre scivolava lentamente nel sonno, steso e rilassato sul lettino nella sua modesta cameretta, il subconscio gli riportò alla mente quel paragone che nel pomeriggio non aveva terminato di analizzare, fra Aniello, il tabaccaio e Damiano, il femmeniello.
Entrambi erano giovani e quasi coetanei, entrambi di ventidue anni; entrambi di gradevole aspetto, anche se il ventotenese era più "maschio" e il confinato era un po' troppo "delicato" per i suoi gusti, anche se non si poteva dire che fosse veramente effeminato. Ma mentre incontrare Aniello gli procurava ogni volta un vago senso di piacere, incontrare Damiano suscitava in lui in lieve senso di disagio.
Probabilmente, si disse nello stato di dormiveglia che insensibilmente si stava dissolvendo in quello di sonno, se non avesse saputo che il ragazzo siciliano conduceva una vita sessualmente disordinata, lo avrebbe trovato più gradevole.
Fare sesso con un altro uomo... Nonostante, grazie alla cultura classica che aveva, Aldemaro sapesse che simili tendenze, simili individui erano sempre esistiti, e che anzi in certe epoche erano stati addirittura esaltati come "normali" e degni di encomio, gli sembrava che in realtà costituissero una diminuzione della vera virilità che ogni essere umano deve avere.
Virilità come qualità interiore, più che fisica, per cui si poteva affermare, ad esempio, che anche Santa Caterina da Siena avesse avuto un animo virile; non tanto, perciò, virilità intesa come atteggiamento esteriore, quella cioè, così patetica, che i fascisti continuamente proclamavano possedere e mettevano in mostra.
Ogni essere umano, secondo il professore, conte Aldemaro Franceschini della Riva, deve coltivare in sé sia la virilità che la gentilezza, sia la forza d'animo che la tenerezza, sia la giustizia che la compassione, tutte qualità non in opposizione una con l'altra ma piuttosto complementari.
Qualità espresse così bene, ad esempio, nella statuaria classica greca, in quegli atleti, eroi o dèi nudi, che ad un tempo mostravano forza e delicatezza sia fisica che d'animo, così mirabilmente colte dagli artisti del lontano passato e fissate nel bianco marmo. Oppure colte, in epoca più recente, nei mirabili "ignudi" di Michelangelo, affrescati sulla volta della Cappella Sistina.
Ecco, sì... Aniello, benché non l'avesse ancora mai visto senza abiti indosso, avrebbe potuto essere uno dei modelli del sommo Michelangelo per un nudo affrescato sul soffitto della Cappella. Damiano, invece, sarebbe stato più adatto come modello per uno di quei San Sebastiano dipinti o scolpiti in epoca barocca, in atteggiamento così languido, così poco virile nonostante il corpo maschio, così... da attori, che per dare a intendere di essere in preda a una visione mistica, pareva piuttosto che fossero in preda a un godimento sessuale.
Ma in fondo, gli suggerì il suo pensiero mentre vagava per i misteriosi e contorti corridoi del labirinto che conduce al sonno, che cosa vi può essere di più bello, per l'essere umano, del godimento sessuale? E forse anche gli omosessuali possono sperimentare, nonostante tutto, un simile dolce e forte godimento, una simile condizione tanto vicina all'estasi mistica.
Ormai in uno stato di sogno, vide un San Sebastiano abbracciato a uno degli ignudi michelangioleschi, abbracciati in posizione coitale, l'uno con quell'indefinibile e misterioso sorriso maschio eppure dolce, l'altro languidamente abbandonato fra le sue braccia e trafitto dalla freccia di morte e d'amore... che aveva la forma di un fallo stretto e lungo... che ne trafiggeva la carne... E l'uno aveva le fattezze di Aniello, e l'altro quelle di Damiano.
E lui li guardava, quasi un novello Dante accompagnato da un invisibile Virgilio, fortemente sorpreso nel vedere quella scena, quelle carni ignude e frementi così intimamente unite, incapace di capire se dovesse ammirare la bellezza estetica della posa in cui erano congiunti o piuttosto ingiungere loro di far cessare immediatamente quella copula innaturale.
Ma prima che potesse darsi una risposta, prima che potesse chiedere lumi al suo invisibile compagno e guida, fu avvolto dal buio soffice e caldo di un sonno apparentemente senza sogni.