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una storia originale di Andrej Koymasky


OLTRE IL CONFINO CAPITOLO 4 - LA RADIO A LAMETTA

Aldemaro non era mai stato veramente un uomo di chiesa, ma ora andava a messa ogni domenica, sia perché altrimenti i giorni sarebbero stati tutti troppo uguali, e anche perché gli piaceva sentir suonare l'organo e ascoltare il coretto dei bimbi e delle bimbe della scuola, che cantava tanto dolcemente da commuoverlo.

Aveva convinto donna Tanina a permettergli di prendersi cura dei vasi di gerani e garofani che erano appesi all'esterno del parapetto della terrazza e del grande vaso di legno con l'alberello di limone che vi era in un angolo. La donna in quei giorni era un po' sottosopra, perché da Ostia le era giunta una lettera in cui le comunicavano che due dei suoi tre figli erano stati richiamati sotto le armi.

"Non capisco..." gli aveva detto la donna mentre consumavano assieme il pasto, "... se alla radio dicono che stiamo vincendo la guerra, che bisogno c'è che richiamino sotto le armi anche altri?"

Aldemaro non rispose, perché comunque quella, lo capiva, era una domanda retorica, che non richiedeva una risposta.

"Sapete, professore, sono andata in chiesa ad accendere un cero davanti al quadro dell'Assunta, e un altro davanti alla statua della Madonna del Purgatorio, uno per i miei poveri figli in guerra, e l'altro per il mio povero marito. Lei che è madre, mi guarderà i miei figli."

"Speriamo..." si lasciò sfuggire Aldemaro.

"Eh, caro professore, se non abbiamo la speranza, che ci resta? Avete ricevuto notizie, voi, dei vostri figlioli?"

"Sì, grazie, stanno bene. Il grande ha ormai diciotto anni... mi ha promesso che mi manderà una fotografia."

"Vi mancano, eh?"

Aldemaro annuì, pensieroso.

"Ma almeno i vostri, a parte che sono ancora così giovani, non rischiano di essere mandati in guerra, dato che ora abitano in Svizzera. Non m'avete mai detto come si chiamano..."

"Il grande Ferdinando, come mio padre; il secondo, quello di sedici anni, Anselmo; e il piccolo, che ha appena compiuto tredici anni, si chiama Carlo-Felice."

"Il mio povero marito si chiamava Carlo... Era un bell'uomo, sapete?" disse a voce bassa, terminando con un lieve sospiro. Poi, tornando a un tono normale e forzatamente sereno, aggiunse: "Sono contenta che ci siate voi, come fittavolo. Siete una persona a modo. Prima di voi, avevo affittato a una delle maestre della scuola, che ora s'è trovata un appartamentino con una collega, dietro all'Ospizio. Una maestra che viene da Ischia. Si chiama Caterina."

Aldemaro ascoltava quietamente le chiacchiere della donna e di tanto in tanto annuiva, nonostante non fosse veramente interessato a quanto gli stava raccontando.

"... Aniello le ha detto che era contento..." disse a un certo punto donna Tanina.

"Mi scusi, m'ero un attimo distratto..." disse Aldemaro, subito interessato al sentir nominare il ragazzo, "... Di che cosa mi stava parlando?"

"Che Rosetta s'è fatta male, s'è presa una brutta storta alla caviglia di destra e perciò per qualche tempo non può lavorare nei campi; allora Aniello le ha proposto di andare a fare una mezza giornata nel suo caffè-tabaccheria, così lei non deve sforzare il piede e lui può andare a farsi qualche bagno a mare e risposarsi un po'."

"Rosetta è la... ragazza di Aniello?"

"La ragazza? La fidanzata, volete dire? Macché, è la cugina, la figlia della sorella della madre di Aniello. No, Aniello è un figliolo con la testa a posto, mica corre dietro alle ragazze. Anche se alla sua età, sarebbe pure naturale che cominciasse a pensarci, no? Ma lui è tutto lavoro e casa, davvero un ragazzo d'altri tempi. Che poi... anche ai miei tempi... noi ragazzine si faceva un po' le civette coi ragazzi... e che occhiate eloquenti ci lanciavano i ragazzi! Persino in chiesa durante le funzioni sacre, pensate un po'!" disse con un risolino, "Che sfacciati erano!"

Aldemaro non sapeva dirsi perché, ma alla notizia che Aniello non aveva ancora un ragazza provò una specie di inatteso sollievo. Ma non si interrogò troppo su questa curiosa sensazione.

Terminato il pranzo, non andò a scrivere come le altre volte né a fare il consueto pisolino, ma uscì. Quel giorno, l'aria era pura, calda, ma non soffocante. Respirò a pieni polmoni e si avviò verso la cittadella confinaria. Lì giunto, chiese se l'ingegner Fiorino fosse guarito e, avuta una risposta positiva, si informò dove lo potesse trovare.

"Eccolo lì," gli disse l'altro confinato, indicando un uomo che usciva da una delle mense.

Aldemaro lo riconobbe e gli andò subito incontro. "Ingegnere, sono lieto di rivederla in salute!"

"Oh, professore. Beh... mi sento ancora un po' debilitato, ma mi sto riprendendo, grazie al cielo. E lei, come sta?"

"Non mi posso lamentare. Senta, avrei bisogno del suo consiglio, se ha un po' di tempo da dedicarmi."

"Non ho nulla da fare tutta la giornata... Mi dica."

"Voglio costruirmi una radio ricevente." esordì direttamente Aldemaro, sapendo che poteva fidarsi dell'uomo.

Questi si fermò e lo guardò sorpreso: "Addirittura! Credo che sarebbe più semplice evadere dall'isola che riuscire a costruire una radio! Le valvole, tanto per dirne una..."

"Pensavo a una radio a galena, a dire il vero, di cui avevo sentito parlare quando ero a Pisa: facilmente dissimulabile e che non richiede corrente. Solo che anche il cristallo di galena... non credo davvero che sia facile riuscire a procurarselo."

"Se lei si accontenta di una ricevente così debole e disturbata... non è impossibile farla. Sa però che cosa rischia, se la scoprono. Il vero problema, comunque, non è tanto il cristallo di galena, che si può sostituire con una lametta da barba..."

"Una lametta da barba, dite?" chiese stupito Aldemaro.

"Sì, certo. Il vero problema è l'auricolare. Ma se vuole... andiamo a sedere là... e le dico che cosa deve fare. Sarà difficile, ma non impossibile. Dunque, vediamo un po'..." disse sedendo e, preso un rametto secco, disegnò sulla terra uno schema elettrico.

"Ecco, vedete? Essenzialmente è composta da una bobina di rame, a un estremo collegata a un'antenna e all'altro a terra. In parallelo vi deve essere un condensatore variabile che da un capo si connette al rivelatore, cioè il cristallo di galena o un diodo al germanio o, come le dicevo, la lametta da barba. Poi dall'estremità un condensatore fisso che va pure a terra, e infine, sempre in parallelo, la cuffia..."

"Anche i condensatori, l'antenna, oltre alla cuffia, sono difficili da trovare, immagino."

"Sì e no... lei li potrebbe costruire. Il condensatore variabile è più difficile, ma non impossibile. Dunque... il materiale che dovrebbe procurarsi... circa venti metri di cavetto di rame smaltato... anche formato di più spezzoni strettamente collegati alle estremità, dopo aver levato lo smalto. Sa, magari proveniente da un vecchio campanello elettrico, da un relè rotto oppure da un motorino o da un trasformatore di alimentazione, dalla dinamo di una bicicletta... Poi spezzoni di filo elettrico per collegare la massa o terra, che può essere un tubo dell'acquedotto, un rubinetto..."

"Sì vi è un tubo che passa nella mia stanza."

"Ottimo. Poi un altro spezzone di filo elettrico per collegare la bobina all'antenna. L'antenna è il punto critico del progetto... la lunghezza del filo determina anche il quantitativo di elettroni captati e quindi la potenza, in termini di possibilità di ascolto, di una stazione emittente. In casa potrebbe alzare un cavo per circa venti, trenta metri fino ad arrivare al tetto... ma questa soluzione sarebbe troppo visibile e metterebbe certamente in sospetto chi ci controlla. All'aperto sarebbe necessario far arrivare l'antenna sulla sommità di un albero... ma avrebbe il problema del collegamento alla massa."

"Non vi sarebbe un'altra soluzione?"

"Beh... dove abita... vi è per caso un balcone con i fili per stendere la biancheria?"

"Sì, certamente, ve ne sono tre."

"Ottimo. Ma sono di corda o di ferro?"

"Sono di ferro, ciascuno lungo circa dieci metri, tesi fra due aste di solido legno fissato alle pareti."

"Molto bene. Se lei li può collegare in modo che formino un unico filo lungo trenta metri, andrebbe giusto bene. Risolto il collegamento a massa e all'antenna esterna, vediamo ora di fare la bobina. Dovrebbe procurarsi un cilindretto di legno, non importa il diametro, diciamo più o meno di questa dimensione, e avvolgervi attorno i venti metri di filo di rame isolato in spire parallele e ben tese."

"Un pezzo del manico di una scopa, potrebbe andare bene?"

"Certamente. Ai due estremi pianta due chiodini, collega il filo di rame a uno di essi, esegue gli avvolgimenti con la massima cura, ben tesi e accostati, come le ho detto, e una volta avvolti tutti i venti metri, ottenendo almeno settanta spire, meglio se di più, collega l'altro capo all'altro chiodino. È chiaro?"

"Sì, perfettamente..." disse Aldemaro, memorizzando il tutto e sentendosi eccitato come un ragazzino.

"Si tratta ora di costruire i due condensatori. Dovrebbe procurarsi diversi foglietti della carta stagnola usata nei pacchetti di sigarette, o per avvolgere le tavolette di cioccolato, che da un lato ha un sottile strato metallico e dall'altro carta. Dunque, per quello fisso, deve arrotolare assieme diversi foglietti, ben stretti, ma lievemente sfalsati. Perforerà una estremità del cilindretto con uno spillo, che così mette in connessione la metà delle lamelle, e con un altro spillo l'altra metà. Per il condensatore variabile, invece, deve tagliare quadrati di stagnola più o meno di questa dimensione, sovrapporli alternatamente, lievemente sfalsati su uno spigolo opposto, così... Le è chiaro, fin qui?"

"Sì, perfettamente."

"Bene. Depone il pacchetto così ottenuto su due basette di legno strettamente affiancate, poi perfora con un chiodino questo spigolo, collegando metà dei foglietti su una delle due basette, e con un altro chiodino quest'altro spigolo, collegando l'altra metà dei foglietti. Muovendo con molta cautela le due basette, sempre a stretto contatto fra loro, su e giù, i foglietti di stagnola scorrono fra di loro e così la capacità di questo condensatore sarà variata." spiegò muovendo le mani affiancate in avanti e indietro.

"Chiaro."

"Bene. Ora veniamo alla lametta da barba che sostituisce il diodo. Ne fissi una con due o quattro chiodini su un'altra basetta di legno. Poi prenda un mozzicone di matita, ne rompa il legno in modo di ottenerne il cilindretto di grafite. Un filo va collegato alla lametta, l'altro al cilindretto di grafite. Per manovrarlo bene, in modo che la punta tocchi la lametta e in modo di potervelo muovere sopra, ma poi lasciarlo nella posizione ottimale trovata, lo colleghi avvolgendolo con filo di rame spesso, un po' rigido, non isolato, che avvolge dall'altra parte su un chiodo conficcato sulla stessa base su cui è la lametta..."

Man mano che spiegava, l'ingegner Fiorino tracciava a terra disegni illustrativi che rendevano chiaro quanto andava dicendo.

"Ecco, vede, collegate tutte queste parti secondo questo schema, muovendo la punta di grafite sulla lametta e variando l'assetto del condensatore variabile, lei riuscirà a captare alcune stazioni radio-emittenti. Compresa Radio Londra, che credo sia quella che la interessa..."

"Certamente."

"Ma qui viene la parte più difficile: l'auricolare."

"Non lo si può costruire?"

"Non così facilmente come il resto. Non senza attrezzatura idonea. E l'auricolare deve avere un'alta impedenza, cioè fra i 2000 e i 4000 ohm... Temo che l'unica soluzione sia quella di riuscire a rubarne uno... cosa tutt'altro che facile. D'altronde, senza l'auricolare, tutto il resto sarebbe inutile."

"Rubarlo? E dove, a chi?"

"Forse i carabinieri, o la milizia, e molto probabilmente anche i tedeschi ne hanno, però... nessuno di noi può certo introdursi nei loro locali. Io non la posso certamente aiutare: avendo lavorato all'Eiar, sono tenuto particolarmente d'occhio." disse l'ingegnere, cancellando accuratamente con la scarpa i disegni tracciati a terra.

"Lei mi ha comunque dato molti e preziosi elementi... Inizierò subito a cercare il materiale occorrente e, se avrò la fortuna di procurarmi anche un auricolare... vi farò avere le notizie che riesco a carpire all'etere."

"Vedrò di spargere la voce fra gli altri confinati e chissà che si abbia la fortuna di mettere le mani su una cuffia, su un auricolare. Per noi sarebbe molto difficile, date le frequenti ispezioni, le perquisizioni, poter costruire una radio. Perciò ci sarebbe prezioso se lei, nella sua stanza, potesse costruirsene una e comunicarci così le notizie più importanti."

Aldemaro lo ringraziò e, scambiatosi un cenno di saluto, si separarono. Aveva ben chiaro in mente sia lo schema elettrico che tutte le dettagliate spiegazioni che il Fiorino gli aveva fornito e confidava perciò, quasi contro ogni speranza, che si riuscisse a trovare anche l'auricolare, in qualche modo.

Risalì in via del Muraglione e da qui passò in via Granili. La giornata era molto calda, il sole forte, quasi abbagliante. Si fermò in vista della Cala Rossano. Vi erano, quasi di fronte a lui e una decina di metri più in basso, alcuni bagnanti che prendevano il sole sull'arenile. Pareva essere una famigliola: tre bambini ruzzolavano allegri e rumorosi sulla bruna e cocente sabbia, altri due facevano capriole nell'acqua di un azzurro intenso che brillava, inondata di sole.

Alcuni metri più in là, separato dagli altri, notò un giovanotto steso sulla schiena, un braccio ripiegato sotto il capo, l'altro steso accanto al corpo, una gamba ripiegata sotto l'altra: a prima vista gli sembrò che fosse nudo.

Guardando meglio notò due cose: indossava un costume beige, quasi del colore della pelle... ed era senza ombra di dubbio Aniello. Sembrava davvero nudo e un lieve rigonfio nel suo costume, sottolineato da una linea di ombra più scura, faceva indovinare le dimensioni del suo virile equipaggiamento.

Pensò che gli ricordava la statua dell'Endimione dormiente, quella del Canova, conservata in un qualche museo inglese, di cui aveva visto alcune fotografie, e si disse che era incredibilmente bello. Vi era anche un cagnolino seduto, ritto sulle zampe anteriori, accanto ai suoi piedi, proprio come nella bella statua... Ma questa, pensò, era un'opera d'arte vivente.

Un corpo perfetto, virile eppure dolce, così languidamente abbandonato sullo scuro arenile che ne faceva risaltare la pelle lievemente abbronzata. L'Endimione del Canova era di freddo marmo bianco di Carrara, e invece quel corpo aveva la pelle dorata dal sole ed era molto più affascinante.

Provò il desiderio di scendere giù, sull'arenile, per ammirarlo più da vicino, oppure di avere un binocolo... Ma con suo rammarico sapeva che l'una e l'altra cosa gli erano interdette.

Tratteneva quasi il respiro, mentre, le palpebre socchiuse per attenuare il barbaglio accecante del sole, si riempiva gli occhi, la mente e lo spirito con quell'inattesa, poetica, incredibilmente bella e così seducente visione, offerta alla sua muta contemplazione estetica.

Restò immobile per alcuni minuti, poi emise un profondo sospiro e, quasi a malincuore, si girò e tornò lentamente indietro. Ma la sua anima era rimasta là, alla curva della via, e continuava ad ammirare il bel corpo languidamente steso sulla scura sabbia. E per la prima volta, se fino ad allora aveva accettato serenamente il suo esilio su Ventotene, si sentì lieto di essere confinato proprio su quel lembo di bruna terra circondato dall'azzurro e scintillante mare. Lieto, proprio per aver potuto carpire quell'inattesa, splendida visione.

Quando quella sera sul tardi si spogliò, tenendo indosso solo le bianche mutande di cotone a calzoncino, e si stese sopra le lenzuola, sperando di non patire troppo il caldo, appena chiuse gli occhi rivide il bel corpo di Aniello steso sulla spiaggia. Inconsciamente il suo volto si distese in un lieve sorriso mentre il sonno lo stava accogliendo fra le sue dolci braccia.

E in quel momento, più che mai, si sentì solo. La mente lo trasportò lontano nello spazio e nel tempo, alla sua casa di Pisa, al periodo in cui viveva ancora con la moglie e i tre figlioletti... Volò lontano, il suo pensiero, ma poi planò nuovamente su quella scura spiaggia a rimirare quell'immagine incantata, e provò una dolcezza infinita, e si vide volteggiare giù, fino a stendersi su quel corpo così bello, così perfetto e abbracciarlo, sapendo che solo lì avrebbe trovato sereni giorni di pace, una vita libera e felice.

Improvvisamente fu nuovamente sveglio e, quasi di scatto, si sollevò a sedere sul letto, turbato. Il turbamento aumentò quando si rese conto che il suo membro era eretto e premeva vigorosamente sotto la leggera tela delle mutande.

Che gli stava accadendo? Gli era venuta un'erezione nel rivedere, nella mente rilassata nel sonno incombente, il corpo di Aniello? Com'era possibile? Eccitato per il corpo di un maschio, di una persona del proprio sesso! Scosse il capo, un po' per negare il fatto, un po' per schiarirsi le idee.

Ora quasi temeva di riaddormentarsi. D'accordo, il corpo del ragazzo era molto bello, ma... come poteva una giusta, logica ammirazione estetica, trasformarsi in eccitazione sessuale? Che gli stava accadendo? Mica s'era mai eccitato per la perfetta anatomia del Davide di Michelangelo, no? Né per l'Endimione... né.

"Che diamine! Sono un uomo normale, io!" mormorò in tono deciso, quasi più per convincere se stesso che per altro.

Il sonno, i sogni, giocano strani scherzi... si disse poi, stendendosi di nuovo, ma con gli occhi ancora spalancati. Era però conscio dello stato del proprio membro, ancora fortemente eretto, che sembrava quasi accusarlo di cose innominabili.

Da persona razionale quale era, Aldemaro cercò di trovare una spiegazione logica a quello strano, imprevisto, imbarazzante fenomeno. Ma, onestamente, non riusciva a trovarne una, se non che il sogno è qualcosa di irrazionale, di fittizio, di assurdo.

Probabilmente, si disse, cercando di calmare il tumulto che gli agitava il petto, la mia mente ha mescolato, confuso la nostalgia per la mia sposa con l'ammirazione per quel dolce e bel ragazzo. Sì, deve essere così.

Non gli era mai capitato di desiderare una persona del proprio sesso, di eccitarsi, sessualmente, per un altro uomo. Mai. Cercò di rilassarsi, di calmarsi. Esitava ancora a chiudere gli occhi, a lasciarsi andare al pur necessario sonno. Temeva che il suo subcosciente gli giocasse nuovamente un brutto scherzo.

Brutto... o stranamente, assurdamente bello? L'immagine, che il sogno aveva proiettato contro le sue palpebre chiuse, era pregna di dolcezza, doveva ammetterlo. Era stata la fonte di uno strano, imprevisto, non voluto ma gradevolissimo piacere.

Aniello... la sua voce sussurrò nella propria mente e il suono di quel nome era carico di echi soavi. A-niel-lo... Un ragazzo solare, un corpo apollineo, un sorriso pieno di luce, occhi brillanti come stelle... Aa-nieel-looo...

Un corpo dolce eppure virile... quindi no, non poteva esserne attratto, non fisicamente, non sessualmente. Ma allora, da che cosa poteva essere originata quella imbarazzante erezione che solo ora iniziava, molto lentamente, a diminuire?

Si sentiva il corpo pesante, la testa greve; si rilassò chiudendo nuovamente gli occhi, cercando di fare il vuoto nella propria mente stanca e turbata. Il lieve, ritmico rumore della risacca, giù sotto il balcone, ai piedi della parete verticale di roccia, sembrava insinuarsi fra i suoi pensieri, quasi lavandoli via a ogni ondata... Lentamente, insensibilmente, si addormentò di nuovo.

Ed ecco che, nel sogno, lo vide di nuovo, completamente nudo, da lontano, steso sulla spiaggia. Lo ammirò in un commosso silenzio e sentì che Aniello faceva parte di quella spiaggia, dell'isola stessa, che ne era anzi l'espressione e il demiurgo a un tempo. Sentì che nel ragazzo era espressa la purezza primigenia, che rappresentava il maschio perfetto, che in lui la natura s'era fatta carne viva... e godette la sensualità che ne trasudava.

Quando, la mattina seguente, riaprì gli occhi, si sentì incredibilmente bene e pieno di vita. E subito gli tornò in mente Aniello, la sua immagine, il turbamento della notte, e provò forte il desiderio di rivedere quel ragazzo.

Alla chiara luce del giorno, quanto l'aveva turbato nella notte precedente, gli sembrò meno assurdo, meno strano, meno incomprensibile. "Il bello è bello. Semplicemente, per qualche strana alchimia suscitata dal sonno, l'ammirazione estetica con la reazione fisica si sono sovrapposte e confuse." si disse scendendo dal letto e stirandosi voluttuosamente.

Andò al lavandino e vi orinò dentro, poi lo sciacquò accuratamente, prese il sapone e si lavò. Quindi prese il rasoio di sicurezza e, insaponatosi nuovamente il viso, si rasò accuratamente. Già, la lametta... uno degli elementi per costruirsi la radio, pensò, mentre la faceva scorrere lieve sulla liscia pelle del volto. Terminato di radersi, si sciacquò ben bene e si asciugò.

Si passò le mani sul petto ampio e lievemente villoso, prese i leggeri abiti estivi e li indossò. Si stava allacciando le scarpe, seduto su una delle due sedie, quando sentì un lieve bussare sui vetri della porta finestra. Attraverso la bianca e leggera tenda riconobbe la silhouette di donna Tanina.

"Vengo!" disse ad alta voce.

"Volevo solo assicurarmi che siete sveglio. Vado a preparare la colazione, professore."

"Grazie, arrivo subito."

Quando si recò nella cucina-soggiorno, la donna gli mise davanti una ciotola piena di latte e caffè d'orzo, un cestello di tocchi di pane secco, un uovo sodo e alcuni frutti. Sedette anche lei e iniziarono a mangiare. La radio trasmetteva canzonette.

"Quando... quando avete chiesto l'autorizzazione per affittare la stanza da me... prima di darvela... sono venuti a chiedermi di tenervi d'occhio e di avvertirli se dicevate o facevate qualcosa di... strano." esordì la donna, sogguardandolo.

"Ah, davvero? E... ho detto o fatto qualcosa di... strano?" le chiese Aldemaro, studiandone l'espressione.

"No... non ancora, per lo meno. E poi... non ricevete mai nessuno nella vostra stanza."

"E chi dovrei ricevere? In fondo non conosco nessuno. Oltre a un buongiorno e buonasera, due chiacchiere tanto per passare il tempo..."

"Ma non vi sentite solo? Almeno, là nella cittadella... eravate fra compagni e..."

"Sto molto meglio qui, mi creda. Ma perché mi ha rivelato che le hanno chiesto di sorvegliarmi?"

"Non ve lo immaginavate? Dopo tutto lo sapete che io sono una... una buona fascista. Beh, prima di tutto sono una buona cristiana, poi una monarchica, e per terzo una fascista. In questo ordine. Voi... la domenica andate a messa... non so cosa ne pensate del re, anche se, dato che siete un conte, credo che gli siete fedele, ma so che non vi vanno a genio i fascisti."

"Diciamo che non sono tanto i singoli fascisti che non mi vanno a genio, ma l'ideologia fascista... e certi fascisti disonesti e violenti. Lei, ad esempio, anche se si dichiara fascista, è una persona buona e degna di rispetto."

"Ho sentito dire che... il comandante delle camicie nere di qui, il centurione Zangarini... lo conoscete, no?"

"Come potrei non conoscerlo. È lui preposto alla sorveglianza di noi confinati."

"Beh, pare che quello Zangarini... sia un poco di buono, sapete?"

"Ah, davvero? E perché?" chiese Aldemaro, incuriosito, ma senza sbilanciarsi.

"Dicono che... alleva, col rancio destinato ai suoi militi, i suoi cani e le sue galline, e che porta via dalla mensa tante cose. Pensate che dicono che, quando è andato in licenza per quattro giorni, ha portato con sé sette chili di fave tolti dalla mensa per darli alla sua famiglia. E poi è sempre nell'osteria a bere vino e se non può andare nelle osterie va di sera alla mensa e sta fino a tardi a ubriacarsi coi cucinieri in strada e poi ha dei modi da villano..."

"Non ne sapevo nulla."

"Non avete mai visto le facce che fanno i confinati che gli ridono alle spalle... e che per il suo comportamento è cordialmente odiato da tutto il reparto mentre lui crede di essere ben visto? I suoi uomini non ne possono più, credetemi, e pensano di mandare una lettera al Partito per farlo mandare via."

"Capisco. A me non ha dato soverchio fastidio."

"E siccome è lui che è venuto a chiedermi di tenervi d'occhio... Io gli ho assicurato che lo farò... Ma con me... potete stare tranquillo. Ché fra lui e voi, lo giuro su dio, voi siete molto più degno di rispetto... anche se siete antifascista. È gente come quello Zangarini che insozza il buon nome dei fascisti."

"Purtroppo non è il solo." si azzardò a dire Aldemaro.

"Già, purtroppo."

"Ha notizie dei suoi figlioli?"

"Di quello restato a Ostia, sì, sta bene... Degli altri due no... e sto tanto in pena per loro."

"Una brutta cosa, la guerra." commentò Aldemaro.

"Brutta sì. Speriamo che finisca presto..." mormorò donna Tanina alzandosi e andando a lavare le ciotole vuote.


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