Che indicibile confusione albergava in quei giorni nel suo animo! A volte, durante le sue quotidiane passeggiate, imbacuccato per sopportare le folate di vento lieve ma gelido, guardava il mare così calmo, così azzurro e terso, e sognava e ricordava tante cose. La soave visione del corpo seminudo di Aniello sulla spiaggia, il sorriso con cui lo accoglieva quando si recava nella sua tabaccheria-caffè, quell'abbraccio davanti alla radio dimenticata, si schieravano innanzi a lui che le riviveva a volte ebbro di gioia, saturo dei sorrisi del ragazzo e sentendosi felice, altre ancora terribilmente confuso e incerto.
A volte socchiudeva gli occhi sentendosi presto afferrare da un soave senso di abbandono e da dolci immagini... e il suo corpo immancabilmente reagiva, facendo ardere il desiderio nei suoi lombi. E provava, crescente, il desiderio di tuffarsi in quell'amore che il ragazzo gli offriva, di provare la voluttà che con l'amore gli avrebbe certamente donato.
A volte, si fermava a guardare, oltre il breve tratto di mare, l'isolotto, o meglio lo scoglio di Santo Stefano, che si ergeva poco lontano con il suo ergastolo, e che sembrava avido di luce e che supplicasse il sole morente di baciarlo, dandogli un ultimo saluto. E gli sembrava che lo scoglio gemesse mentre si illuminava divenendo quasi di fuoco nell'ora affascinante del tramonto. Che pregasse di essere liberato dal peso dell'ergastolo che sorgeva su esso... e che sembrava racchiudere l'anima tormentata di Aldemaro.
Doveva combattere con se stesso per non andare, ogni mattina e ogni sera, in via degli Olivi, per rivedere Aniello e godere della sua visione. E ora, quando vi si recava, sentiva un grato calore scaldargli il cuore e i lombi, sapendo che il sorriso di Aniello era qualcosa di speciale, era veramente, completamente per lui. Un calore che nasceva nel cuore, ma che presto gli si focalizzava altrove.
Aniello, anche le volte in cui erano soli nel caffè, non era mai più tornato sul loro discorso, e di questo Aldemaro gli era grato. Però aveva iniziato a dargli il caffè accompagnandolo con le parole "per te..." e gli permetteva di pagare solo le sigarette, mai il caffè.
"Perché le sigarette me le lasci pagare e il caffè no?" gli aveva chiesto una volta.
"Perché le sigarette sono un vizio, non mi va di offrirtelo. Il caffè è un piacere, e allora..."
Ma il vero piacere, per Aldemaro, più che bere quel buon caffè, era poter rivedere Aniello e, se anche si imponeva di non andare troppo spesso nella sua botteguccia, sentiva sempre più forte il desiderio di poterlo vedere, di goderne il sorriso, di ammirarne le belle forme; anche se ormai, con il sopraggiungere dell'inverno, gli abiti più pesanti gli permettevano di ammirarne solo il volto e le mani.
Aldemaro era cosciente che stava gradualmente "cedendo" alla propria attrazione nei confronti di Aniello, e sempre più spesso si chiedeva perché non si decidesse a capitolare completamente. Che cosa lo tratteneva ancora? "Che valore vi può essere nel giacere e prendere il proprio piacere con una persona del proprio sesso?" si era chiesto quel lontano giorno in cui aveva "giudicato" il maestro Ferraris.
Forse... solo nel giacere e prendere il proprio piacere non vi era alcun valore, ma nell'amare... L'amore è, di per sé, un valore. Ma lui... amava veramente quel delizioso ragazzo? Il desiderio che provava sempre più acuto era espressione, manifestazione di un amore o solo di un qualcosa di materiale, di esclusivamente fisico?
E poi, che cosa è l'amore? Quante definizioni ne aveva dato l'uomo a partire dagli antichi filosofi greci via via fino al presente? La più semplice definizione era che si tratta di un vivo sentimento di affezione verso una persona, che i greci chiamavano "filia", che si manifesta come desiderio di procurare il suo bene e di ricercarne la compagnia. È consonanza spirituale con un'altra persona, ma anche desiderio carnale, cioè "eros". E quando è donazione di sé è ciò che viene chiamato, dai teologi, "caritas"...
Ecco, Aldemaro avrebbe voluto poter far coincidere queste tre espressioni di amore in una sola e allora si sarebbe arreso totalmente, avrebbe capitolato senza ripensamenti, senza problemi. Nonostante si trattasse, nel suo caso, di un amore con una persona del proprio sesso. Questo ultimo aspetto, ormai, gli creava sempre meno problemi.
Si era giunti all'inizio di dicembre. Rientrando in casa Aldemaro vide che donna Tanina era seduta al tavolo, un'espressione fortemente tesa sul volto, con un giornale aperto davanti a sé.
"Che le succede, Tanina? Ha un'espressione che..." le chiese, preoccupato. "Che c'è su quel giornale?"
"Leggete qui, Aldemaro: è il Messaggero di ieri, del 3 dicembre." rispose la donna girando il giornale verso di lui e indicandone un punto con il dito.
L'uomo prese il giornale che Tanina gli porgeva e lesse ad alta voce:
"In un discorso alla nazione, ieri, il Duce, dopo aver lanciato dure accuse contro il presidente americano Roosvelt e il primo ministro inglese Churchill, ha tracciato un rendiconto dei costi sinora pagati dall'Italia e ha fatto il bilancio della guerra italiana sui vari fronti: 40.000 caduti, 2.000 civili morti sotto i bombardamenti, 232.000 prigionieri, 37.000 dispersi..."
"E stiamo vincendo la guerra?" chiese la donna con voce quasi roca, scuotendo il capo.
"Si può vincere anche... con gravi perdite come queste."
"E via, Aldemaro! E poi... che me ne faccio io, della vittoria, se fra questi quarantamila... o gli altri duecento e più mila prigionieri... per non parlare dei dispersi, che vuol dire morti di cui non hanno trovato i corpi... che me ne faccio io, e le altre madri, se fra loro ci sono i nostri figli? Hanno deciso di mandarli in guerra, mica gliel'hanno chiesto! Mica l'hanno chiesto quei poveri ragazzi di andare in guerra, né l'abbiamo chiesto noi madri, no? E, chi ha deciso, si gode la vita a Roma, al sicuro, comodamente seduto in poltrona!"
L'uomo sedette pesantemente. "La guerra è giusta solo se la combattono gli altri e non i nostri figli?" chiese, ma senza rimprovero nella voce.
"No... La guerra... è come i litigi in famiglia: non sono mai giusti. E quando si litiga in famiglia, sono sempre i più deboli, i più indifesi che la pagano. I piccoli. Non ho mai detto che la guerra è giusta. No, non io. Ah, se il nostro Duce non si fosse fatto incantare da quel tizio di Berlino! Li vedete, i tedeschi, che stanno montando non so che aggeggio su verso punta dell'Arco..."
"Un radar..."
"... tutti azzimati e che si credono superiori a tutti, migliori di tutti? Proprio come il Führer... che si crede un dio in terra!"
"Tanina, non fatevi sentire a dire queste cose, sennò..."
"Mi mandano al confino?" chiese la donna con lieve, mesta ironia. "Spero che i miei figlioli siano stati presi prigionieri... almeno non rischiano di... Una donna fa i figli, li alleva, li cura, dà l'anima per loro per poi... magari perderli in una guerra. E perché questa guerra? E perché le altre guerre? Per fare... grande la nostra patria? E non è meglio essere piccoli, allora?"
Aldemaro non sapeva che dire. Non avevano mai parlato di politica fra loro, e, sapendo che Tanina era fascista, aveva infatti il ritratto di Mussolini proprio lì nel soggiorno-cucina, accanto a quello del re, non aveva mai sospettato che nutrisse simili pensieri.
La donna riprese: "Per portare la civiltà romana al mondo, dicono... Ma se il mondo non la vuole? Se io vi voglio offrire un buon piatto, Aldemaro, ve lo propongo, certo, ma mica vi prendo a bastonate se non lo volete mangiare, no? Se preferite il pane secco, o un piatto diverso che magari io non apprezzo, sarete ben libero di mangiare quello che volete, no?"
"Sono d'accordo con lei, Tanina..."
"E per questo vi hanno spedito qui a Ventotene... lo so. Per questo so che posso parlare liberamente con voi e sfogarmi. Voi siete un brav'uomo. Ha ragione Aniello ad ammirarvi tanto e a volervi bene."
"Come mai lui non è dovuto partire per la guerra? Non l'hanno chiamato sotto le armi? Non gliel'ho mai chiesto, per rispetto... ma me lo sono domandato spesso."
"È stato esonerato per sordità..."
"Sordità? Non mi sono mai accorto che Aniello fosse sordo!"
"No... È che aveva avuto un'infezione alle orecchie e in quel periodo davvero ci sentiva poco e male e aveva dei capogiri... Però poi è guarito quasi completamente; ma per sua fortuna sulle carte c'è rimasto scritto che è sordo, e così non l'hanno più chiamato."
"Beh, sono veramente contento per lui."
"Siete affezionato al ragazzo, neh? Sapeste quanto mi fa piacere."
Chissà se le farebbe piacere se sapesse quello che provo per Aniello? si chiese il professore, girando nuovamente il giornale verso la donna, che lo ripiegò.
"Sarà meglio che mi metto a preparare la cena. I vostri panni, lavati e stirati, sono lì su quella sedia." disse, e si alzò, iniziando a trafficare per preparare il pasto.
"Grazie, Tanina. Lei è un angelo."
"Mah... Se lo dite voi. Sapete, all'inizio, quando siete venuto a chiedere la stanza... e a me hanno chiesto di... tenervi d'occhio, mica ero proprio convinta."
"E adesso?"
"Quando finalmente potrete lasciare Ventotene, sarò molto contenta per voi, Aldemaro, ma mi dispiacerà per me... e anche per Aniello. Vi ridaranno il posto da professore all'università?"
"Temo proprio di no. L'avranno già dato a... a uno dei loro."
"Già. E che farete, allora?"
"Sinceramente non lo so. Vedremo. Per ora mia sorella dalla Svizzera mi manda un po' di denaro, ma dovrò ricominciare a guadagnarmelo, in qualche modo. Vede, Tanina, un professore, oltre che insegnare, che altro può fare? Forse dovrei imparare un mestiere."
"E che mestiere vi piacerebbe fare, se non vi lasciano più insegnare?"
"Lei cosa mi consiglierebbe di imparare a fare?" le chiese con un sorriso.
La donna si girò e lo guardò, pensierosa. "Mah... una persona istruita e fine come voi... certo non il contadino né il pescatore. Sareste sprecato e poi, chi non c'è nato... chi non l'ha imparato da piccolo..."
"Perciò non ho un futuro."
"No, non dite così! Tutti abbiamo un futuro, finché riusciamo a stare in piedi. Certo, però, che non troverete neanche un lavoro come dipendente dello stato, visto che siete un antifascista. Non avete beni di famiglia?"
"Qualcosa, sì, ma non veramente sufficienti per vivere di rendita... Mah, qualcosa farò."
"Capisco che magari voi non vedete l'ora di andarvene via da Ventotene, appena potrete. Ma se... Qui la vita è più facile, meno cara, si vive con poco. E voi mi sembrate il tipo che si adatta, per quello che vi conosco e che ho visto."
"Ma che potrei fare, qui? Ora, per passare il tempo, un po' scrivo, un po' giro entro i limiti permessi, come un animale in gabbia. Qui ci sono più persone che cercano di inventarsi un lavoro che veri lavori da fare. Comunque non me ne preoccupo, per ora: c'è tempo. A ogni giorno basta il suo affanno."
Nel pomeriggio del giorno dopo, quando Aldemaro passò per piazza della Chiesa, vide che c'era Damiano, che guardava verso il mare, verso il vaporetto che si allontanava dall'isola. Quando il ragazzo si girò, notò che aveva le gote rigate di lacrime.
"Damiano! Che ti succede?" gli chiese, quando i loro sguardi si incontrarono.
Il giovane fece spallucce, senza rispondere, e si asciugò le lacrime col dorso di una mano e tirò su con il naso.
"Non ti ho mai visto così... in questo stato."
"E che ve ne importa, a voi?" chiese il giovane siciliano, tirando di nuovo su con il naso.
"Che ti è accaduto, eh? Dov'è finito il Damiano sempre allegro, ironico... Che ti hanno fatto?"
"Niente. No, niente..." rispose a bassa voce il ragazzo.
"C'è... tristezza, nei tuoi occhi."
"Allegria no di certo. Se n'è andato... l'hanno trasferito."
"Chi?" chiese Aldemaro senza capire.
"Lui... il mio Eros... il carabbiniere Lucarelli Eros, di Terni."
"Il ragazzo con cui m'hai detto che..."
"Uno di quelli che mi fotteva in culo, sì!" rispose quasi con durezza. "E... ma... ma lui... adesso vi faccio scompisciare dal ridere, professore neh? Noi due... lui... io... ci si era... innamorati."
Aldemaro fece un profondo sospiro: "No, Damiano, non c'è proprio nulla da ridere. Mi dispiace, piuttosto. Mi dispiace per te... per voi."
"Vi dispiace? Ma come, a voi che... che noi ricchioni li valutate meno di un animale?" chiese con sarcasmo.
"Mi dispiace, se vi amate come mi dici, che ora siate separati. Capisco il tuo dolore."
"Eh, pure gli animali soffrono, neh, professore? Avevo smesso di andare con altri, sapete... avevo smesso, per lui. E me le sono pure buscate, per aver detto di no a un manciuriano. Quanto sono stronzo, neh? Ci pensate, un degenerato stronzo. Non vi fa ridere?"
"No che non rido, Damiano, proprio per nulla. Ma come mai l'hanno trasferito? I superiori avevano forse scoperto... di voi due?"
"Scoperto? Ci mancherebbe, mica l'avrebbero trasferito! L'avrebbero radiato e poi messo in galera o mandato al confino altrove... o più probabilmente al fronte. No, ci si doveva vedere di nascosto, logicamente... e siamo sempre stati prudenti assai. No, l'hanno mandato a Pescara. È lontano, è sul mare Adriatico, m'ha spiegato, dall'altra parte dello stivale."
"Mi dispiace per te, per voi, Damiano, davvero."
"Che è, professore, vi siete convertito, per caso?" gli chiese con un tono lievemente ironico.
"Forse... forse averne parlato con il maestro Ferraris e anche con te... Un uomo... può anche cambiare idea, non credi?"
"Cambiare bandiera, sì, capita spesso assai; ma cambiare idea... Cos'è che vi ha fatto cambiare idea? Certo non io, che mica vi so tenere testa coi miei ragionamenti, a voi che siete un professorone! E certo non perché mi sono fatto fottere dai due crucchi per procurarvi... quello che sapete."
"Un ex-professore. E riguardo a quanto hai fatto per me, ti sono grato, certo, ma no, non è neanche per quello. Il fatto è che..." iniziò a dire, ma non se la sentì di aprirgli l'animo, di dirgli quanto stava provando per Aniello.
Damiano lo guardò, studiandone l'espressione, poi disse, a bassa voce: "M'avevate chiesto perché vi davo del voi e non del tu... il tu di disprezzo... No, io non vi disprezzo e... e se accettaste che uno come me... un ricchione... vi dia del tu... ne avrei molto piacere."
Aldemaro sorrise ed annuì: "Anche io ne avrei piacere. Dopo tutto, abbiamo qualcosa in comune, no?"
"Già, siamo due 'nemici' del fascismo." commentò il ragazzo. "Due confinati."
Aldemaro avrebbe voluto dirgli che forse avevano anche altro in comune... ma nuovamente non se la sentì di aprirgli l'animo.
"Beh, ci vediamo allora, e grazie che ti sei preoccupato di me... Mi passerà... lo dimenticherò... troverò un altro..." mormorò in tono triste e, fatto anche un cenno di saluto, lanciò un'ultima occhiata verso il mare e si allontanò.
Aldemaro lanciò un'occhiata verso il milite che stava di guardia, con aria annoiata, all'imbocco delle Rampe, poi si girò e prese via Roma andando verso la Torre, cioè il Castello.
E così, si disse, Damiano s'era innamorato del suo giovane carabiniere, e ora la vita li aveva separati. E ora ne stava soffrendo. Proprio come qualsiasi coppia di innamorati a cui la sorte impedisce di stare assieme.
E lui? Avrebbe pianto a essere separato da Aniello? Benché fra loro non ci fosse nulla altro che la sua crescente attrazione verso quel bel ragazzo, quel dolce ragazzo.
Provò l'impulso di andare in via degli Olivi, al caffè, per rivederlo. Esitò un poco, poi vi si avviò a passo svelto, quasi come per non cambiare idea. Appena entrò, Aniello lo accolse col suo sorriso incredibilmente bello. Aldemaro fu percorso da un lungo fremito.
"Ciao, tutto bene?" lo salutò.
"Sì, Aldemaro, e tu?"
"Mi basta vederti per stare bene." mormorò d'istinto, prima ancora di rendersi conto di quanto stesse dicendo.
Aniello non sembrò affatto sorpreso per quelle parole. Si mise subito a preparargli il solito caffè.
"Voglio smettere di fumare..." annunciò Aldemaro.
"E perché? Vuoi mandarmi in rovina?" gli chiese allegramente il ragazzo.
"Perché tu non fumi." spiegò a mezza voce l'uomo.
"Ma a me mica dà fastidio, se fumi... Comunque... se hai deciso di perdere il vizio... Hai sentito... qualcosa di interessante?"
Aldemaro capì che si riferiva alla radio. Erano soli, perciò iniziò a dire: "Ieri sera..."
Ma in quella entrarono due manciuriani, perciò Aldemaro tacque, prese la tazzina che Aniello gli aveva messo davanti e si mise a sorseggiare lentamente il caffè, attendendo che uscissero. Non vi era alcuna confidenza fra confinati politici e manciuriani, che erano criminali comuni, oppure alcolizzati o barboni. Inoltre i manciuriani, per ottenere qualche piccolo vantaggio, facevano spesso la spia riferendo alle autorità le attività, gli incontri dei politici.
I due, senza dire una parola, misero le monete sul bancone; Aniello le prese e fece loro due caffè.
Quando finalmente i due uscirono, Aniello fece un profondo sospiro: "Non mi piacciono quelle facce! Hai notato come si guardavano attorno, con occhi da faina? Sicuramente per valutare se qui dentro c'è qualcosa da rubare."
"Sono amati meno dei militi, il che è tutto dire!" commentò Aldemaro, posando la tazzina vuota sul bancone.
"E non solo da voi confinati, ma anche da noi del posto. Da loro mi faccio sempre pagare anticipato, sennò non li servo. Hanno già provato a fregarmi una volta... Gentaglia..."
Aldemaro aveva ancora la mano attorno alla tazzina vuota, sul bancone. Aniello gliela sfiorò: "Posso?" chiese
Aldemaro provò un forte fremito a quel lieve contatto. Tolse la mano, quasi a malincuore. Poi mormorò: "Ho voglia di baciarti..."
L'aveva detto a voce bassissima, ma Aniello aveva colto le parole e gli aveva risposto con un sorriso dolcissimo. "E nient'altro?" gli chiese, anche lui sottovoce.
"E molto altro..." aveva ammesso Aldemaro, sentendosi percorso da ondate di calore, per ciò che quelle parole implicavano.
"Quando?" aveva chiesto semplicemente il ragazzo.
"Stasera?"
"Dopo cena, da te?"
"Sì..." sospirò Aldemaro, sentendosi girare la testa per l'intensità di quanto stava provando per la sua completa capitolazione.
Quando uscì, una lama gelida di vento lo fece rabbrividire e stringere nel cappotto, ma continuò a sorridere, godendo il piacevole calore che si sentiva dentro ora che aveva finalmente deciso di accettare l'amore di Aniello e la sua manifestazione fisica.
Si chiedeva come sarebbe stato: non è che non potesse immaginarlo, se non altro dopo l'esplicito colloquio di qualche mese prima con Damiano, quando gli aveva detto: "L'uomo verace non si misura dall'uso che fa del proprio uccello o del proprio culo o della bocca sua." E anche quando, dopo aver rubato l'auricolare ai tedeschi, gli aveva detto: "Mentre stavo a novanta gradi a prenderne uno in culo e l'altro in bocca..."
Stranamente, immaginare queste pratiche, ora non lo disturbava come sarebbe accaduto fino a solo poco tempo prima. Forse perché mentre in precedenza, pensando a queste cose visualizzava solo i genitali in azione, ora visualizzava al contrario tutto l'affascinante corpo di Aniello e, soprattutto, il suo sorriso.
Dopo tutto, si disse, non doveva essere "molto" diverso da quanto aveva fatto con la moglie. Per non avere più dei tre figli che volevano, avevano ben usato quello che la moglie chiamava "la porta posteriore", no? E con lei a volte avevano anche avuto lunghi e piacevoli rapporti oro-genitali.
Curiosamente, pensare a questo non gli procurò un'erezione, come invece gli aveva procurato, spesso in quegli ultimi tempi, anche solo il suono della voce o il sorriso di Aniello o la semplice vicinanza con lui. Abituato ad analizzarsi, era un po' stupito per il cambiamento sopravvenuto in lui... Doveva essere "colpa" dell'amore, si disse.
E capì anche, più chiaramente, le lacrime di Damiano per aver perso il suo Eros, il suo giovane "carabbiniere" con due B...
Fu avvertito da un agente di polizia che il direttore aveva una comunicazione per lui. Si recò perciò subito dal dottor Guida. Quando questi lo fece accomodare nel proprio ufficio, gli sospinse davanti una lettera.
"Ho preferito darvela io in persona, questa volta." gli disse l'uomo. "Proviene dai vostri figli."
"Qualche problema?" chiese Aldemaro, temendo che fosse stato scoperto il loro sistema di comunicare con l'inchiostro simpatico.
"Temo di sì, professore. Leggetela..."
Aldemaro estrasse il foglio e lesse: il figlio maggiore gli comunicava che la sua ex-moglie, la loro madre, durante una gita in montagna era precipitata in un burrone ed era morta. Gli diceva anche di non preoccuparsi per loro, perché lo zio e la zia avevano deciso di adottarli, dato che non avevano figli, in modo di curarsi di loro anche sul piano legale.
Quando ripose la lettera, il dottor Guida disse: "Mi spiace. Vi faccio le mie condoglianze."
"Eravamo separati... le cose non andavano più molto bene fra noi. Però mi dispiace per i nostri figli che hanno perso anche la madre. Sono contento che mia sorella e il marito abbiano deciso di prendersi cura di loro." disse Aldemaro intascando la lettera.
Stava per rientrare in casa di Tanina, quando lo fermò un agente di polizia, chiedendogli di mostrargli la carta di permanenza. Aldemaro la estrasse dalla tasca del cappotto e gliela porse.
"Da dove venite?" gli chiese.
"Ho fatto una passeggiata."
"Con questo freddo?" chiese l'agente, sfogliando il libretto, lentamente.
"Sono coperto a sufficienza."
"E dove andate?"
"Lì." disse indicando la porta. "Affitto una stanza dalla vedova Tanina Musella."
"Già, qui c'è scritto... Musella Gaetana. E siete pure un conte."
"Non è una colpa, dato che siamo in una monarchia."
"Non fate lo spiritoso."
"È difficile per un confinato fare dello spirito."
"Che cosa avete nelle tasche?"
"Nulla... cioè... il fazzoletto da naso, le sigarette, le chiavi di casa, una scatola di fiammiferi, il portamonete, una lettera già passata alla censura e... e basta."
"Vuotate le tasche e rovesciatele."
Aldemaro trasse un silente sospiro e obbedì, rassegnato, estraendo tutto e mostrandolo all'agente.
"Va bene, potete andare. Ma ricordatevi che vi teniamo d'occhio... signor conte!"
"Posso... farle una domanda, agente?"
"Cosa?"
"Non l'avevo mai vista prima... è da poco che presta servizio qui?"
"Tre giorni. Perché?"
"Nulla... Pura curiosità." rispose Aldemaro con un lieve sorriso.
L'agente si girò e se ne andò senza salutarlo.
Aldemaro gli gridò dietro: "Buona serata, agente!"
L'altro non rispose.
Aldemaro rimise tutto in tasca ed entrò in casa. Traversò la cucina, vuota, uscì sul balcone e andò in camera. Mentre si toglieva il cappotto notò che era tutto in disordine. Preoccupato andò subito a controllare il nascondiglio dove teneva la radio. Spostò silenziosamente il letto ed emise un sospiro di sollievo quando la vide. Verificò poi tutto il contenuto dei cassetti e dell'armadio e, se pure era tutto in disordine, non mancava nulla. Era la prima volta che andavano a perquisire la sua stanza: era sicuro che fosse quello, non era stata certamente la padrona di casa.
Tornò in cucina e la chiamò, ma non rispose nessuno. Si chiese come mai non fosse in casa, dato che a quell'ora, solitamente, già trafficava in cucina.
Stava per tornare in camera, quando sentì aprirsi la porta. Tanina entrò e aveva un'espressione corrucciata.
"Oh, Aldemaro! Sono venuti a perquisire tutto l'appartamento, per prima la vostra stanza."
"Sì, me ne sono accorto... non manca nulla."
"C'ero io, non li ho persi di vista un momento!"
"La polizia?"
"No, la milizia. Maleducati, come sempre. Gli unici educati sono i carabinieri. La polizia... a metà strada e i peggiori, quelli della milizia. Sono andata a protestare dal direttore. Non si tratta così una buona fascista! E sapete che m'ha detto?"
"No..."
"Che m'hanno incaricata di sorvegliarvi, ma io non sono mai andata a denunciare nulla!"
"E lei, che gli ha detto?"
"Che mica potevo inventarmi qualcosa da denunciare solo per farmi bella davanti a loro, no? Non ricevete visite, non fate discorsi strani, non arrivate mai né uscite mai con pacchi sospetti, non uscite mai di notte... Che diamine potevo andargli a dire? E d'altronde quegli imbecilli della milizia..."
"Gli avete detto che sono imbecilli, Tanina?" chiese Aldemaro un po' sorpreso.
"No, quello l'ho solo pensato... I militi non hanno mica trovato niente. Che quelli non sanno nemmeno come si fa una perquisizione."
"Che vuole dire?"
"Se spostavano il letto... trovavano la nicchia dietro la testiera. Non se ne sono nemmeno accorti. D'altronde, scommetto che non lo sapete neppure voi che lì dietro c'è una nicchia."
Aldemaro sedette, sentendosi improvvisamente le gambe deboli, e sbiancò.
Tanina lo guardò, poi a bassa voce, disse: "Ah, allora lo sapete. Beh... meno male, allora, che erano degli imbecilli, quei militi."
"Mi sarebbe dispiaciuto che per colpa mia..."
"Tutto è bene quel che finisce bene. Comunque io mica dovevo saperlo, no? La nicchia è piccola, non ci avete messo molta roba, giusto?"
"No, ci ho solo messo..."
"Non ditemelo. Ma credo che sia meglio che vi mostro io un nascondiglio più sicuro... dove il mio povero marito teneva i nostri risparmi. Stanotte, al buio... trasferitevi tutto, è meglio."
"Perché prende questo rischio per me Tanina?"
"Perché siete un brav'uomo. E perché dove vi mostrerò... la vostra roba starà più al sicuro, ed è meglio per tutti e due."
"Lei non è una buona fascista, Tanina." le disse con un sorriso Aldemaro.
"Prima cristiana, poi monarchica e solo per terzo fascista, non dimenticatelo."