E giunse il 1943, un anno che recò con sé grandi e del tutto imprevisti cambiamenti.
Pur desiderandolo fortemente tutti e due, Aniello, per non suscitare sospetti sulla loro relazione, non si recava da Aldemaro tutte le notti.
Ormai erano finalmente giunti a unirsi entrambi. Le prime volte che l'aveva accolto in sé, Aldemaro aveva provato, almeno inizialmente, un certo fastidio fisico, gioiosamente sopportato, però, per il piacere di donarsi al suo amato. Poi, gradualmente, il suo corpo non solo si era abituato, ma era anche giunto a desiderare sempre più fortemente di avere l'altro in sé.
Aldemaro aveva notato che, ora, quasi non notava più la bellezza fisica, pur notevole, del suo ragazzo: infatti la sua bellezza interiore la superava di gran lunga.
Si annunciò la primavera, e in marzo Aldemaro sentì da Radio Londra che nelle fabbriche del nord, a Milano e Torino, vi erano stati alcuni scioperi a cui il regime aveva reagito scatenando una dura repressione e arrestando più di duemila persone. La radio di stato, logicamente, non ne parlò.
Tanina aveva ricevuto dalla Croce Rossa la comunicazione che entrambi i suoi figli erano prigionieri degli inglesi. Quando lo disse ad Aldemaro, la donna emise un profondo sospiro: "Meglio così, almeno ora so che sono vivi e che non rischiano più la vita al fronte. Bene non staranno certo, a essere in un campo di prigionia, però... è meglio assai così."
In aprile, Rosetta, la cugina di Aniello, si sposò e il marito, un agricoltore che aveva il campo vicino a Cala Battaglia, non volle che continuasse a lavorare nel caffè del cugino, perché voleva che andasse a lavorare la terra con lui.
Allora Aldemaro propose ad Aniello di andare a dargli lui una mano. Andò dal dottor Guida a chiedere l'autorizzazione e l'ottenne senza troppa difficoltà.
Poi, a metà maggio, udì da Radio Londra che la guerra in Africa era terminata, con la resa in Tunisia sia delle forze armate tedesche che di quelle italiane.
Verso fine giugno, fu diffuso, anche dall'Eiar, il testo di un discorso del Duce al direttorio del Partito Nazionale Fascista. Riferendosi all'eventualità di uno sbarco anglo-americano in Sicilia, Mussolini aveva affermato: "Bisogna che, non appena questa gente tenterà di sbarcare, sia congelata su quella linea che i marinai chiamano del bagnasciuga".
Questa affermazione a dir poco ingenua, di una persona che pareva aver perso totalmente il senso della realtà, valse a Mussolini un nuovo soprannome. I confinati politici fino ad allora lo avevano chiamato infatti, nel loro gergo spontaneo, "pasta e fagioli", in modo di poter parlare di lui anche quando sapevano di essere ascoltati e spiati; dopo aver saputo di quel discorso, iniziarono gradualmente a riferirsi a lui chiamandolo "bagnasciuga".
Gli eventi sembravano precipitare. Il 9 luglio, gli anglo-americani sbarcarono in Sicilia e avanzarono praticamente senza difficoltà verso Trapani e Palermo. Solo gli inglesi incontrarono qualche resistenza a Catania nella loro marcia verso Messina.
Poi, il 19 luglio, fu pesantemente bombardata Roma e si contarono mille e cinquecento morti. Il 22 luglio, Palermo fu occupata dagli americani. Aldemaro passava queste notizie agli altri confinati e una atmosfera eccitata pervadeva il loro campo e le camerate, le mense. Sentivano che forse la loro liberazione stava giungendo.
Il 23 luglio, gli abitanti di Ventotene assistettero a un tentativo di bombardamento da parte degli aerei alleati, fortunatamente a vuoto, del vaporetto che collegava l'isola alla terra ferma.
Nel mattino del 24 luglio, attraccato al molo di Ponza vi era il Santa Lucia, un vaporetto di 450 tonnellate appartenente alla società Partenopea Anonima di Navigazione, che collegava le isole.
Il Santa Lucia aveva lasciato il porto di Ponza quando il sole estivo già cominciava a diffondere la sua calura su un mare incredibilmente calmo e bello. Aveva fatto rotta su Ventotene, da dove, dopo una breve sosta sarebbe dovuto ripartire per Gaeta. Le due ore di navigazione che dividevano le due isole pontine trascorsero tranquillamente: ormai tutti a bordo avevano avvistato punta Eolo e le sagome nere degli scogli chiamati "le Scunciglie"
A Ventotene si avvertiva il rumore del sopraggiungere del vaporetto, disatteso da tempo a causa del forte ritardo. Molti si affrettarono al molo.
Improvvisamente si sentì provenire dal cielo un rombo in sintonia: erano tre aerei. Ognuno cercava di scorgerli, la popolazione uscì per le strade; qualcuno, intuendo il ripetersi dell'azione del giorno precedente, corse preoccupato verso il promontorio di Punta Eolo.
Intanto il Santa Lucia aveva messo le macchine avanti tutta, il suo pennacchio di fumo era densissimo e la scia si allungava nel cielo terso. Dopo un ampio giro, uno dei tre aerei si staccò dal gruppo, si portò in quota di attacco e aprì il fuoco.
In breve le vetrate di dritta andarono in frantumi, a bordo il panico dilagò e la gente spaventata scappava dappertutto. Dall'isola si udì il crepitio delle mitragliatrici. L'aereo non aveva finito, si rimise in quota e riaprì il fuoco sul vaporetto inerme, poi sganciò anche un siluro.
Il comandante, con un'abile manovra, lo schivò e puntò deciso sulla vicina spiaggia di Parata Grande. Da terra una piccola folla seguiva col fiato sospeso l'impari lotta, sperando che al capitano riuscisse la manovra di far arenare la nave.
Un secondo aereo si staccò dalla pattuglia e sganciò un altro siluro. La nave, sotto la guida esperta del comandante Simeone, sussultò, poi sbandò ma riuscì a schivare anche questo secondo ordigno. Anche la pattuglia aerea dovette intuire l'intento del comandante di incagliare la nave per salvare i passeggeri, e ormai era diventata una questione di puntiglio.
La terza volta furono tutti e tre gli aerei che si avventarono sulla piccola nave, come calabroni inferociti. La cabina di comando esplose sotto il tiro incrociato, il comandante, ferito gravemente, perse il controllo, le fiamme avvolsero le cabine... e fu la fine. La nave senza guida continuò la sua corsa, accennando un'accostata a dritta. Ormai era un bersaglio facile: un terzo siluro fu sganciato senza pietà.
L'esplosione fu violentissima, i rottami volarono in tutte le direzioni mentre il traghetto spezzato in due affondava rapidamente. Da Ventotene partirono immediatamente i soccorsi. Si scorgeva una miriade di oggetti galleggianti, si sentivano grida, ma non ci si poté avvicinare, anzi bisognò rientrare precipitosamente in porto perché gli aerei, ancora in zona, effettuavano continue tornate, come vespe rabbiose, mitragliando fra i rottami, sui superstiti, sui soccorsi.
Solo quando non si sentì più il rombo dei motori, le barche dei soccorsi ripresero il largo nella speranza di trovare qualche sopravvissuto. Fu recuperato il comandante, ormai in fin di vita, un carabiniere ustionato, due marinai e un passeggero che si erano previdentemente gettati in mare già dal primo attacco. Risultarono disperse ben cento e cinque persone. Tutta l'isola era sgomenta, in lutto.
Col progredire della guerra sul suolo italiano, si diradarono i programmi variati e leggeri su Radio Londra. Crebbe invece a dismisura il numero di messaggi speciali, quelle comunicazioni enigmatiche e affascinanti che parlavano di un maggiore con la barba, della brava gallina che aveva fatto l'uovo e della povera vacca che non dava più latte... destinate evidentemente alle forze della resistenza.
Verso fine luglio, nella seduta del Gran Consiglio del Fascismo venne votato l'ordine del giorno Grandi che chiese l'esautorazione di Mussolini come capo del governo. Il regime iniziò a sfaldarsi per consunzione interna.
Il 25 luglio, Mussolini ebbe un breve colloquio con il re, che gli annunciò la sua sostituzione a capo del governo con il maresciallo Pietro Badoglio, un militare totalmente coinvolto nel fascismo e diretto responsabile delle operazioni in varie guerre di aggressione come quelle condotte in Etiopia e in Grecia. All'uscita dal colloquio, Mussolini fu arrestato dai carabinieri.
Il 26 luglio, a Ventotene, il commissario di Pubblica Sicurezza, il dottor Marcello Guida che dirigeva il luogo di confino, radunò alcuni rappresentanti degli internati antifascisti.
Disse loro: "La situazione è assai delicata, qui a Ventotene come sapete vi sono tre forze contrastanti: voi confinati, i soldati tedeschi e la milizia fascista, e i miei uomini. Io dispongo soltanto di un centinaio di poliziotti, carabinieri compresi, e di una dozzina di guardie di Finanza, ma con poche armi... mentre i tedeschi sono armatissimi e così pure la milizia..." quindi propose, concludendo, un patto di collaborazione tra confinati e polizia, per salvare il salvabile.
I rappresentanti dei confinati radunarono tutti, discussero la situazione, e accettarono la proposta del direttore della colonia penale.
Si venne anche a sapere, dallo stesso Guida, che il 27 luglio il cavalier Benito Mussolini era tenuto prigioniero a Ponza, proprio lì dove aveva mandato tanti al confino. Il dottor Marcello Guida aveva rifiutato infatti di accogliere Benito Mussolini su Ventotene perché, affermò, non avrebbe potuto proteggerlo dalle ire dei confinati. A bordo della corvetta Persefone, Mussolini era perciò stato portato sull'isola di Ponza.
Quello stesso giorno si costituì tra i confinati il cosiddetto "governo di Ventotene", per gestire l'ormai ex-confino dopo la caduta del fascismo. Fu costituito da Francesco Fancello, Carlo Francovich, Sandro Pertini, Mauro Scoccimarro, Pietro Secchia, Altiero Spinelli e altri confinati politici antifascisti. Fu proposto anche ad Aldemaro di farne parte, ma il conte declinò l'offerta.
Il 28 luglio, l'ex-fascista Pietro Badoglio emanò un decreto in cui dichiarò sciolto il Partito Nazionale Fascista. Come primo atto, allora, il governo provvisorio dell'isola, rivendicò l'immediata liberazione di tutti i condannati e relegati politici, come diretta conseguenza della caduta del regime fascista, nonché l'abolizione dei limiti e delle restrizioni ancora imposti alla loro libertà personale.
Iniziarono lunghe discussioni con il dottor Guida su questo punto. Il governo di Ventotene la spuntò e così, a scaglioni, a partire dal quattro di agosto cominciò lo sgombero della colonia di confino. C'era, ora, un'aria di euforia fra i confinati.
Quando Aldemaro tornò a casa, vide che Tanina era in piedi su una sedia e stava togliendo il ritratto del Duce dalla parete della cucina.
"Cos'è Tanina, ora anche lei mi diventa antifascista?" le chiese con bonaria ironia.
La donna si girò, restando in piedi sulla sedia: "Avete la memoria corta, Aldemaro? Vi ho sempre detto che per me prima di tutto viene Nostro Signore, poi il Re, e poi il Duce. E se il re ha deciso che il Duce non va più bene... non va più bene! Tutto qui."
"E chi ci mettete, ora, al suo posto?"
"Nessuno. Almeno per ora."
Staccò il ritratto di Mussolini, scese dalla sedia e ve lo poggiò sopra, rivolto verso il muro. Poi guardò il professore con una luce ironica negli occhi: "Volete che ci metta il vostro, di ritratto?"
"Ci mancherebbe altro! E magari poi ci mette pure un lumino davanti. Non come ai santi, ma come ai morti! Lasciateci il re da solo."
Quando era giunta la notizia della caduta del fascismo i primi a esser liberati furono i militanti di Giustizia e Libertà, cattolici, repubblicani e Testimoni di Geova; per cui in un primo tempo rimasero a Ventotene solo comunisti, socialisti e anarchici.
Quando però il maresciallo Badoglio chiamò al governo Roveda per i comunisti e Buozzi per i socialisti, questi pretesero e ottennero la liberazione dei carcerati comunisti e socialisti, trascurando gli anarchici e i nazionalisti sloveni. Nonostante alcuni militanti dei partiti di sinistra cercassero di rifiutarsi di partire per non lasciar soli gli anarchici, il grosso dei confinati se ne andò libero, noncurante di quelli che erano costretti a restare sull'isola.
Gli anarchici, dopo una decina di giorni dalla partenza degli altri, cioè il 20 agosto, furono imbarcati su una corvetta della regia marina e trasportati, prima per nave e poi in treno, fino al campo di concentramento di Renicci d'Anghiari in provincia di Arezzo. Anche il nuovo governo diffidava fortemente di loro.
Il direttore della colonia di confino mandò un agente a chiamare anche Aldemaro, il 4 agosto, fra i primi confinati, e gli comunicò che era libero. Allora si recò subito alla tabaccheria di Aniello.
"Aniello... Sono libero. Non sono più un confinato." gli comunicò.
"Sono contento per te... Allora... torni a Pisa, ora?"
"Sì... per vedere casa e... sistemare le mie cose... e se vuoi... tornare qui."
"Me lo chiedi, se voglio? Ma ora... ora che il fascismo è caduto... puoi riavere il tuo posto all'università."
"Ho deciso... ho deciso che... o tu vieni a vivere a Pisa con me o io torno qui. L'università... non è detto che mi rendano il posto di insegnamento. E poi... non lo so ma... Se tu mi vuoi qui, a fare il barista e il tabaccaio con te..."
"Ora che l'isola si svuota, avrò molti meno clienti e non so se... se ci riusciremo a vivere in due. Però... certo che sarei felice se tu restassi qui... con me. Io d'altronde... che potrei fare a Pisa?"
"Senti, non abbiamo fretta, no? Ne parliamo stasera con calma. Posso avvertire tua zia che vieni a cena da lei. Non credo che per Tanina costituisca un problema."
"Va bene, facciamo così."
Tornato a casa, comunicò anche a Tanina che ora era finalmente libero, due anni prima del previsto.
"Ah, bene. Allora... adesso ve ne andate. Tornate a casa vostra."
"Le spiace non ricevere più il mio mensile?"
"Non siate sciocco! Me la cavavo prima e me la caverò anche dopo. No... Mi dispiace solo per il povero Aniello."
"Il povero Aniello?"
"Sì... gli mancherete assai. Vi è molto affezionato."
"Sì, lo so... anche io sono affezionato a suo nipote."
"Perché non ve lo portate via con voi? Lo fareste felice... Tanto... siete vedovo, no? Potrebbe... abitare con voi, a Pisa."
"Portarlo via con me?" le chiese stupito.
"Se è vero che gli siete affezionato... E anche più che affezionato, potrei dire."
"Più che affezionato?" chiese ancora più stupito.
"Che è, mi fate l'eco, adesso? Credete che... che non sappia come in questi ultimi mesi... veniva in camera con voi... e si fermava a lungo e... senza accendere la luce?" disse la donna, quietamente, senza guardarlo per non metterlo troppo in imbarazzo, affaccendandosi a spolverare dove aveva già spolverato.
"Lei sa... tutto? Ci ha spiati?"
"Io? Spiati, io? Ma via, che dite. Però bisognava essere ciechi per... avervi tutti e due qui e non notare come vi guardate e..."
"E come sa, allora, che non si accendeva la luce?"
"Vi siete dimenticato che il cesso è sul balcone? Ma via! Comunque, contenti voi due... io posso solo essere contenta. Per tutti e due, perché anche a voi mi sono affezionata, che credete. Solo che ora... se fra voi due c'è... quello che credo, mi chiedo come farete."
Aldemaro sedette: "Io... io vorrei... pensavo di restare qui, a Ventotene. Io non voglio lasciare Aniello, né lui me."
"Come pensavo. Però... questo è un paesino e... capite che alla lunga... Come fareste per continuare a vedervi... e con che scusa restereste qui da me, eventualmente? Fino a ora, voi eravate costretto a stare qui, come confinato. Certo, io sarei contenta se restaste. E non per il mensile che mi pagate. E potreste continuare a vedervi in camera vostra, che per me non è un problema. Comunque, sta a voi due decidere."
"Lei sapeva..." mormorò Aldemaro. "E sapeva anche che... quello che nascondevo... è una radio?"
"No, questo no. Una radio? Per ascoltare le trasmissioni proibite, neh? Ma come avete fatto a procurarvi una radio?"
"L'ho costruita. Poi ve la farò vedere. Una cosina semplice, rozza, artigianale, ma sufficiente per ascoltare Radio Londra."
"Beh, ora che il fascismo è caduto, potete anche usare la mia radio, se volete. Anche se io non capisco il londrese. Ormai non rischiate più nulla."
"Trasmettono in italiano."
"Beh, sia come sia."
"Mi sono permesso di dire ad Aniello di venire qui a cena, stasera... per discutere con lui che cosa possiamo fare, per restare assieme. Mi perdoni, se prima non le ho chiesto il permesso."
"Sapete che Aniello è sempre benvenuto qui, no? E cucinare per due o per tre, non è che cambia molto. Sono contenta che volete cercare di restare assieme. Mio nipote sicuramente ne avrebbe sofferto se lo lasciavate."
"Ma... mi tolga una curiosità, Tanina... Lei ha sempre detto che prima di tutto è cristiana e che tutto il resto viene dopo."
"E così è."
"E allora... come mai non ci condanna, Aniello e me per... per la nostra relazione? I preti dicono che così, noi due, suo nipote e io, siamo in peccato mortale, no?"
La donna lo guardò con un'aria quasi divertita: "Non vi basta la condanna dei preti? Volete pure la mia? No... Ammesso che i preti hanno ragione, quello è un problema che vi vedrete voi due con Nostro Signore. Quando sarà ora. Io so che mi hanno insegnato a non guardare il bruscolino negli occhi degli altri, quando abbiamo una trave nei nostri occhi. E poi... mi fate tanta tenerezza, voi due... Che male potete fare, e a chi, se vi volete bene?"
"Ma se veramente fosse peccato..."
"Ammazzare, rubare, sparlare, invidiare, mentire, odiare... questi sì che sono peccati. Quello che c'è fra voi due, fa del bene all'uno e all'altro, direi... e non fa del male a nessuno."
"Ma i preti..."
"Io vi ho detto che prima di tutto viene Nostro Signore, mica i preti. E io so che Nostro Signore ci ha detto di amare, qualunque cosa dicono i preti. Vogliono insegnarci a vivere... e loro per primi non seguono gli insegnamenti che ci danno. E poi, Nostro Signore, non ha detto che chi è senza peccato può scagliare la prima pietra? E che diamine voleva dire se non questo: di non giudicare!"
"Non mi sarei mai aspettato che lei, Tanina..."
"E si vede che non mi conoscete ancora abbastanza!" disse la donna con un lieve sorriso divertito.
"A me piacerebbe restare qui a Ventotene. Nonostante fossi costretto a starci, mi sono affezionato all'isola, a lei, Tanina, e sopra a tutto ad Aniello. Ma che posso fare qui? E poi, come dice lei... la relazione fra Aniello e me, in un paese così piccolo..."
"Darebbe scandalo, sì, e vi creerebbe problemi. Aspettiamo che venga a cena Aniello e ne parleremo assieme... se mi volete con voi. Chissà che, in tre, non riusciamo a tirar fuori qualche buona idea."
Aldemaro uscì. Ora non vi erano più i limiti da rispettare, perciò, giunto davanti alla chiesa, scese per la Rampa Marina per andare sul molo a guardare la gente che si imbarcava sul vaporetto. Il semplice fatto di non dover rispettare più i limiti del confino, di potersi muovere liberamente, gli procurava una intensa gioia. C'erano anche diversi ex-confinati in partenza e fra questi vide Damiano. Andò a salutarlo.
"Damiano! Così, torni a Catania, finalmente?"
"Oh, Aldemaro! No... " disse con espressione lieta, "no no: vado a Pescara, dal mio Eros, Lucarelli Eros, dal mio carabbiniere, che m'ha scritto che m'aspetta!"
"E come fate, se lui è in servizio e..."
"Non lo so, però m'ha scritto di non preoccuparmi, che mi trova casa e lavoro e così... vado!"
"Bene, sono molto lieto per voi. Allora... ti faccio i miei migliori auguri, Damiano. Spero che possiate essere felici, assieme."
"Per ora lo sono, eccome! E poi... vedremo. Ci daremo da fare per esserlo. Se mi vuole a Pescara, vuol dire che non s'è trovato un altro ragazzo, no? Che m'è rimasto fedele. Bene, tanti auguri a te pure, Aldemaro. Speriamo di non vederci più... di non vederci come confinati, voglio dire." si corresse allegramente il ragazzo e si avviò per imbarcarsi.
Aspettò di veder partire il vaporetto, poi camminò lungo la via carrabile che, sovrastando l'antico camminamento romano, saliva in modo concentrico dal Pozzillo per poi sbucare nella Piazza del Castello.
Tornò nella propria stanza e si mise a scrivere la cronaca degli ultimi avvenimenti. Poco prima del tramonto sentì bussare alla porta-finestra. Riconobbe, attraverso la tenda, la figura di Aniello.
"Vieni! Hai già chiuso la bottega?"
"Oggi sì. Non vedevo l'ora di rivederti." gli disse allegramente il giovane.
"Siediti. Ti devo dire una cosa... Dunque... tienti forte... tua zia, Tanina, sa tutto di noi due!"
"Tutto?" chiese Aniello sbiancando lievemente. "Gliel'hai detto tu?"
"No, c'è arrivata da sola. E sai che m'ha detto?"
"Sarà incazzata nera..."
"Macché! M'ha detto che è contenta, e che noi due dobbiamo trovare il modo per restare insieme. E che se ci va, stasera ne parleremo tutti e tre assieme."
"Ma va! Davvero? Contenta? Beh... sapevo che zia è buona, ma... Sì, dobbiamo trovare davvero il modo. Ti ho interrotto? Stavi scrivendo... Cosa?"
"Bellissima interruzione. Da quando sono qui a Ventotene, ho scritto la cronaca di tutto quello che mi è capitato, i miei pensieri, le mie emozioni... tutto."
"Allora... ci sono anche io, lì?"
"Certo."
"Ma se qualcuno legge..."
"Beh... prova a leggere, allora..." gli disse, porgendogli il quadernetto.
Aniello lo prese, guardò ed esclamò: "E che è? Chi ci capisce niente? È un codice segreto?"
"Una specie di codice segreto... è semplicemente greco antico." gli rispose sorridendo.
"Non mi dai un bacio?" gli chiese il ragazzo, rendendogli il quaderno e sporgendosi verso di lui.
"Stavo per chiedertelo io..." sussurrò Aldemaro.
Lo prese fra le braccia, alzandosi, lo strinse a sé e lo baciò, con tenerezza e passione a un tempo, carezzandogli la schiena. Quando si staccarono, Aniello emise un lieto sospiro.
"Sì, dobbiamo restare assieme, dobbiamo trovare un modo. Io... mi sentirei morire, senza di te. Se zia lo sa... magari... posso anche fermarmi a dormire qui con te, no?"
"Mi piacerebbe. Ma vedi, se lo facciamo troppo spesso, i vicini di casa possono vedere che arrivi la sera ed esci la mattina e... sanno che tu hai casa tua, perciò..."
"È vero... Ma almeno qualche volta..."
"Se dipendesse da me, più che qualche volta: mi piacerebbe poterlo fare sempre. Ma come dice zia Tanina, ci si deve pensare bene per evitare di creare problemi troppo grossi."
"Qualcosa troveremo... dobbiamo trovare. A costo di andarcene a fare gli eremiti in una grotta in montagna e campare di radici!"
Aldemaro sorrise: "Forse riusciamo a trovare una soluzione meno... radicale. Lo sai che ti amo tanto?"
Aniello si aprì in un radioso sorriso: "Lo so, certo... Però è così bello sentirselo dire! Secondo te, sarebbe più facile stare assieme qui a Ventotene o su a Pisa?"
"Vedo il pro ed il contro in tutti e due i posti... e se fosse possibile, mi piacerebbe poter restare qui, dove è nato il mio amore."
Quando, più tardi andarono in cucina, dove Tanina stava già iniziando a preparare la cena, la donna disse loro di mettersi a sedere.
"Aldemaro, avete già detto a mio nipote che..."
"Sì, zia." rispose il ragazzo. "M'ha detto che tu già sai e che ti va bene e che ci vuoi dare una mano."
"Già." disse la donna con un sorriso. Smise di trafficare col cibo, prese una sedia e sedette accanto ai due amanti. "Sentite, i problemi sono due, secondo me..."
"Solo due? Va già bene..." interloquì Aldemaro.
"Sì, solo due. Uno è come guadagnarvi da vivere, Aldemaro, e l'altro è come restare assieme senza dare scandalo, giusto?"
"Giusto." risposero all'unisono i due.
"Bene. Un problema per volta. I soldi. La tabaccheria-caffè di Aniello, ora che i confinati se ne stanno andando, farà sempre meno affari e guadagnerà sempre meno, no?"
"Purtroppo è così, zia."
"Allora bisogna fare in modo che non sia così. Potresti chiedere che ti mettano il telefono pubblico, che qui ce n'è solo uno alle poste. E poi... io potrei fare i miei liquori e tu li potresti vendere. Sai, spesso le comari m'hanno chiesto se non glieli avrei venduti: i miei liquori piacciono... E lo farei volentieri."
"Sì, e ci possono venire anche altre idee per la bottega..." disse Aldemaro.
"E poi, anche se la vostra rendita non è alta, qualcosa ne potete ricavare, no, Aldemaro. E se non pagaste il mensile qui da me... Dopo tutto non ne ho veramente bisogno... Sommando tutto, e accontentandovi, potreste campare decentemente."
"Lei è davvero un tesoro, Tanina!"
"Lo so!" disse scherzosamente la donna. "Ma il problema più grande... è come fare, voi due, a stare assieme senza che le male-lingue... capiscano la verità."
"Esatto, questo è sicuramente il problema maggiore."