"Ebbene, vi ricordate di Antonietta?" riprese donna Tanina.
"La moglie del capitano di marina?" chiese Aniello.
"Proprio lei. Poco fa, mentre tornavo a casa, mi ha dato un'idea..."
"Mica le hai detto di noi, no?" chiese allarmato Aniello.
"A chi, a quella? Mica sono matta, no? No, lei mi ha chiesto quando se ne andrà il mio pensionante, cioè voi, Aldemaro. Io ho risposto che non lo sapevo. Allora lei mi fa: certo che sembravate una bella famigliola, tu, tuo nipote e quel signore... Non ti dispiace che se ne va?"
"Già, ce l'aveva pure detto una domenica che sembravamo una famiglia." disse Aniello, divertito.
"Beh, e allora... Non pensate che sono diventata pazza, però... se volete restare qui a Ventotene, Aldemaro... Voi siete vedovo... io sono vedova... ci si potrebbe sposare e anche pigliare in casa mio nipote e... chi potrebbe immaginare che voi, Aldemaro, invece di onorare il mio letto, state con mio nipote?"
I due la guardarono con aria talmente sbalordita, che Tanina scoppiò a ridere.
"Ma... zia..." disse sbalordito il ragazzo.
"Ssst!" gli disse Aldemaro, ponendogli un dito sulle labbra. "A me pare un'idea magnifica, invece! Certo che la sposerò Tanina... E così, dato che ufficialmente la mia stanza si libera, è logico che ci venga ad abitare Aniello e... Più la conosco, più penso che lei sia una donna fantastica!" disse Aldemaro con entusiasmo.
Il ragazzo spostava gli occhi dall'uno all'altro, stupefatto. "E state parlando sul serio..." mormorò.
"Che è, mica sarai geloso del tuo uomo, se si sposa con me, no? È solo per gli altri, lui resta il tuo uomo, no?" gli disse Tanina.
Aniello si mise a ridere, quasi istericamente. Poi disse: "E allora... ti dovrei chiamare zio, Aldemaro?"
"Se ti va, o invece lo continui a chiamare Aldemaro." disse pacifica la donna.
"Però... dovrete fidanzarvi e... e dovrete cominciare a darvi del tu..." disse Aniello, divertito.
"Questo davvero non è un problema." assentì la zia. "Però, vi avverto... ti avverto, Aldemaro, io mi voglio sposare in chiesa!"
"Aniello val bene una messa!" esclamò allegramente il professore.
"Bene, deciso. Domani andiamo dal parroco poi dal podestà a chiedere di fare le pubblicazioni. Meno tempo si perde, meglio è. E inoltre... se siamo fidanzati, per il mio buon nome, finché non ci sposiamo, è più opportuno che Aldemaro venga a dormire da te Aniello."
"Oh, zia, che mente diabolica hai!"
"Ma dimmi tu, Aldemaro, dopo tutto quello che faccio per lui, mi dice pure che sono diabolica!"
"Non ti preoccupare, Tanina... lo farò rigare dritto io, il ragazzo! Tu sei un angelo, altro che!"
"Comunque... la signora Antonietta, ora potrà dire che siamo davvero una bella famiglia." commentò allegramente Aniello.
"No, non ora, dopo il matrimonio. Giusto, Tanina?"
"Giustissimo."
"Bene, allora... io al più presto, dopo fatte le pubblicazioni, torno a Pisa a chiudere casa, venderla e sistemare le mie cose, faccio i bagagli e torno qui. Cercherò di stare via il meno possibile." aggiunse poi, guardando Aniello, per rassicurarlo.
"Hai tante cose da portare giù?" chiese Tanina.
"Cercherò di vendere i mobili e tutto il resto e di portar giù il meno possibile. Non ti preoccupare, non ti invaderò casa."
"Se io vengo ad abitare qui... nelle mie due stanzette dietro la tabaccheria, ci puoi portare le tue cose, no?" disse Aniello. "Tanto più se lavoreremo assieme nella bottega."
Tanina si alzò e riprese a preparare la cena. Frattanto continuavano tutti e tre a fare progetti e a fantasticare allegramente. Mangiarono, Aldemaro andò ad accendere la radio e cercò Radio Londra, che ascoltarono tutti e tre.
Più tardi, Tanina diede loro la buona notte e si ritirò nella propria camera da letto. Allora Aldemaro spense la radio, prese per mano il suo ragazzo e lo portò nella propria stanza.
"Possiamo tenere la luce accesa, no, dato che zia sa tutto." gli disse Aniello, iniziando a spogliarlo. "Mi piacerebbe fare l'amore con te guardandoti."
"Che poi, ha capito proprio perché eravamo in camera con la luce spenta." ridacchiò Aldemaro.
Si denudarono quasi in fretta, carezzandosi, guardandosi, godendo della vista l'uno dell'altro.
"Quanto sei bello, Aldemaro!" sospirò il ragazzo, carezzandogli il membro già fieramente eretto.
L'uomo lo sospinse verso il letto, ripiegò il copriletto e il lenzuolo sulla testiera, poi si stese, attirando su di sé l'amante. Si abbracciarono e si baciarono, pieni di desiderio.
"Ma se io ogni sera verrò qui da te, quando sarete sposati, da fuori possono vedere e... capire..." disse Aniello.
"Chiederemo a Tanina di aprire una porta interna su quel muro..."
"Sei contento di sposarti con mia zia?"
"Beh, visto il motivo, come potrei non esserlo. E tu mi farai da testimone. L'altro lo troverà Tanina."
"E quando dirai sì, lo dirai per me, vero?"
"Certo e tu, in cuor tuo, per me. Sei felice, Aniello?"
"Vienimi sopra tu..." disse il ragazzo scivolandogli a lato e tirandoselo sopra. "Sì che sono felice!"
Si baciarono di nuovo. Aniello allargò un po' le gambe, in modo che quelle del suo uomo fossero fra le sue. Aldemaro sollevò lievemente il bacino, poi sospinse il membro duro sotto alle natiche del ragazzo, fra queste e il lenzuolo. Aniello, istintivamente, sollevò le gambe e cinse la vita del suo uomo...
Quasi contemporaneamente, intuirono che avrebbero potuto unirsi così, in quella posizione, e non da dietro come avevano sempre fatto fino ad allora. Praticamente all'unisono, Aniello cercò di flettere verso l'alto il bacino, Aldemaro si accoccolò sulle gambe infilando le ginocchia ai lati del bacino del ragazzo e gli puntò il membro nel solco, cercando con la punta di individuare il foro... Si mossero, in modo di facilitare la cosa, e finalmente capirono che era veramente possibile unirsi anche in quella posizione.
Aldemaro iniziò a spingere, puntando le ginocchia sotto il bacino dell'amato e le mani ai suoi lati, sotto le ascelle. Aniello si aprì in un caldo sorriso, e gli carezzò il forte petto, lievemente villoso, gli stuzzicò i capezzoli. Aldemaro spinse con maggior vigore e sentì che stava entrando nel caldo canale dell'amato.
"Sì... così... che bello!" mormorò Aniello, eccitato ed emozionato, guardando l'espressione del volto del suo uomo. "Sì... così... dai!"
Aldemaro gli sorrise, e spinse con crescente vigore, e si sentì accogliere nel caldo e stretto canale. Allora gli passò le mani sotto la schiena e gli afferrò le spalle per tirarlo a sé, finendo di immergerglisi dentro. Poi si chinò su di lui, lo baciò e, muovendo solo il bacino, iniziò un vigoroso e calmo va e vieni.
Aniello gli sfregò i capezzoli, e agitò lieve il bacino, e i suoi occhi brillarono per il piacere intenso che stava provando, non solo per la gradita penetrazione, ma perché in quella posizione poteva guardare comodamente il volto del suo uomo e anche baciarlo.
Aldemaro si chiese confusamente perché in tutti quei mesi nessuno di loro due aveva immaginato che sarebbe stato così bello unirsi in quella posizione. Il fatto era che lui non aveva avuto nessuna esperienza e che Aniello, finché si era divertito con i suoi coetanei, l'aveva sempre e solo fatto alla pecorina... Entrambi erano piacevolmente stupiti per aver trovato quel nuovo modo di fare l'amore.
Aldemaro si fermò e si sfilò cautamente da lui: "Ora provaci tu, amore... voglio sentire com'è."
"È molto bello." gli disse Aniello, mentre si scambiavano di posizione.
Fecero l'amore a lungo, finché entrambi non furono più in grado di controllarsi e allora, uno dopo l'altro, si lasciarono andare a un forte e gradevole orgasmo. Poi si distesero, si abbracciarono e baciarono, attendendo, lietamente, di rilassarsi.
"Mi mancherai, nei giorni in cui sarò a Pisa..."
"Anche tu. Ma poi... finalmente potremo stare assieme. Veramente assieme. Andate già domani a fare le pubblicazioni?"
"Sì, così appena tornerò, potremo celebrare le nozze. Peccato che Turchi, il confinato che faceva il sarto, sia già andato via."
"Perché?"
"Perché così ti poteva cucire un abito per la cerimonia."
"Non basta che mi metto il vestito delle feste?" gli chiese Aniello.
"Per me, potresti anche venire nudo... o al massimo in costume da bagno."
"Non credo che il parroco e il podestà mi lascerebbero entrare, nudo." ridacchiò Aniello, divertito all'idea.
Il giorno dopo, andarono tutti e tre prima in parrocchia, poi alla Casa Comunale, per fare le pubblicazioni. Quindi Aldemaro andò a informarsi sul traghetto per andare in terra ferma e di lì, in treno, fino a Pisa. Aniello lo volle accompagnare fino alla stazione del treno, in terra ferma.
Il viaggio di Aldemaro fu lungo e disagiato, a causa delle condizioni di guerra e dei bombardamenti. Ma finalmente, carico di scatoloni e di valigie quasi come un emigrante, dopo aver anche spedito alcuni pacchi tramite la posta, il 21 agosto fu di nuovo a Ventotene.
Sbarcato dal vaporetto, aiutato dai ragazzetti dell'isola che si caricarono i suoi bagagli, salì per la Rampa Marina e andò a casa di Tanina. La donna stava uscendo per fare la spesa.
"Oh, ecco il mio promesso sposo!" esclamò allegramente la donna, e lo aiutò a portar su in casa i bagagli. "Hai fatto buon viaggio?"
"Non troppo, ma sono riuscito a tornare. Aniello?"
"In bottega. Non sapevamo quando saresti tornato. In questi giorni è venuto quasi ogni sera a cena qui. E, qualche notte, m'ha chiesto se poteva dormire nel tuo letto. È proprio innamorato di te, mi ha fatto una testa così a furia di dirmi quanto sei speciale. Tanto che una sera gli ho detto che se continuava così, una volta sposati, ti tenevo per me!" disse ridendo. Poi aggiunse, in tono tenero: "Gli sei mancato moltissimo."
"E lui a me. Ti ho portato un regalo..."
"Davvero? Che cosa? Il dolce tipico di Pisa?"
"Golosa! No... Aspetta..." disse e frugò in una delle valigie. Ne tirò fuori una scatoletta quadra, piatta, coperta di seta blu e gliela porse.
Tanina l'aprì e sgranò gli occhi: "Per me? Davvero?" chiese con una voce piccina.
"Certo, ed è poco. Era appartenuta prima a mia nonna, poi a mia madre: tutte e due la indossarono nel giorno delle loro nozze, e ora è tua, e voglio che la metti per il nostro matrimonio."
"Ma è una parure splendida!" disse, gli occhi sgranati, estraendo dall'astuccio la collana, il bracciale e gli orecchini di perle perfette e grandi, montate in oro, e quasi carezzandoli. Le perle erano montate su tre file sfalsate, unite da un reticolo di maglie di oro bianco. Vi erano due paia di orecchini, una paio a bottone, con nove perle disposte in quadrato, e l'altro di pendenti, con una grande perla sul fermaglio e tre in cascata, di diametro crescente, sempre incasellate in una fine cornicetta d'oro bianco.
"L'anello, purtroppo, è andato perso, e non so se sarebbe stato della tua misura..."
"Ma è splendida... è un sogno... Deve valere una fortuna!"
"Tu vali una fortuna, Tanina!"
"Ma... e per Aniello, non hai portato niente?"
"Sì, certo, questo..." disse Aldemaro con un sorriso, estraendo dalla tasca una scatoletta. "È molto semplice, ma anche molto antico: in casa si diceva che fosse appartenuto a un nostro antenato del sedicesimo secolo..."
Era una fascetta d'oro con un bassorilievo di foglie di quercia e ghiande, su un fondo brunito.
"Molto bello... ma hai trattato meglio me..." disse Tanina con un sorrisetto compiaciuto. "Beh... lui, comunque ha te, che vali assai più di tutti questi gioielli."
Finalmente giunse il giorno delle nozze. La domenica, andarono in chiesa e fu celebrato il matrimonio religioso. Aniello era, come deciso, il testimone di Aldemaro, e il figlio di Tanina, arrivato appositamente da Ostia, quello della sposa. Fecero il rinfresco nella trattoria di zi' Amalia, in piazza del Castello. Poi il lunedì andarono alla Casa Comunale, dove il podestà celebrò il rito civile. Tanina, per entrambe le occasioni, sfoggiò la bella parure di perle e Aniello la sua fascetta di oro antico.
La sera della domenica, avendo Aldemaro lasciato la sua stanza libera per il figlio di Tanina, andò a dormire nel retrobottega di Aniello, così poterono fare l'amore. Il lunedì pomeriggio, poco dopo che era partito il figlio di Tanina col vaporetto, lo stesso con cui l'ultimo confinato, un comunista di nome Li Causi, aveva abbandonato l'isola, alcuni aerei alleati, sorvolando Ventotene diretti verso Roma, sganciarono alcune bombe, fortunatamente senza provocare gravi danni.
Tornati tutti e tre a casa, Aniello disse: "Zia, adesso sei una contessa, visto che hai sposato Aldemaro!"
"Ma sta zitto... ci mancherebbe che ora mi cominciano a chiamare contessa. Mi sembrerebbe che mi pigliano per il... in giro."
"Ma di fatto, lo sei, Tanina." le disse Aldemaro.
"Embeh... pazienza, allora." rise la donna. "Sapete che siete proprio belli?" disse poi, guardandoli con tenerezza.
"Sentite: domani mi accompagnate a fare, finalmente, il giro completo dell'isola?" chiese Aldemaro.
"Certo. Preparo tanti buoni panini, e passiamo la giornata fuori." disse Tanina. "E a sera, aiutiamo Aniello a portare qui le sue cose, che ne dite?"
Il giorno seguente, così, dopo aver fatto una buona colazione con latte, uova e frutta, partirono verso punta dell'Arco. Tanina li portò a visitare una "terra" vicina a Cala Paratella, che apparteneva a un lontano parente, dove raccolsero alcuni ottimi fichi. La masseria era grande, pittoresca, scendeva giù lungo la china fino al mare. I prati erano pieni di erbe e fiori. Poi raggiunsero un piccolo tratto di spiaggia, dove fecero un lungo bagno. Aniello e Aldemaro nuotarono mentre Tanina restava sul bagnasciuga e li guardava, compiaciuta.
Poi, tornati a riva, fecero pranzo. Aniello e Tanina cantarono per Aldemaro alcune vecchi canti tradizionali, chiacchierano, scherzarono, passando il pomeriggio in allegria. Rivestitisi, ripresero via degli Olivi e rientrarono in paese.
Giunse il mese di settembre. Il giorno 8, nel pomeriggio, Tanina, che ora era quasi sempre sintonizzata su Radio Londra, udì in anteprima l'annuncio che l'Italia aveva firmato l'armistizio con gli Alleati. Corse subito fuori, gridando la notizia a tutti quelli che incontrava, ed entrò nella bottega del nipote, gridando anche a loro quanto aveva udito. Tutto il paesello era in subbuglio.
Aniello e Aldemaro chiusero la bottega e tornarono a casa. Provarono a sentire se l'Eiar trasmetteva la notizia. Alle 19,45 finalmente Badoglio, dopo una lunga esitazione dovuta al timore della reazione delle truppe tedesche di stanza in Italia, trovò il coraggio di annunciare alla radio l'avvenuta firma dell'armistizio, dando solo vaghe indicazioni.
Poco prima dell'alba del giorno seguente, gli americani sbarcarono a Ventotene. La notizia dello sbarco colse i ventotenesi, ovviamente, del tutto impreparati.
Oltre alla guarnigione impegnata nella sorveglianza dei carcerati chiusi nel Castello baronale e nella rocca borbonica di Santo Stefano, stazionava a Ventotene un presidio tedesco impegnato a far funzionare un radar, uno dei primi, capace di scrutare buona parte del Tirreno meridionale.
Il piano d'attacco degli alleati all'isola era stato predisposto da un siculo-americano ventitreenne, Biagio Corvo, detto Max, emigrato nel 1929 negli Stati Uniti e appena tornato sul suolo nativo in divisa di ufficiale.
Alle 5 del pomeriggio del giorno precedente, mentre il convoglio di navi alleate stava puntando su Salerno, giunti al largo un gruppetto di natanti al comando del "Knight" se ne staccò e proseguì a gran velocità in direzione di Ventotene. I tedeschi avevano già localizzato la flotta d'invasione in mare a sud di Capri e dato l'allarme: era stato proprio il radar di Ventotene ad avvistarla.
Poco dopo la mezzanotte, il "Knight" raggiunse il punto d'attesa, ad alcune miglia dall'isola, e vennero calati in acqua i "crash boats". Insieme al buio di una notte senza luna, umida, appesantita da un'impenetrabile foschia, condizioni tutte previste dai meteorologi e ritenute essenziali da Corvo per il successo del piano e fortunatamente realizzatesi, i due "crash boats" avrebbero dovuto costituire il fattore vincente dell'operazione.
Si trattava di mezzi dalla doppia funzione: una, portare a terra gli uomini; l'altra, produrre un fracasso tale da essere presi, nel buio, per grandi unità da sbarco. Servivano, insomma, per trarre in inganno il nemico.
Avvicinandosi alla costa, i crash boats produssero l'effetto previsto: temendo un'invasione massiccia, la guarnigione tedesca si ritirò sull'altura del Semaforo dove avrebbe potuto resistere meglio. I soldati italiani, che la sera precedente avevano udito alla radio la voce del maresciallo Badoglio annunziare la resa, attendevano inerti, già disposti a collaborare con i nuovi arrivati. In testa alla flottiglia, una lancia con a bordo il capitano Tarallo guidava alla cieca gli altri mezzi americani.
Il buio era così fitto che non si vedeva l'entrata del porto; nascondeva perfino l'acqua sotto la barca. La natura lavica, bruna, delle coste dell'isola si fondeva con l'oscurità che gravava sul mare. A un certo punto la lancia urtò una roccia: era la costa. Tarallo e un altro uomo, Durante, saltarono a terra per orientarsi. Velocissimo, Durante catturò il primo prigioniero tedesco, un soldato che si accingeva a far saltare, con un grappolo di bombe a mano, un barcone da carico. Tarallo gridò a voce alla flottiglia che seguiva le istruzioni per entrare nel porto.
Ma il buio che fin lì aveva facilitato l'approccio all'isola non era l'ideale per affrontare il combattimento: tra l'altro, scalare l'altura sulla quale avevano preso posizione i tedeschi comportava notevoli rischi giacché la strada era stata disseminata di ordigni esplosivi che nell'oscurità sarebbe stato ancor più difficile evitare. Catturati e interrogati un sergente tedesco e 25 italiani, Tarallo seppe che gli uomini della Wermacht a Ventotene erano 88 in tutto, cioè 3 ufficiali e 85 soldati.
Chiusi i prigionieri nella caserma italiana nel frattempo occupata, si accinse ad attendere l'alba. La "Task Force" navale impiegò le ultime ore di buio per sparare raffiche di razzi, dapprima a casaccio, poi restringendo il tiro alla parte meridionale dell'isola, mentre Tarallo montava mitragliatrici sul tetto della caserma.
Alle 5 di mattina del 9 settembre, piazzati in posizione d'attacco 45 paracadutisti appena scesi dal "Knight", Tarallo prese a salire verso i tedeschi. Lo precedevano due soldati italiani che s'erano uniti agli americani: uno sventolava la bandiera bianca; l'altro, che parlava tedesco, aveva funzione di interprete.
Prima di combattere, Tarallo volle proporre ai tedeschi di arrendersi. Arrivati vicino alla cresta, i due italiani si diressero alle postazioni tedesche mentre Tarallo e i suoi uomini attendevano. Dopo circa mezz'ora gli italiani tornarono indietro riferendo che il comandante tedesco era pronto a negoziare; Tarallo, allora, gli si avvicinò spiegando che doveva arrendersi senza condizioni. Sorpreso, l'ufficiale si fece esitante ma uno degli italiani lo trasse in disparte e, inventando, gli disse che al largo era pronta una forza da sbarco con 500 americani, e che perciò qualsiasi resistenza sarebbe stata inutile.
Così il comandante tedesco cedette e l'isola fu occupata senza colpo ferire. Le truppe americane che restarono a presidiare Ventotene, divennero i nuovi clienti del caffè-tabaccheria in cui lavoravano Aniello e Aldemaro, anche perché questi parlava l'inglese.
Quel giorno stesso, la radio diffuse la notizia che il re, Badoglio e alti funzionari dello stato avevano abbandonato Roma e si erano diretti a Brindisi per porsi sotto la protezione degli anglo-americani. Il giorno seguente, le truppe tedesche occuparono Roma.
Il 12 settembre Mussolini, che era detenuto a Campo Imperatore, sul Gran Sasso, in provincia dell'Aquila, venne liberato dai tedeschi. Sei giorni dopo Mussolini, da Radio Monaco di Baviera, annunciò la costituzione del partito fascista repubblicano e di una repubblica nelle regioni dell'Italia settentrionale sotto il controllo dall'esercito tedesco. Il 23, rientrò in Italia per formare il governo della nuova repubblica italiana, che prese il nome di Repubblica Sociale Italiana, e scelse come sua sede Salò, in provincia di Brescia, sulle rive del lago di Garda.
"Quel porco traditore!" esclamò Tanina quando lo venne a sapere, "Ma chi si crede di essere? Fonda una repubblica, una repubblica nel regno d'Italia?" Era veramente furibonda. Tirò fuori dal ripostiglio il ritratto di Mussolini e lo distrusse a calci e colpi di scopa.
Il 27 e 28 settembre furono sganciate su Ventotene alcune bombe dagli aerei alleati di passaggio, fortunatamente con pochi danni, e nessuno fu ferito. Il comandante della guarnigione americana sull'isola chiamò furioso il comando alleato, chiedendo se fossero diventati pazzi. Poiché Aldemaro parlava fluentemente l'inglese, ora fungeva anche da interprete per gli americani, perciò assisté alla sfuriata del comandante. Come interprete, oltre a una buona paga, portava anche a casa pacchi di derrate alimentari.
Il 29 settembre, Badoglio andò a Malta e firmò la resa totale nei confronti delle forze anglo-americane. E il 13 ottobre, il governo Badoglio dichiarò guerra alla Germania. Era il capovolgimento totale di tutte le posizioni.
Tanina si infuriò di nuovo: "Mussolini e i fascisti saranno stati quello che ormai sappiamo, ma questo, per i tedeschi, e anche secondo me, è tradimento! Da alleati a nemici! Non bastava tirarsi fuori dalla guerra? A me i tedeschi non sono mai stati simpatici, anzi... Non dovevamo neanche metterci con quei nazisti. Ma ora, non si può tradire così! Oltretutto, poi, quando ne abbiamo in giro per l'Italia una marea! Questo Badoglio è un traditore, un pazzo e pure un gran coglione!"
"Sono d'accordo con te, Tanina. Questo passo il nuovo governo non avrebbe dovuto farlo. La pace, sì, ma allearsi col nemico di ieri... altro che voltabandiera!" disse Aldemaro. "D'altronde, però, né io né tu sappiamo perché ha fatto questa scelta. Forse gli Alleati l'hanno costretto."
"E se aveva i coglioni, diceva di no!" ribadì con forza Tanina, veramente arrabbiata. "Adesso chissà quanto andrà ancora avanti la guerra, oltretutto con i tedeschi in casa. Non parlo per noi, qui a Ventotene, che i crucchi si sono arresi subito..."
"Tanina, anche se ti arrabbi, le cose mica cambiano... Calmati, dai." le disse Aldemaro.
La donna lo guardò in tralice: "Ehi, professore, adesso non ti mettere a fare il marito, ché tu e io siamo sposati solo sulla carta!"
Aldemaro assunse un'espressione così mortificata, e mormorò un "perdonami..." in tono talmente contrito, che Tanina scoppiò a ridere.
"Zia, non me lo trattare male, che se pure sulle carte è tuo marito, tu lo sai bene che è l'uomo mio!" disse Aniello, deciso.
"Ma no, no che non te lo tratto male... è impossibile, e sarebbe un peccato mortale trattare male un uomo come il nostro Aldemaro... Nostro, sì. D'accordo, mio solo sulla carta... Ma io sono onorata di essere, ora, la signora Gaetana Franceschini della Riva. E sapete che vi voglio bene a tutti e due, no?"
"Tu, almeno, puoi avere il suo nome..." le disse Aniello.
"E tu hai lui... faresti a cambio con me, se si potesse? Tu ti prendi il suo nome e io mi prendo lui?"
"Ci mancherebbe altro!" esclamò Aniello, "preferisco così come stanno le cose."
"Ehi, e io, non ho parola in capitolo?"
"Zitto, tu!" esclamarono ad una voce Tanina ed Aniello, poi si guardarono, scoppiarono a ridere e, tutti e tre, si abbracciarono.
"Sì... siamo proprio una bella famigliola noi tre, come dice la tua amica Antonietta!" disse Aldemaro, sorridendo sereno, anzi, felice.