Un giorno, quando aveva sui quattordici anni ed era entrato nel periodo della pubertà, iniziarono ad affacciarglisi alla mente altri "perché?" e, tranquillamente come aveva sempre fatto, li pose ai genitori.
"Mamma, perché tu e papà vi siete innamorati e avete fatto l'amore e sono nato io?"
Già prima i genitori avevano avuto modo di spiegare ad Osvaldo "come nascono i bambini", perciò era chiaro che la domanda aveva un altro significato.
"Non te lo so mica dire, Osvaldo, perché... So solo che quando ho visto papà, mi sono sentita come un calore dentro e ho pensato che nessun ragazzo m'era mai piaciuto come lui."
"Sì, mamma, ma perché ti sei innamorata di lui e non di un altro?"
"Beh... perché era bello... eppure ce n'erano anche di più belli di papà. Perché era forte, anche se ce n'era qualcuno più forte di lui. Perché era gentile, anche se altri ragazzi erano molto gentili. Però nessuno aveva occhi buoni come quelli di papà. E allora io mi sono detta che forse Dedalo era il migliore di tutto il paese."
"E anche papà, ha pensato che tu eri la migliore di tutto il paese, giusto?"
"Pare di sì. Vedi, è come quando devi decidere di andare a fare un buon pranzo in trattoria..."
"Cioè?"
"Bene, immagina che puoi scegliere fra sei trattorie... Una è famosa perché fa delle linguine perfette con un sugo favoloso, ma poi il pesce è vecchio, le verdure sono sciape, la frutta è acerba, il vino sa di acqua. Un'altra fa pasta cotta male e col sugo acido, ma ti serve pesci favolosi, cotti a puntino e saporiti, ma poi la verdura è amara, la frutta è mezza marcia e vino non te ne dà. Ce n'è poi una che vale poco per la pasta e il pesce, però ti prepara verdure buonissime, abbondanti, condite a puntino; peccato che la frutta e il vino proprio non sono buoni... Poi c'è quella che di ottimo ha solo la frutta, fantastica, di ogni tipo, ma il resto no, e infine una che tutto quello che ti dà da mangiare proprio non ti piace, ma ha un vino favoloso... E infine, la sesta trattoria, fa una pasta abbastanza buona, ha pesce comune, ma cotto a puntino, le verdure non sono speciali, ma gustose, la frutta, ne ha di un solo tipo, ma matura al punto giusto e il vino, non è famoso ma si lascia bere con piacere... Tu in quale andresti?"
"In quest'ultima, è logico!" rispose Osvaldo ridendo.
"Appunto, papà era proprio come quest'ultima trattoria, capisci? Non il più bello, ma abbastanza bello, non il più forte, ma nemmeno debole, non il più ricco, ma nemmeno in miseria, non il più istruito, ma nemmeno ignorante... ma sopra a tutto, è l'uomo più onesto e buono che ho conosciuto."
"E allora hai scelto lui."
"E lui ha scelto me... probabilmente perché anche io ero come l'ultima trattoria." gli disse la madre con un sorriso.
"E perché sono nato solo io? Perché non ho fratelli e sorelle?"
"Il perché è semplice, Osvaldo mio: perché nasca un figlio non basta essere in due a volerlo... non basta che papà e mamma si... diano da fare, ma bisogna che il buon dio sia d'accordo a mandarlo. Ti mancano fratelli e sorelle, Osvaldo?"
"Beh, non lo so. Magari, se ne avevo, mi lamentavo di loro come fanno certi miei compagni." rispose il ragazzetto con un sorriso.
E poi, un giorno, mentre stavano seduti fianco a fianco sul vecchio molo a pescare con il bigattino, Osvaldo aveva chiesto: "Papà, perché i miei compagni parlano sempre delle ragazze e di quello che gli piacerebbe farci se potessero... e a me non m'interessano proprio per niente?"
"Probabilmente perché sei ancora troppo giovane, non credi?"
"Mica più dei miei compagni... A me... mi pare che... a me mi interessano più... i ragazzi che le ragazze." disse, sogguardandolo.
"Credo che questo è un periodo in cui siamo passati un po' tutti, Osvaldo. Quando si cresce, quando tutto il corpo comincia a cambiare perché smetti di essere un bambino e cominci a diventare un uomo... uno ha paura di non crescere bene, e allora gli interessa vedere i compagni come lui, mica le compagne, per vedere se tutto sta andando come deve... Se ha abbastanza peli... se ce l'ha abbastanza grosso o se è ancora un pistolino come prima."
"Sì, forse è così, papà, però... a me, vedi... non è che mi interessa solo... guardare."
"Da ragazzetti, certo, viene anche voglia di toccare... per vedere se tutto funziona bene. Come t'ho già spiegato, quando lì sei maturo, deve cominciare a uscire anche il seme... quello per fare i bambini, che esce solo quando si prova un piacere forte... che uno si può dare con la mano... o facendolo con un altro... o con una ragazza. E allora viene voglia di paragonare anche quello con i compagni e vedere se e quanto ne viene fuori e... Non è così?"
"Beh, sì, anche... però... I miei compagni parlano mica solo di toccare lì... o di fare le cose con una ragazza... ma anche di baciarle e... e che perdono la brocca per questa o quella e che gli viene duro anche solo a pensare a questa o quella... e invece a me... non mi succede per le ragazze, ma per certi compagni."
"Prima o poi passa, Osvaldo, e tutto comincia a funzionare come deve funzionare." gli disse il padre, serenamente.
"Ma se invece... se invece non passa, papà? Se invece a me mi capita... come si dice che capita a certi, che a me... che le ragazze non mi interessano mai e che invece mi continuano a interessare i ragazzi?" chiese Osvaldo, in tono un po' preoccupato. Poi, temendo di non essere stato abbastanza chiaro, con un filo di voce chiese: "Se io scopro che io... che sono un... recchione?"
"Osvaldo mio... se un giorno capisci... se diventi proprio sicuro che ti interessano più i ragazzi che le ragazze, il vero problema è che non potrai assolutamente manifestare apertamente quel tipo di preferenze, visto che viviamo in un piccolo borgo, e che la gente... credo che sai bene come la pensa. Perciò dovrai custodire gelosamente e accuratamente quel segreto, anche se questo vuol dire soffrire per sempre la repressione delle tue inclinazioni. Perché, se si vengono a sapere, ti espongono alla derisione e al disprezzo di tutti, amici compresi."
"Ma così, se io un giorno davvero capisco di essere uno così... non potrò mai avere qualcuno con cui... fare le cose?"
"Il problema più grosso, Osvaldo mio, se capirai un giorno di essere così, non è tanto fare le cose e basta, ma trovare uno come te da amare e che ti ama. Io mi auguro che tu non sei così, davvero. Perché un padre vorrebbe che il figlio non abbia a soffrire nella vita, e quelli così, la gente, pare che si diverte a farli soffrire. Ma non è detto che sei così, Osvaldo, sei ancora tanto giovane, tu."
"Ma se invece... se invece sono così? Se devo tenerlo nascosto... se tutti quelli così devono tenerlo nascosto... come si fa a trovarne un altro che è pure lui così?"
Dedalo annuì, come per dire che il problema era proprio quello. Poi disse: "Vedi, Osvaldo mio... io non è che ti so dare una risposta, ma... credo che è un po' come... come il problema di chi era ebreo durante il fascismo: per non essere perseguitati, lo tenevano nascosto e si cambiavano nome e si comportavano come tutti gli altri... però si trovavano e aiutavano fra loro... e anche qualche buon cristiano li aiutava a nascondersi e li proteggeva."
"Cioè?"
"Voglio dire che se tu davvero capissi di essere così... dovrai cercare quelli come te per aiutarvi a vicenda, e qualche vero amico che, anche se non è come te, ti protegge e ti aiuta."
"E allora... sarebbe giusto che io mi trovo un buon ragazzo invece che una buona ragazza?"
"Soprattutto, Osvaldo, come diceva mio nonno Alfredo... qualcuno onesto e libero come devi essere tu. Vedi, Osvaldo, sfogarsi può essere facile... anche con qualcuno che non è come te, ma che gli va di sfogarsi con te. La cosa più difficile, ma più importante, è trovare qualcuno che non solo è così, ma che vuole anche amare e essere amato, perché questa è la cosa più importante nella vita. E se tu fossi così, questa, purtroppo, sarà la cosa più difficile."
"Ma, papà... se io sono così... a te e a mamma... mi volete bene lo stesso? Non siete delusi di me?"
Dedalo non era un tipo molto effusivo, ma a quelle parole cinse le spalle del figlio con un braccio, lo tirò a sé e gli disse: "Ti vorremo bene esattamente come prima, Osvaldo. Su questo non devi mai avere dubbi. Mai!"
"Perché... io ho proprio paura di... di essere così, papà." disse Osvaldo, sull'orlo delle lacrime.
"Non devi avere paura, Osvaldo, anche se devi essere molto prudente. Finché camperemo, mamma e io ti saremo sempre vicini, ti proteggeremo e ti vorremo bene."
"Grazie, papà."
"Non hai niente da ringraziare... Se non fosse così, che padre e madre saremmo? Comunque... non è ancora detto, sai? Non ti fasciare la testa prima di rompertela. Come t'ho detto... anche a me, alla tua età, m'è capitato di... di fare certe cose con gli amici... e vedi che adesso sono sposato e siamo una bella famiglia, no?"
Questo colloquio era capitato circa venti anni prima.
Ma, contrariamente a quanto gli aveva detto il padre per tranquillizzarlo, Osvaldo si rese conto che per lui non era solo un periodo come passano tanti ragazzi, ma che davvero lui era diverso dalla maggioranza dei compagni. Se da una parte, come gli aveva consigliato il padre, cercava di non lasciarlo capire e di essere prudente, dall'altra sentiva sempre più forte il bisogno di trovare altri come lui, e non solo per "fare le cose", ma soprattutto per sentirsi meno solo, meno "diverso" di quanto la gente pensasse dei recchioni.
Osvaldo andava e tornava da scuola con la bicicletta, percorrendo la strada che dal paese, in quel tempo abitavano a Fezzano, lo portava a La Spezia. Aveva notato, mentre pedalava, che nelle varie calette che la strada costeggiava e che dominava dall'alto, a volte c'erano gruppetti di ragazzi che facevano il bagno, giocavano in acqua, prendevano il sole.
Alcune di quelle calette, impraticabili quando il mare era grosso e alte ondate le spazzavano, erano comunque difficilmente raggiungibili dalla terra ferma, a causa delle scoscese muraglie di roccia, alte a tratti anche una decina di metri. E proprio lì, a volte, quei gruppetti di ragazzi si bagnavano, spesso, completamente nudi.
Perciò a volte, quando non aveva fretta, spendeva parte del suo tempo a cercare di sorprendere, in quelle appartate calette, quelle situazioni che potessero appagare, anche solamente su un piano visivo, i suoi segreti e crescenti desideri. La possibilità di vedere senza essere visto era aumentata dalla configurazione del terreno, tutto massi e anfratti, cespugli e arbusti lussureggianti.
Lasciava allora la bicicletta fra i cespugli e sgattaiolava fino ad affacciarsi e guardare. A volte sorprendeva ragazzini più giovani di lui che, ignari di essere visti, si misuravano fra loro gli attributi virili in crescita, toccandosi, ridacchiando, a volte anche masturbandosi da soli o l'un l'altro... E allora anche Osvaldo si eccitava e si masturbava, guardandoli, insospettato spettatore.
A volte aveva provato la tentazione di trovare il modo di scendere anche lui sin sulla spiaggetta seminascosta, per unirsi a quei ragazzetti e ai loro giochini, ma non li conosceva e dubitava che l'avrebbero accolto bene.
Qualche volta, invece, aveva sorpreso qualche ragazzo più grande che, semplicemente per praticare il nuoto o un po' di sub da dilettanti, si denudava sul posto per indossare il costume o la muta da sub, offrendo così a Osvaldo la visione di membri già ben sviluppati, aureolati da folti cespugli di pelo e questa visione lo eccitava anche più che non quella dei ragazzini come lui... Sognava di poterli toccare lì, di manipolarli per farli inturgidire, di saggiarne le bella consistenza... e finiva nuovamente col masturbarsi.
Più di rado, aveva anche sorpreso uno di quei ragazzoni cresciuti che, approfittando del fatto di credere di essere solo e non visto, si abbandonava ad una lenta e piacevole masturbazione. E allora Osvaldo avrebbe voluto trovare il coraggio di scendere, farsi vedere e offrire loro la sua disponibilità a fargli raggiungere il piacere, a prodigarsi per loro.
Osvaldo aveva sedici anni ed era ormai sicuro di essere un "recchione", pur non avendo ancora mai avuto il coraggio di "mettersi alla prova". Anzi, proprio per quella prudenza che il padre gli aveva raccomandato, non aveva neppure approfittato più dei giochini che all'inizio aveva fatto con i compagni, con i coetanei del borgo. Temeva di "scoprirsi troppo" con loro.
Infatti, sentiva che non gli sarebbe bastato più masturbarsi guardando un compagno farlo con lui, o anche farlo l'un l'altro, ma desiderava anche baciarli, magari proprio lì, leccarli, succhiarglielo, farselo mettere e provare a metterlo. Ma le crudeli battute dei compagni sui "recchioni" lo scoraggiavano.
Una domenica di inizio settembre, poco dopo pranzo, Osvaldo sentì il desiderio accendersi in lui con maggiore prepotenza del solito. Allora prese la bicicletta ma, invece di salire verso La Spezia, lungo la strada che conosceva bene, decise di scendere verso Portovenere per vedere se per caso vi fossero altri piccoli paradisi come quelli che già conosceva.
Pedalava lentamente, osservando con cura la costa frastagliata, per individuare i posti "giusti", nella speranza di trovare qualcosa di interessante da spiare. Già solo quel desiderio, quel pensiero, e il movimento delle gambe che pedalavano, il clima dolce e mite... avevano provocato in lui una forte e piacevole erezione.
Intravide, sulla sinistra, in una piccola insenatura, alcune figurine rosa saettare sulla spiaggia. Frenò, scese dal sellino, tornò indietro e fu accolto da un allegro vociare di voci maschili che proveniva da qualche metro più sotto. Lasciò la bicicletta far i cespugli e si inoltrò con cautela, sperando di trovare un punto da cui guardare, e che ci fosse qualcosa di interessante da vedere.
Approfittando di tutti i nascondigli che la natura gli offriva, scivolando fra cespugli e massi, giunse finalmente in un punto da cui riuscì a vedere meglio e più da vicino l'insenatura. Quello che vide, gli fece spalancare gli occhi e balzare il cuore in petto.
C'erano tre giovani, completamente nudi: uno era steso, supino, a prendere il sole, e il suo membro era semieretto, su un folto cespuglio scuro; un altro stava uscendo dall'acqua, il corpo brillante per le goccioline che lo ornavano, bello quasi come un dio del mare, e a ogni passo, a ogni movimento delle belle gambe flessuose e forti, il membro e i testicoli oscillavano appena; il terzo camminava lungo il bagnasciuga, chinandosi a raccogliere conchiglie, e gli mostrava così le belle natiche asciutte e muscolose.
Notò da un lato i loro abiti ammucchiati, e quattro zainetti poggiati l'uno contro l'altro: si chiese dove fosse il quarto di quei giovani, uno più bello dell'altro. Non lo vedeva, e pensò che fosse proprio sotto di lui, nascosto alla vista dalle rocce. Pensò che quei tre erano "troppo" belli... Avevano corpi asciutti ma muscolosi, non gonfiati in palestra, ma finemente cesellati.
Anche Osvaldo era un bel ragazzo, benché non se ne rendesse conto: aveva morbidi capelli castano chiaro e occhi verde-azzurro e oro, tratti regolari e un corpo che si stava sviluppando bene, rafforzato da molta attività fisica.
Era affascinato soprattutto dai genitali dei tre. Anche quello che raccoglieva conchiglie s'era girato e anche lui mostrava una mezza erezione. L'avevano diverso per forma, lunghezza e diametro e Osvaldo non avrebbe saputo dire quale fosse più bello. Uno aveva, sul pube, peli scuri e lisci, un altro più chiari ma ricci, il terzo quasi biondi e folti, sì da sembrare fatti di filigrana d'oro.
Osvaldo si frugò nei calzoni, se lo estrasse e iniziò a masturbarsi lentamente, continuando ad ammirare con desiderio quei tre splendidi esemplari di giovane virilità e sognando di poter essere lì con loro. Sussultò quando, quello che era uscito dal mare, sedette accanto a quello che prendeva il sole e, come fosse la cosa più naturale del mondo, allungò una mano e gli carezzò il membro, che rapidamente si rizzò.
"Hai voglia, eh?" chiese quello che lo stava toccando.
"Se mi tocchi così, me la fai venire."
Osvaldo, continuando a masturbarsi, scese ancora un poco verso la spiaggetta, affascinato, bruciando di desiderio. Improvvisamente sentì un fruscio alle spalle e si girò, spaventato. Il quarto ragazzo, completamente nudo come gli altri, lo guardava con un sorrisetto divertito.
"Ma bravo, bravo, bravo! Ti spari una sega a guardare i miei amici!" Poi, presolo per un braccio, lo sospinse giù verso la spiaggia, emergendo fra i cespugli e disse ad alta voce: "Ehi, ragazzi, guardate qui cosa ho pescato: un recchione che vi spiava!"
Osvaldo si sentì morire, avvampò mentre, con la mano libera, cercava disperatamente di rimetterselo nei calzoni, cercando di resistere a quello che lo stava sospingendo avanti. Quello era andato a svuotarsi fra le rocce e Osvaldo, eccitato e affascinato come era, non l'aveva visto ed era così stato scoperto.
Gli altri tre si erano girati a guardarli, e ora convergevano con un sorrisetto sulle labbra verso di loro. Quello che era uscito dall'acqua, notò il panico sul volto di Osvaldo.
Allora, con un sorriso e in tono amichevole, gli disse: "Ehi, ragazzo, mica ti vogliamo fare niente! Che ce ne frega a noi se a te piacciono i ragazzi. Sei recchione, no? A noi non importa se vuoi guardare, vero ragazzi?"
"Ma sì, dai, spogliati tu pure e resta con noi." disse un altro. "Ma davvero a te piacciono i maschi?"
Osvaldo farfugliò una risposta quasi incomprensibile, perché era terribilmente spaventato e temeva che quei sorrisi nascondessero altro che una reale accettazione. Cercava di ragionare, di capire se e come potesse fuggire, mettersi in salvo, non cadere in una trappola, ma una parte del suo cervello invece gli suggeriva di restare, di goderseli almeno con gli occhi... e magari... magari gli avrebbero anche permesso di toccarli lì.
Non li aveva mai visti, forse non erano ragazzi del luogo... forse erano turisti, perciò rischiava poco. E anche loro mica sapevano chi lui fosse, perciò non potevano andare a dirlo in giro. Ma poi si diceva: e se questi, se ammetto di essere recchione, poi mi caricano di botte, mi ammazzano, mi gettano in mare?
Quello che prima stava raccogliendo conchiglie, sembrò leggergli nella mente, infatti disse: "Guarda che non corri nessun rischio con noi. Anzi..." disse rivolto a quello che ancora lo teneva per un braccio, "Lascialo, Rino. Se se ne vuole andare, è libero: in fondo mica faceva niente di male. Se invece decide di restare con noi, resta."
Ora Osvaldo era un po' meno spaventato; era ancora combattuto fra il desiderio di andarsene e quello di accettare l'invito a spogliarsi e restare con loro. Ma quei tre, anzi quattro... erano così belli! Perché rinunciare... anche se avrebbe potuto solo guardarli, ma da così vicino... e poi uno aveva toccato l'altro, e forse avrebbero permesso anche a lui di toccarli.
Allora, ancora un po' incerto, iniziò lentamente ad aprirsi gli abiti, a sfilarseli, lasciandoli cadere a terra e spostando lo sguardo dall'uno all'altro. I giovani continuavano a sorridergli, in modo amichevole.
"Ti piace guardarci?" gli chiese uno.
Osvaldo annuì, ancora un po' vergognoso.
"E... ti piacerebbe pure toccarci?" gli chiese quello che si chiamava Rino, che l'aveva sorpreso.
Il ragazzo annuì di nuovo, continuando a liberarsi lentamente degli abiti.
"E magari... pure fare qualcosa più che toccarci?" gli chiese con un sorrisetto divertito ma allettante quello che prima stava prendendo il sole.
Osvaldo, ormai nudo anche lui, e con ancora una bella erezione in piena vista, arrossì e annuì di nuovo.
"Beh... io ci sto, ma non qui davanti agli amici... Ci vieni con me là dentro?" gli chiese indicando col capo una fessura in un gruppo di alte rocce.
Osvaldo non credeva alle sue orecchie, e mormorò: "Sì... sì, ci vengo."
"Bene. Allora andiamo." disse quello.
Osvaldo lo seguì, sentendosi al tempo stesso eccitato e ancora un po' esitante. La fessura era abbastanza ampia e si allargava in una specie di piccola grotta dal soffitto basso, il pavimento coperto di sabbia fine.
Quando furono dentro, Osvaldo allungò subito una mano e prese il membro ormai duro del giovane, e si sentì emozionato, come in paradiso.
"Cosa ti piace fare?" gli chiese l'altro.
"Non lo so... Non ho mai potuto fare niente, a parte da ragazzino con gli amici." balbettò quasi.
"Ti va di prendermelo in bocca? Di farmi godere con una bella pompa?"
"Non l'ho mai fatto, ma... Non so se lo so fare bene."
"Ti spiego io... Fai come ti dico e... e quando vengo... bevi tutto, ragazzo. D'accordo?"
Osvaldo annuì e iniziò subito a seguire le istruzioni di quel bel fusto. In una tempesta di emozione, piacere, desiderio, gustò il primo membro virile fra le labbra e pensò che era bellissimo. L'altro pareva soddisfatto di come lo faceva, gli dava sempre meno istruzioni, gli carezzava i capelli, e fremeva e mugolava con crescente intensità.
Quando raggiunse l'orgasmo, gli tenne il capo fermo fra le mani e gli versò in gola tutto il frutto del proprio godimento. Osvaldo inghiottì a grandi sorsate, e solo quando l'altro si ritirò deponendogli le ultime gocce sulla lingua, ne gustò anche il sapore: era strano ma gradevole.
L'altro, soddisfatto, lo fece alzare: "T'è piaciuto?" gli chiese.
"Sì..."
"Davvero era la tua prima volta? L'hai ciucciato proprio bene."
Osvaldo annuì, arrossendo lievemente a quel complimento.
"Ti va di farlo con un altro di noi?"
"Sì, certo..."
"Come ti chiami?"
"Osvaldo."
"Io Marco. Resta qui, ti mando un altro."
"Bene."
Quello uscì e chiamò ad alta voce: "Il nostro Osvaldo, aspetta il seguente!" annunciò in tono allegro.
Quel "nostro" dette un sottile piacere al ragazzo, che si riprese in mano il membro e riprese a masturbarsi, pensando che aveva avuto un colpo di incredibile fortuna.
Dopo poco, entrò nella piccola grotta quello che si chiamava Rino.
"Ci ha detto Marco che non avevi mai fatto niente ma che vuoi provare, è vero?"
"Sì." rispose lietamente.
Rino gli andò vicino, gli carezzò il culetto e chiese, con un sorriso allettante: "Lo prendi pure qui? Ti va di provarci?"
"Sì."
"Allora... prima ciucciamelo un po' e mettici parecchia saliva, poi te ne metti pure nel buchetto, almeno non fatica a entrare. D'accordo?"
Osvaldo gli si inginocchiò subito davanti ed eseguì, con vero gusto. Si sentiva inebriato, felice. Quando lo sentì ben sodo e duro, lo lasciò e lo guardò lievemente preoccupato: era bello, dritto, liscio, lucido di saliva ma... si chiese se non fosse troppo grosso. Allora glielo disse.
"Ci vado piano, Osvaldo, dato che non l'hai mai preso lì. Fidati... ho voglia di fottere ma non voglio farti male."
"Va bene." ripose il ragazzo.
Rino lo fece mettere in posizione, aggiunse un po' di saliva sul foro, gli cinse la vita addossandoglisi e iniziò a spingere, sussurrandogli di rilassarsi. Osvaldo non pensò che, senza una protezione, stava rischiando di prendersi una brutta malattia... e quella volta fu fortunato che quei ragazzi fossero sani... In seguito, però, non fece mai più nulla se non aveva preservativi con sé.
Rino, mentre continuava a spingere tentando di penetrarlo, gli carezzava il ventre, il petto, i genitali e Osvaldo si sentiva sempre più in paradiso. Improvvisamente il suo sfintere cedette e provò una breve fitta e lanciò un gemito. Rino si fermò.
"Ti fa male? Mi devo levare?" chiese, in un tono in cui era chiaro che sperava di no.
Osvaldo scosse la testa: "No, vai... ma piano, per favore." mormorò.
Rino riprese a spingere e lentamente gli scivolò dentro. Osvaldo si sentì riempire e provava un misto di dolore, piacere, fastidio e godimento. Riprese a masturbarsi lentamente e cercò di rilassarsi al massimo, perché capiva che così il fastidio sarebbe diminuito e il piacere aumentato. E infatti avvenne così.
Era talmente stretto e caldo, che Rino durò poco: raggiunse velocemente un forte orgasmo e si scaricò in lui, ansando forte e gemendo in preda al godimento. Anche quei gemiti sembrarono eccitanti ad Osvaldo. Poi, dopo un profondo sospiro, si sfilò da lui e lo fece girare.
"Tutto bene, no?"
Osvaldo annuì con un sorriso.
"Ti va se ti mando Dario? Anche lui ha voglia di scopare."
"Sì, va bene."
Rino uscì e dopo poco entrò quello che si chiamava Dario. Era già in piena erezione. Gli sorrise e, prendendoselo in mano, gli chiese: "Davvero te lo lasci mettere anche da me?"
"Sì." disse Osvaldo, notando che Dario l'aveva meno grosso di Rino.
Si girò e si mise in posizione... e quando il giovanotto glielo infilò nel foro ancora morbido e dilatato, Osvaldo provò anche più piacere che con Rino, e il fastidio era quasi totalmente scomparso. Si godette quell'unione anche più delle due precedenti. Pensò, lietamente, che era bello essere "recchioni".
Accontentato anche Dario, attese che arrivasse il quarto, Costantino.
Questi, entrato, gli chiese: "Allora, ti piace?"
"Sì che mi piace."
"Senti... se mi giuri che non dici niente a nessuno, agli altri..."
"Sì che te lo giuro."
"Anche a me piace farlo, sia coi ragazzi che con le ragazze. E ho un amico che gli piace farlo coi ragazzi e che lo fa con me. Che ne dici se domenica prossima ci troviamo qui, tu, io e lui, soli, e ci divertiamo tutta la giornata?"
Osvaldo annuì vigorosamente, poi chiese: "Ma adesso, che vuoi fare?"
"Un bel sessantanove, ti va?"
"Tu lo ciucci a me e io a te?"
"Sì, ti va?"
"E io lo bevo a te e tu a me?"
"Sì, allora?"
Si stesero sulla sabbia, uno sopra e uno sotto e si unirono e finalmente anche Osvaldo raggiunse un orgasmo fortissimo, squassante, fantastico!
Soddisfatti, uscirono e si unirono agli altri. Si bagnarono, chiacchierarono di molte cose, ma non di sesso, e infine si salutarono. Poco prima di lasciarsi, tornati su alla strada, Costantino gli sussurrò: "Domenica mattina verso le dieci?"
"Sicuro."
Osvaldo aveva saputo che erano tutti e quattro allievi dell'accademia di marina, a La Spezia, e che stavano per finire il corso. Tornò a casa pedalando felice, nonostante il lieve fastidio che provava fra le natiche a ogni pedalata.