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una storia originale di Andrej Koymasky


IL NAUFRAGO E IL PESCATORE CAPITOLO 4 - GRANDI CAMBIAMENTI

Terminata la naia e tornato a casa, Osvaldo iniziò a lavorare su un peschereccio, assieme al padre, sotto padron Girolamo. Ma dopo pochi mesi di quella vita, una sera, tornati a casa per il riposo settimanale, il ragazzo disse: "Papà... io credo che non mi piace fare la vita del peschereccio."

"Non ti piace fare il pescatore?"

"No, non quello, ma sul peschereccio... non è pescare... è... rastrellare il mare. Non lo so, ma..."

"E cosa ti piacerebbe fare, allora?"

"Pescare, però... al bigattino, per esempio. O anche con le reti, col bilancino; ma come faceva il bisnonno, e il nonno... e non sotto padrone."

"Così, però, Osvaldo, faresti una vita misera come l'hanno fatta loro. Non potresti comprarti tutte le comodità che puoi desiderare." gli fece notare la madre.

"Ma la libertà è la comodità più grande... secondo me, mamma. E per avere quella non servono i soldi."

"Se il ragazzo ci vuole provare, Marta, lasciamolo provare. Se trova che gli va bene, continua, e se no, cerca un'altra soluzione." disse il padre, in tono comprensivo. "Noi siamo sempre qui, per lui."

"Grazie, papà. Io sono convinto che... che andrà tutto bene."

"Tu... sei tale e quale a nonno Alfredo, Osvaldo. Avremmo dovuto chiamarti come lui, sarebbe stato giusto." gli disse Dedalo con un sorriso.

"Mi sarebbe piaciuto conoscere il bisnonno e chiamarmi come lui. Davvero gli assomiglio?"

"Fisicamente, a parte che sei un palmo più alto di lui, gli assomigli parecchio. E come carattere, anche di più. Anzi, direi che sei tale e quale a lui."

Così Osvaldo si licenziò, e, scovato il capanno abbandonato accanto al vecchio molo in disuso, a due passi da Le Grazie di Portovenere, saputo che apparteneva a un vecchio pescatore, gli andò a chiedere il permesso di usarlo. Ottenutolo, lo risistemò, ci portò lenze, canne, bilancini, reti, e con la bicicletta ogni giorno andava avanti e dietro per andare a pescare usando gli antichi sistemi.

Poi, fissato il cesto con il frutto delle sue fatiche sul portapacchi, pedalava su fino al Consorzio dei Pescatori, vendeva tutto quello che aveva pescato, prendeva i soldi e, tornato a casa, li dava alla madre. Non teneva niente per sé.

Quella vita gli piaceva. Sì, molto più che lavorare sul peschereccio. Come il padre, la domenica faceva riposo, per poterci stare assieme. Con lui spesso passeggiava per il paese, mentre la madre andava a messa.

Gli uomini della famiglia Cozzani non avevano mai messo né mai mettevano piede in chiesa, a parte per il matrimonio per fare contenta la loro sposa, almeno fin dai tempi di bisnonno Alfredo, però vi lasciavano andare le loro donne e ne rispettavano la religiosità, e permettevano loro di far battezzare i figli. "Un po' d'acqua e sale e olio, non ha mai fatto morire nessuno!" aveva sentenziato bisnonno Alfredo.

"Papà, perché alle donne gli piace tanto andare in chiesa?"

"Anche a qualche uomo... Mah, loro ci credono. E se ci credono, è logico che ci vanno. Anche se certamente c'è qualcuno che ci va solo per abitudine."

"Ma secondo te, papà, dio esiste?"

"Dal nulla non può nascere nulla, perciò, se io esisto, e prima di me mio padre, e mio nonno e su su... ci deve essere un'esistenza infinita, eterna, che nessuno ha messo al mondo, e che è quello che la gente chiama 'dio'. Però, com'è fatto, chi è, cosa pensa... non mi convince quello che ci raccontano i preti. Perciò ci credo, sì, che deve esistere un dio."

"E dopo morti, andiamo da dio o finisce tutto?"

"E chi lo sa, Osvaldo mio. Da una parte, mi piacerebbe pensare che papà e mamma, nonno e nonna e tutti gli altri a cui ho voluto bene, sono lassù, da qualche parte. E che quando toccherà a me, potrò continuare, in un modo o in un altro, a esserci e a guardarti crescere... e a aspettarti."

"Sì, mi piacerebbe pure a me. Ma se invece, una volta morti, finisce tutto?"

"Beh... allora, non potrebbe nemmeno dispiacermi, no?" gli disse serenamente il padre.

"Già, è vero."

"L'importante è vivere bene questa vita, almeno abbiamo già qui un premio, e cioè il premio di chi sa di essere una persona degna di essere chiamato uomo. Se poi c'è anche l'altra vita, allora il premio è doppio. Tanto meglio."

"Ma, papà, se dio c'è, e se è come dicono i preti... quando muoio, me la fa pagare perché a me piacciono... quelli come me."

"Io, proprio a un dio così, non riesco a crederci. A un dio che affetta la tua vita e poi ti pesa come fa il salumiere, o che tiene i conti del dare e dell'avere come un ragioniere. Se io, che dio non sono e che ho tanti difetti, ti voglio bene così come sei, che dio sarebbe se non fosse capace di volerti bene così come sei? Varrebbe meno di me. No, un dio così, non sarebbe un dio."

"Papà... da quando... da quando ho finito la naia... non ho più trovato nessuno."

"E ti pesa."

"Embeh!"

"Forse... dovresti stare di più coi giovani come te e chissà che magari, prima o poi, non ne trovi uno che potete volervi bene e proteggervi l'un l'altro."

"Sarebbe bello, sì... Ma quelli della mia età, hanno già tutti la morosa... o addirittura, qualcuno, s'è già sposato."

Il padre annuì: "Purtroppo hai ragione, Osvaldo mio. Ma vedi, è un po' come se tu eri, che so... zoppo, perché qualcuno t'aveva messo sotto con la macchina. Voglio dire, tu, non per colpa tua ma della gente, hai un limite e devi essere forte e imparare a viverci, anche se sono gli altri che te lo impongono. Uno zoppo magari non può giocare a calcio ma può diventare un buon nuotatore. Ma soprattutto, può diventare più in gamba, più uomo di quelli che camminano dritto. I limiti, se uno li accetta, possono aiutare a diventare migliori e perciò a superarli, in un modo o nell'altro."

"Si può essere liberi anche avendo limiti, sì, questo lo capisco. Ma sarebbe così bello se uno potesse dire a un altro, maschio o femmina nello stesso modo, che gli piace, senza essere per questo... a dire poco deriso, segnato a dito, disprezzato."

"Mah... per ora è così, che ci vuoi fare? Io, nel mio piccolo, cerco di far cambiare le cose, anche questa, anche se so che non sarà tanto facile."

"Anche questa, papà? E come?"

"Per esempio, quando qualcuno che conosco fa una battuta scema o cattiva su quelli come te, gli rispondo a tono e gli dico che certe battute sono sbagliate e cattive. A certi non gliene frega e continuano, e allora continuo anche io a rimbeccarli; ma altri, invece, capiscono e smettono. Lo so che è una piccola cosa, ma la posso fare e la faccio."

Osvaldo annuì, e pensò che davvero suo padre era un uomo in gamba, o, più semplicemente, un uomo!

Non restò solo molto a lungo.

Aveva venticinque anni quando, un pomeriggio, mentre a torso nudo stava risistemando la parete esterna del capanno sostituendo alcune assi marcite con tavole nuove che aveva comprato, a un certo punto aveva visto un'ombra sovrapporsi alla sua contro la parete. Non aveva sentito arrivare nessuno, perciò si girò un po' sorpreso.

Era un ragazzo più o meno della sua età, vestito con jeans alla moda, di quelli trattati con la pomice per farli sembrare invecchiati, una moda che Osvaldo trovava stupida, e una maglietta coi colori della Sampdoria e sandali senza calze ai piedi. E il nuovo arrivato lo guardava con un lieve sorriso.

"Ciao." lo salutò Osvaldo.

"Mio nonno m'ha detto che t'ha regalato il capanno..."

"Tuo nonno? Regalato? A me aveva detto che lo potevo usare... Me l'ha solo prestato."

"A me ha detto che te l'ha regalato. Io mi chiamo Giacomo Bianchi."

"Come tuo nonno. Io sono Osvaldo Cozzani."

L'altro ridacchiò: "Nonno aveva detto Osvaldo Cazzaniga. Non ci sta più tanto con la testa, povero nonno."

"Magari ha solo capito male... O si ricorda male..."

Lo sguardo di Giacomo scorreva su e giù per il corpo di Osvaldo, soffermandosi sull'ombelico, sui capezzoli e sul volto.

"Io... saranno tre o quattro anni che non vengo più qui. Una volta ci venivo con gli amici... per stare un po' fra noi, in pace. M'ha detto il nonno che tu fai il pescatore, giusto? O ha sbagliato anche questo?"

"No no, è esatto, pesco, qui nella caletta."

"E sei sempre solo?"

"Sei il primo che viene qui, da quando ci sono io."

"E non ti annoi a stare solo?"

"No... anzi... mi piace."

"Allora preferisci stare da solo?"

"Neanche. E tu che lavoro fai?"

"Il cameriere d'albergo, a Portovenere. Ma oggi è il mio giorno di riposo. Ero andato a trovare il nonno e così... quando m'ha detto che aveva regalato il capanno, sono venuto a curiosare. Rompo se resto un po' qui?"

"È più casa tua che mia, no?"

"Adesso è tua, se nonno te l'ha regalata."

"Mica ha scritto niente."

"Già. Beh, ti lascio finire di lavorare. Io mi faccio una nuotata." disse Giacomo e lì, davanti a lui, si denudò, lasciando la sue cose più o meno ripiegate su un sasso, e corse, completamente nudo, a tuffarsi.

Osvaldo lo guardò un po' stupito per la semplicità con cui s'era levato di dosso ogni cosa, e ne ammirò le belle forme, il bel culetto nervoso; poi, per un po', lo guardò dare vigorose bracciate e andare verso il largo. Gli venne un'erezione. Si girò e continuò a fare il suo lavoro. Quello s'era spogliato davanti a lui come se niente fosse, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Beh, in fondo, perché no? Si chiese Osvaldo. A parte il fatto che era un bel ragazzo, e poi erano soli e era un ragazzo anche lui...

Finì di inchiodare l'ultima tavola. Guardò soddisfatto il risultato del proprio lavoro. Raccolse gli attrezzi e portò tutto dentro il capanno. Ripensò a quel Giacomo e gli venne voglia di spogliarsi e di andare a nuotare anche lui... e gli tornò l'erezione. Quel ragazzo gli piaceva. Si stava chiedendo se spogliarsi e raggiungerlo o no, quando Giacomo entrò, grondante e tutto nudo, dicendo: "Disturbo?"

"Eh? No... no, entra."

"Sono già entrato." gli disse Giacomo con un sorrisetto. "Non ho niente per asciugarmi e non voglio bagnare i vestiti... Mica hai qualcosa da bere, per caso?"

"Solo acqua."

"Ottimo. Me ne dai un po'?"

"Devi attaccarti alla bottiglia, non ho niente, qui."

"Se non ti fa schifo, per me va bene."

Osvaldo gli porse la bottiglia. Giacomo bevve e, mentre beveva, lo guardava.

"Hah... bella fresca!" disse porgendogli la bottiglia. "Hai bei pettorali. Fai ginnastica?"

"No... lavoro, semplicemente. Poi nuoto, pedalo, e questo mi basta per restare in forma."

"Già..." disse e, avvicinatoglisi, gli passò una mano sul petto. "Tutti muscoli." Osvaldo fremette. "Ti dà fastidio che ti tocco così?" gli chiese Giacomo, con un sorrisetto.

"No..." rispose, restando fermo.

"E..." disse l'altro, sfiorandolo sulla patta, "Se ti tocco così?"

"No..." ripeté Osvaldo, a bassa voce.

"Mi piaci, sai? Non ti andrebbe di... di fare qualcosa con me?" gli chiese con uno sguardo allettante, anche lui a bassa voce.

Osvaldo lo prese fra le braccia e lo tirò a sé. Giacomo lo strinse e lo baciò in bocca, dapprima lieve, poi più intimamente.

"Ce l'hai duro..." disse con un sorriso compiaciuto Giacomo. "E baci bene... Fai bene... anche il resto?"

"Vuoi verificare?"

"Sicuro." gli disse, cominciando ad aprirgli i calzoni. "A te piacciono solo i ragazzi o anche le ragazze?" Osvaldo non rispose, allora Giacomo disse: "A me solo i ragazzi, specie se sono belli come te."

Gli calò i calzoni e le mutande, poi gli si accoccolò davanti e si mise a leccarglielo e succhiarglielo. Osvaldo chiuse gli occhi e pensò che ci sapeva fare, non era certo un novellino. Mentre si indaffarava sul suo membro, con una mano gli carezzava il ventre, i fianchi, le cosce e con l'altra lo stuzzicava fra le natiche, soffermandosi sul buchetto, lievemente ma insistentemente. Osvaldo fremette.

Da una parte era sorpreso per la "sfacciataggine" di quel ragazzo. Dopo tutto s'erano appena incontrati, non si conoscevano e già stavano facendo sesso... ma dall'altra gli era grato perché così gli stava dando modo di interrompere la sua lunga astinenza.

Giacomo si alzò e lo guardò con occhi brucianti di desiderio: "Mica hai un goldone? Io non pensavo che... e non ne ho."

"No, neanche io pensavo... È un sacco che non avevo più occasione di... e così..."

"Peccato. Ma ci si può rivedere, no?"

"Mh."

"Adesso, forse... è meglio che smettiamo, allora, o chi si ferma più? Mi piaci troppo, tu." disse Giacomo. Poi, quasi come se avesse avuto un ripensamento, chiese: "Mica hai già un ragazzo, tu?"

"No... t'ho detto che da anni non facevo più niente."

"Ma come, uno figo come te!"

"Mah sai... mica è facile." disse Osvaldo, rimettendosi a posto i calzoni.

"Non vai mai a ballare a La Spezia, a cercare qualche avventura? Io sì... sai, con tutti i marinai in calore che ci sono si becca abbastanza facilmente."

"Non saprei neanche dove andare... e poi..." rispose, un po' imbarazzato.

"Fa un po' freddo qui dentro, all'ombra. Ti va se usciamo al sole e chiacchieriamo ancora un po'?"

Così Giacomo e Osvaldo iniziarono la loro relazione. Fu Giacomo che un giorno portò un lettino nella baracca, con un motocarro che s'era fatto prestare, in modo di stare più comodi quando facevano l'amore. E che un giorno gli portò una carta firmata dal nonno, in cui cedeva a Osvaldo la proprietà del capanno col pezzetto di terra che lo circondava.

Poi, quando Osvaldo aveva ventinove, trenta anni, nella sua vita sopravvenne un grande cambiamento.

La prima avvisaglia, fu quando Giacomo gli comunicò che era stato assunto come cameriere su una nave da crociera: questo significava che la loro relazione era giunta alla fine. Osvaldo, nonostante si fosse innamorato di Giacomo, accettò senza recriminazioni la decisione del compagno, dicendosi che il primo l'aveva lasciato per le vigne del padre, e ora il secondo lo lasciava per una nave.

Il seguente colpo che ricevette, fu la morte della madre.

Un giorno, tornato a casa dopo essere andato a vendere il pesce al Consorzio, la trovò nel piccolo soggiorno, seduta davanti al televisore acceso. Pensò che si fosse addormentata e sorridendo, cercò di svegliarla, chiamandola e scuotendola lievemente... per rendersi conto che sua madre, da quel sonno, non si sarebbe svegliata mai più.

Il medico disse che le aveva ceduto il cuore. In realtà glielo disse usando termini più difficili, ma il succo era quello. Nessuno aveva mai sospettato che Marta avesse problemi di cuore. E, dopo tutto, aveva appena compiuto cinquanta anni, pareva una donna ancora piena di vita, di energia... e di gioia di vivere.

Dopo il funerale, Osvaldo disse al padre: "Io spero che ci sia davvero una vita oltre la morte, papà."

"Certo, anche io. Ma la cosa più importante è che abbiamo vissuto bene con lei. E che l'abbiamo amata, come lei ha amato noi. Che le abbiamo dato una candela di più finché era viva, come usava dire nonno Alfredo."

"Quand'è l'ultima volta che le hai detto 'ti amo', papà?" gli chiese Osvaldo.

"Esattamente l'ultima volta che l'ho vista." rispose Dedalo con un sorriso pieno di nostalgia. "Quando due si amano, non devono mai dimenticarsi di dirselo. Anche se noi uomini ci siamo meno portati, forse per paura di sembrare troppo... sdolcinati. Non basta dirselo, bisogna dimostrarselo, però non basta dimostrarselo, bisogna anche dirselo."

"Ora... ci mancherà." sussurrò Osvaldo.

"Sì, certo, ci mancherà. E non ci mancherà, pure. Perché Marta comunque è ancora viva dentro il nostro cuore, finché continuiamo a pensare a lei e a volerle bene."

"Ma non è la stessa cosa."

"No, certo, non è la stessa cosa." assentì Dedalo.

"Papà... Mamma sapeva di me?"

"Sì, certo. Fra lei e me ci si diceva sempre tutto."

"E come l'aveva presa?"

"Come me, anche se non subito. Ma anche lei ti amava, perciò ti aveva accettato."

"Non m'ha mai detto niente."

"Né tu a lei."

"Fra uomini... è più facile."

"E mamma lo capiva. Ma non hai mai notato che, a differenza di quasi tutte le mamme, non t'ha mai chiesto quando ti sposavi?"

"Già, è vero. Beh... sono contento che sapesse. E che ha continuato a volermi bene come prima. Ma con lei... non sarei riuscito a parlare chiaro come con te, papà."

"Credo che sia... naturale."

"Tu... hai mai tradito la mamma?"

"Come avrei potuto? Io l'amavo... Non mi è nemmeno mai passato per la testa."

"E adesso... ti risposerai? Prima o poi?"

"Mah, e chi lo sa? Per ora, non mi interessa. Marta è ancor qui con me, in un certo senso. Ma chi conosce il futuro?"

Era passato poco più di un anno dalla morte di Marta. Osvaldo era solo in casa, era notte, il padre era partito da due giorni con il peschereccio di padron Girolamo. E quella notte vi fu una tempesta di violenza inusitata, che svegliò Osvaldo, che corse a chiudere bene tutte le finestre, il cuore che gli batteva per essere stato svegliato di soprassalto da un tuono talmente forte da sembrare che fosse scoppiata una bomba proprio sotto casa.

Tornò a letto, cercando di rilassarsi, ma faticò a prendere sonno. Giunse l'alba, un'alba livida, e la tempesta ancora non si era completamente placata. La pioggia frustava i vetri delle finestre riempiendo il piccolo appartamento con un rumore basso e continuo, un insistente tamburellare sui vetri.

Osvaldo lasciò il lettino, andò in cucina per prepararsi la colazione, nonostante fosse ancora presto. Non poteva andare a pescare, con quel tempaccio. Mentre trafficava in cucina, accese la radio che era sintonizzata sulla solita stazione che emetteva anche i bollettini per i naviganti. Stava trasmettendo canzonette.

Osvaldo aveva iniziato a mangiare la sua solita, abbondante colazione, quando le trasmissioni furono interrotte e l'annunciatore lesse un comunicato, le ultimissime notizie...

Fu così che Osvaldo venne a sapere che Dedalo era andato a raggiungere Marta: il suo peschereccio era affondato e dei tre uomini d'equipaggio non si era salvato nessuno. Fino a quel momento, avevano recuperato un solo corpo, quello di Dedalo Cozzani, di anni cinquantaquattro, residente a Fezzano.

Osvaldo restò immobile, sentì come una mano di gelo stringergli la nuca. Mormorò, con la voce rotta da un pianto che non voleva uscire dai suoi occhi: "Addio, papà... Addio, abbraccia la mamma... e dille... che vi amo!"

Accompagnò, con tutto il paese, il feretro del padre fino al piccolo cimitero di Fezzano, dove fu inumato accanto alla moglie. Tutti si premurarono di fargli le condoglianze, che Osvaldo accettò quietamente, anche se avrebbe voluto essere lasciato in pace.

Un antico amico del padre, gli chiese: "E che farai, adesso, Osvaldo? Adesso che sei rimasto solo?"

"Continuerò a pescare." rispose quietamente il giovanotto.

"Sì, ma... non faresti bene a sposarti? Non ci pensi?"

"E tu, Tonio, non faresti bene a divorziare? Non ci pensi?"

"Ma che dici?!"

"Esattamente quello che tu hai detto a me, no?" rispose serenamente. "Tu vuoi cambiare? Anche se litighi sempre con tua moglie? No. E nemmeno io, che non ho nemmeno qualcuno con cui litigare."

"Mah... chi ti capisce è bravo. Io lo dicevo per il tuo bene."

"Lo so, e ti ringrazio." ammise, poi aggiunse, a bassa voce: "Ma papà e mamma, non hanno mai litigato."

"Ah, ma la Marta era una santa donna, e il Dedalo era un uomo buono. Lo sanno tutti."

"In questo hai proprio ragione, Tonio. Sì, hai proprio ragione. Ho due genitori in gamba." disse, usando il verbo al presente, e non per caso, ma per dire che, per lui, erano ancora vivi, dentro il suo cuore, grazie al suo amore.

Tornato a casa, prese una decisione che da anni sonnecchiava in un cantuccio della sua mente. Riordinò tutte le cose che c'erano in casa, mettendo da una parte tutto ciò che non era strettamente essenziale e da un'altra quel poco che pensava di tenere. Poi andò all'ufficio postale a ritirare tutti i pochi risparmi che il padre aveva in un libretto in cui c'era anche la sua firma.

Con quei soldi, si comprò un motocarro di seconda mano, vecchio ma ancora in buono stato, vi caricò le poche cose che aveva deciso di tenere e le trasportò al capanno. Fu una faticaccia, nonostante fossero poche cose, trasportare tutto giù per le rocce e i sassi, ma se la cavò.

Poi tornò a Fezzano, andò dal parroco e gli chiese di vuotare completamente l'appartamento regalando tutto ai poveri, per lo più immigrati, quindi andò dal padrone di casa a disdire l'affitto, spiegandogli che lasciava libero l'alloggetto.

Per diversi giorni, lavorò al capanno, alternando le attività di pesca con quelle di una parziale ristrutturazione. Usando un carico di assi, creò due basse tramezze, dividendolo in tre parti separate da due tende, in modo di ricavarne una zona per il letto, una da usare come deposito per gli attrezzi e, quella più vasta, a cui si accedeva dalla porta, come cucina.

Non aveva elettricità, non vi era il cesso; per cucinare usava un fornello a gas in bombole, che andava a comprare a Portovenere, usando il suo vecchio motocarro, dopo che era salito al Consorzio per vendere il pesce. Per vuotarsi andava fra le rocce, a mare.

Poi s'era comprato alcuni attrezzi per coltivare, dietro al capanno, il pezzetto di terra che possedeva, almeno si sarebbe procurato da solo gran parte del proprio cibo. Andava solo a comprare il pane, il sale, l'olio, e poche altre cose.

Fu in quel periodo che i ragazzi dei dintorni iniziarono a scendere fino al vecchio molo abbandonato e a parlare, a confidarsi con quel peculiare pescatore, sempre così ospitale, sereno e disponibile. A volte gli davano anche una mano nei suoi lavori. Altre, prima o dopo essersi intrattenuti a parlare con lui, andavano a farsi una nuotata nella piccola, tranquilla caletta, quasi sempre completamente nudi.

Osvaldo non aveva mai tentato niente con quei ragazzi, sia perché per lui erano troppo giovani, sia perché, di fatto, non era mai stato lui a fare il primo passo per iniziare una relazione o anche semplicemente per avere un'avventura. Questo, né per orgoglio né per timidezza. Era il suo carattere: sempre pronto a dare, e anche ad accettare, ma non pronto a chiedere, a sollecitare.

Lui diceva: "La mia porta è sempre aperta, ci può entrare chi vuole; ma io non ci spingerò mai nessuno dentro."

Anche questo era uno dei detti del bisnonno Alfredo.

I ragazzi dei dintorni, che all'inizio andavano giù a trovarlo più per curiosità che per altro, gradualmente gli si erano affezionati proprio per la sua completa disponibilità che non chiedeva mai nulla in cambio. Per la sua capacità di ascoltare e di tentare di rispondere ai loro "perché?" senza mai far notare se una domanda poteva essere stupida, ingenua, inopportuna.

Gli erano affezionati perché, benché avesse più o meno il doppio della loro età, non si atteggiava mai a "grande". Lo ammiravano perché, pur avendo un carattere gentile, sentivano in lui una fierezza rara nella gente. Era davvero ospitale come un pastore sardo, e fiero come un antico guerriero ligure, come ebbe a dire un giorno uno dei "suoi" ragazzi.


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