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una storia originale di Andrej Koymasky


IL NAUFRAGO E IL PESCATORE CAPITOLO 5 - IL NAUFRAGO

Erano ormai ore che Osvaldo stava seduto al suo solito posto sul vecchio molo, in attesa che abboccasse ancora qualche pesce. Si erano già fatte le sei del mattino. In realtà aveva ormai pescato abbastanza pesci per andarli a vendere su in paese, perciò si alzò e andò a deporre gli attrezzi nel capanno.

Secondo la legge, aveva l'obbligo di portare tutto il frutto delle sue fatiche al Consorzio, era proibito vendere direttamente a privati o a negozi. Anche se sapeva che qualche pescatore lo faceva, infischiandosene delle leggi, Osvaldo non l'aveva mai fatto.

Il compenso che ricavava dal Consorzio, in base al peso, alle qualità e alle quotazioni del giorno, gli era più che sufficiente per vivere nel modo che aveva scelto. Portò le ceste su fino al motocarro e ve le caricò. Certo, faceva meno fatica di quando doveva salire fino al paese in bicicletta.

A volte aveva pensato che gli sarebbe piaciuto avere una barca per uscire di notte e stendere le reti, ma non se la sentiva di affrontare da solo il mare aperto. Dopo tutto, guadagnava a sufficienza anche così, senza usare una barca. Qualcuno dei ragazzi gli aveva chiesto perché non noleggiasse o si comprasse un piccolo motopeschereccio: alcuni di loro sarebbero anche andati volentieri a lavorare per lui. Ma a Osvaldo non piaceva né l'idea di lavorare su una barca a motore, né di diventare un "padrone". Lui non aveva voluto padroni, perciò non voleva diventarlo.

Su a Portovenere, uscito dal Consorzio, stavano già aprendo i negozi. Fece perciò qualche acquisto, le poche cose di cui aveva bisogno, scambiò due parole con i bottegai che ormai lo conoscevano, e tornò al suo vecchio ma fedele motocarro. Dopo il breve viaggio, l'aveva parcheggiato a lato della strada e chiuso, e stava scendendo verso il capanno, quando notò un'imbarcazione incagliata fra le rocce, evidentemente in cattivo stato.

Poi vide un corpo maschile, seminudo, steso immobile sulla spiaggia. Capì che doveva essere il padrone, o comunque quello della barca: un naufrago. Corse giù fino alla spiaggetta, sperando che fosse ancora vivo e non troppo malconcio. Si avvicinò preoccupato.

Era vivo: aveva gli occhi semiaperti che lasciavano percepire un bel colore ceruleo; il petto si sollevava e abbassava lentamente e aveva muscoli ben definiti, anzi, cesellati; sul volto aveva un'espressione un po' intontita, eppure dolce e serena; era biondo e aveva una corporatura snella; era alto, probabilmente una spanna più di lui.

Il naufrago lo vide e abbozzò un sorriso. Osvaldo si accoccolò accanto a lui e gli chiese che cosa fosse accaduto, come si sentisse.

"Tofe sono finito?" chiese, pronunciando la "s" in un modo strano, a metà fra una "s" ed una "z" dolce.

"Non sei italiano, vero?"

"No, sono tetesco ti Cermania. E sono uno grante stronzo... Mi sono attormentato e la mia barca si ha rotta tutta, contro scogli." disse indicandola.

Osvaldo guardò la barca: era davvero malconcia, malamente sventrata. Un rottame. Su un fianco si leggeva la sigla, RX275.

"Ce la fai ad alzarti?" gli chiese Osvaldo.

"Creto ti sì." rispose il giovane alzandosi. "Sì, io niente rotto, solo mia barca. Tefo andare prendere og-ni cosa che si può ancora salfare... Tu mi aiuta?"

Andarono, camminando nell'acqua che gli arrivava appena alla vita. Salirono sul natante e, mentre il tedesco prendeva un portafogli, il libro di bordo e tutti i suoi documenti, Osvaldo si guardò attorno e vide che vi era ben poco da prendere. "In due o tre giri, possiamo portare tutto a terra." disse.

"Sì, tue, tre ciri, ma non ora. Ora io troppo sopra-sotto... si dice?"

"Vieni. Ci pensiamo più tardi."

Lo portò dentro il capanno, gli fece togliere gli abiti zuppi da dosso, dandogli un telo per asciugarsi, poi gli porse alcuni abiti suoi, asciutti, da indossare almeno finché non si fossero asciugati i suoi che andò a stendere fuori. Si cambiò anche lui, poi lo fece sdraiare sul proprio lettino.

Osvaldo era rimasto lievemente imbarazzato, benché anche compiaciuto, quando il tedesco era rimasto nudo di fronte a lui: non aveva potuto fare a meno di osservare il suo membro che, benché fosse in posizione di riposo, si presentava di calibro rispettabile. Gli preparò un vin brulé con l'aggiunta di grog e gliel'offrì con alcune gallette che aveva nella madia. Mentre era in cucina, gettò un'occhiata ai documenti del tedesco: Günther Eckert nato a Lipsia il 17 maggio 1972 residente a Dortmund. Quindi aveva venticinque anni, come aveva pensato.

Mentre il naufrago sorbiva il vin brulé, Osvaldo sedette sul bordo del letto e lo invitò a raccontargli la propria storia, sempre che ne avesse avuto voglia.

Günther annuì, si appoggiò contro la testiera del lettino, e iniziò a raccontare.

Gli disse che il padre e la madre avevano avuto un negozio di antiquariato a Dortmund, dove anche lui lavorava, aiutandoli, poiché si era specializzato nel restauro del legno. Era il loro unico figlio, perché un fratello maggiore era morto quando lui aveva solo due anni, infatti non lo ricordava, se non per le fotografie che vi erano in casa.

Pur non dispiacendogli affatto il suo lavoro di restauro, Günther aveva sempre desiderato avere una vita diversa, più avventurosa. Quando perciò i genitori chiudevano il negozio per le ferie estive, fin da quando aveva compiuto sedici anni, aveva smesso di andare con loro nello chalet di montagna della famiglia e andava invece a passare le vacanze al mare, dove aveva preso a seguire le lezioni in una scuola di vela.

Due anni prima, i genitori, durante una delle loro consuete gite in montagna, erano stati investiti da una grossa frana ed erano morti. Allora Günther aveva deciso di vendere tutto, di lasciare Dortmund e di darsi finalmente alla navigazione, vivendo da solo e con il minimo, come un moderno Robinson Crusoe.

Però, invece di imbarcarsi su una nave moderna, aveva scelto una piccola imbarcazione da diporto che, pur dotata di radio, di radar, di bussola e di ogni altro comfort della tecnologia moderna, gli era sembrata più adatta alla vita che voleva condurre. Così, partito dal porto di Amburgo, aveva veleggiato costeggiando le isole Frisone tedesche, poi quelle olandesi, si era infilato nella Manica, fermandosi di tanto in tanto in un porto per procurarsi l'acqua e acquistare provviste e ciò che gli abbisognava.

Viveva di pesca e di quanto comprava nei porti, per integrare la dieta. Aveva costeggiato la Normandia, doppiato il Cotentin, visitato le isole inglesi del Canale, superato Brest, poi veleggiato verso sud, fino a raggiungere la Spagna.

Quindi, dritto verso ovest, poi nuovamente a sud, costeggiando il Portogallo, poi a est. Aveva superato lo stretto di Gibilterra, continuato a costeggiare la Spagna, quindi aveva risalito le coste della Francia. Aveva navigato costeggiando tutta la Liguria... e ora, dopo due anni, era naufragato lì, proprio come il poeta romantico inglese Percy Bysshe Shelley, il contemporaneo di Lord Byron. Ma mentre questi era annegato mentre con la sua goletta "Ariel" rientrava a San Terenzio, non lontano da La Spezia, tornando da una gita a Viareggio, Livorno e Pisa, lui, come uno sciocco, s'era addormentato e la sua barca si era schiantata lì.

"La morte ti grante poeta Shelley ha ispirato molti poeti, tra cui il fostro Cartucci. Io non sono morto, perciò non ispirerò nessun poeta!" concluse allegramente il bel tedesco.

Osvaldo si disse che, oltre a una certa cultura, doveva avere un buon carattere e anche un notevole senso dell'umorismo, per scherzare e sorridere dopo un naufragio.

"Ora che io ho raccontato a te qvasi tutta mia fita, tu non racconta a me tua fita? Qvesta è tua casa? Tu fife come Robinson Crusoe?"

"Non proprio... io non sono un naufrago, sono un pescatore. Però sì, questo capanno è la mia casa, è il mio regno." disse Osvaldo con una certa fierezza e, a grandi linee, gli raccontò di sé, di come anche lui, restato senza genitori, avesse deciso di cambiare totalmente lo stile della sua vita e vivere lì, del frutto della pesca e del suo piccolo orto.

Poi, terminato di raccontare, gli chiese: "Che cosa intendi fare ora? Far riparare la tua barca e riprendere il mare?"

"Non possibile, tanni troppo granti e mia carta di cretito qvasi esaurita. Non ho ancora teciso che cosa fare. Forse io tefe mettere testa a posto e trofare laforo e rasseg-narmi a fita di persona normale..."

"Per ora puoi restare qui con me, per lo meno finché ti va. Potresti aiutarmi a pescare, così prendiamo più pesce e può bastare per viverci in due... almeno finché non decidi che cosa fare."

"Mi pare ottima itea! Tu sarai Robinson Crusoe e io tuo Fenertì." disse ridendo lieve il giovanotto.

Osvaldo sorrise: "Beh, a dire il vero oggi è giovedì, perciò ti dovrei chiamare Giovedì, non Venerdì. E tu non mi sembri un selvaggio... Ascolta, Günther, io vado a preparare qualcosa per il pranzo, tu frattanto se vuoi puoi dormire un poco, per smaltire la brutta avventura."

"No, non troppo brutta... sono ancora fifo e intero, e ospite di Robinson Crusoe. Però forse è pene che tormo un poco come tu tici. Tu mi chiami qvanto è ora ti manciare?"

"Guarda che io mi chiamo Osvaldo Cozzani, non Robinson Crusoe!" gli disse allegramente dandogli un lieve pugno scherzoso su una spalla, mentre si alzava in piedi.

"Moltisimo piacere, Osfalto!"

"Ma proprio non riesci a pronunciare bene le V e le D? Se mi chiami Osfalto, pare che mi stai chiamando asfalto. Già il mio cognome ha qualche problema..."

"Qvlche proplema? Perché?"

"Cozzani... pare quasi... cazzo e ani..." rise Osvaldo.

"Nessun proplema, farò sforzi per pronunciare pene tuo nome, che è molto bello..."

"Anche Günther mi piace."

"Solo nome?"

"Per ora, no, anche il resto... Dormi, dai!" mormorò girandosi subito e, scostata la tenda, andò in cucina.

Più tardi, mentre mangiavano, Osvaldo gli chiese: "Ma quante lingue conosci, tu, Günther?"

"Sì, ne conosco alcune... tetesco, efitentemente... Poi inglese, poi francese un poco, poi poco poco spag-nolo, e un poco di più di fostra bella lingva italiana. A parte mio accento orripile! E poi anche lingva in bocca, molto esperto, in qvella."

Osvaldo rise ma contemporaneamente provò un lieve fremito all'idea di poter verificare quanto fosse esperto in quello.

"Os-wal-do... fa meg-lio se dico il tuo nome così? Tu conosci suo sig-nificato? Viene ta antico nome cermanico Osweald che sig-nifica potere tato ta tio..."

"E il tuo nome?"

"Faloroso in battag-lia."

"Sei un guerriero?"

"Che ama molto la pace, come qvella che tu hai qvi."

"Valoroso in battaglia ma amante della pace." sorrise Osvaldo.

"Amante, certo." gli disse Günther facendogli un sorriso e strizzandogli l'occhio.

Che cosa voleva dire, con quella battuta e facendogli anche l'occhiolino? si chiese Osvaldo. Possibile che... e quell'accenno, poco prima, al lingua in bocca... Possibile che ci stesse provando con lui? La cosa non gli sarebbe dispiaciuta affatto.

Più tardi, andarono assieme al relitto della barca, per non bagnare gli abiti si denudarono ed Osvaldo ammirò di nuovo il bel corpo del tedesco. La spogliarono di tutto ciò che era trasportabile e in pochi viaggi lo portarono dentro al capanno. Usando i pochi attrezzi che avevano, riuscirono anche a smontare la cuccetta e a portarla, con il materassino e la biancheria da letto, nella sua cameretta, dove la rimontarono. I due lettini affiancati occupavano quasi tutto lo spazio disponibile ed erano appena separati dal comodino.

Gli fece mettere i pochi abiti, che aveva portato con sé dalla barca, nell'armadio che fungeva da divisorio con la cucina.

Günther aveva deciso che doveva recarsi a La Spezia per vendere radio, radar, bussola e gli altri attrezzi, nonché il relitto. Sperava di ricavarne abbastanza soldi.

Poi il bel tedesco volle aiutare Osvaldo a pescare. Un po' se ne intendeva, e il resto se lo faceva spiegare. Poi, la mattina seguente, lasciato Günther a dormire, si recò come al solito su al Consorzio per vendere il frutto della loro pesca. Quando tornò al capanno, trovò Günther seduto a terra davanti al capanno, a torso nudo, a prendere il dolce sole ottobrino.

Gli sedette accanto e si tolse il camiciotto di jeans, restando anche lui a petto nudo. Non era certo il clima propizio per andare a fare un bagno in mare, come avrebbe desiderato, ma si stava bene.

"Hai dormito abbastanza?" gli chiese Osvaldo.

"Forse. Tu non fai a letto? Non sei stanco?"

"Non faccio a letto... cosa?" chiese un po' stupito, Osvaldo.

"Ma no, fai di andare, non fai di fare!" rise Günther.

"Ah... vai, allora, V, V, non F! V come in Wagen di Volkswagen e non F come di Volks."

"Wai... Complicati foi... woi italiani!"

"Siete più complicati voi tedeschi! E... toglimi una curiosità..."

"Sì?"

"Quando ti ho chiesto se sei straniero, mi hai risposto che sei tedesco di Germania... Non bastava dire che sei tedesco?"

"No... tu sai che ci sono teteschi di Austria, e anche, secondo foi italiani, ci sono teteschi di merta! Io non di Austria e non di merta!" rise Günther.

A Osvaldo piaceva l'espressione del bel naufrago quando rideva: socchiudeva gli occhi, piegava lievemente indietro il capo, e schiudeva le labbra mostrando una fila perfetta di denti; e mentre rideva, il pomo di adamo sussultava lievemente... E diventava più desiderabile che mai.

Non avrebbe saputo dire neanche lui perché, però gli piaceva il modo in cui pronunciava quelle "s" e "z" dolci, le "r" quasi alla francese, e come allungava le vocali...

"Andiamo a riposare un poco?" propose Osvaldo, sentendosi emozionato.

"Sì, forse ne abbiamo bisog-no."

Tornati nella minuscola zona letto, Osvaldo si tolse le scarpe e si stese, vestito, sopra le coperte. Günther gli fece un sorriso, e anche lui si stese, vestito, sulle coperte della propria cuccetta. Dopo poco entrambi dormivano profondamente, cullati dal dolce mormorio della risacca sulla vicina spiaggia e del frangersi dei flutti contro le rocce.

Quando Osvaldo riaprì gli occhi, vide che Günther era seduto sul bordo della sua cuccetta, i gomiti poggiati sulle ginocchia, il mento sulle mani intrecciate, e lo guardava con un vago sorriso sulle labbra. Rispose al suo sorriso e il bel tedesco iniziò a parlare, in tono basso e particolarmente caldo:

"Ich sah, wie Doris bei Damöten stand,
er nahm sie zärtlich bei der Hand.
Mit starrem Blick sahn sie einander an,
Und sahn sich um,
ob nicht die Eltern wachen;
Und da sie niemand sahn,
Geschwind - jedoch genug -
sie machtens, wie wirs machen."

"Cos'hai detto? È una poesia, giusto?"

"Sì, è la prima poesia ti amore che scrisse il nostro grante Goethe... è del 1766, quanto afefa appena ticiassette anni. Tratotta in italiano sig-nifica:

Ho fisto Torite accanto a Tamota,
Lui prese teneramente sua mano.
Si gwartarono fissi neg-li occhi, poi
gwartarono in ciro,
che non vegliassero i cenitori;
e poiché non vitero nessuno,
svelti - ma bene -
fecero, come facciamo noi."

Si guardarono con occhi luminosi e sereni e si capirono immediatamente, alla perfezione.

Osvaldo, felice e emozionato, si rizzò a sedere sul lettino e prese a spogliarsi, quasi come se avesse fretta; in un batter d'occhio, fu nudo. Günther, dopo essersi denudato completamente anche lui, lo raggiunse sul letto, stendendoglisi accanto. Si offrirono le labbra e si unirono in un bacio profondo. Sì, come aveva detto, era esperto anche nei lingua in bocca... pensò compiaciuto Osvaldo.

Le loro mani spaziavano sul corpo dell'altro in dolci, estenuanti carezze. Da troppo tempo entrambi non godevano più di quelle piacevoli sensazioni. Provavano una specie di urgenza, e al tempo stesso non volevano bruciare le tappe, volevano assaporare il raggiungimento di quell'intimità che entrambi avevano fortemente desiderato.

Guardandolo nei dolci occhi cerulei, Osvaldo gli passò le dita nei soffici capelli biondi e mormorò: "Sai che mi piaci tanto... mio Giovedì?"

"E tu piace a me. Sono contento che naufracato proprio qvi."

"Il mare ti ha donato a me... E'l naufragar m'è dolce in questo mare... è un verso di una poesia che mi hanno fatto studiare a scuola... mi pare che sia di Giacomo Leopardi... Sì sì, è sua, è l'ultimo verso dell'Infinito..."

"Bello qvesto: naufragar è tolce in qvesto mare. Ma qvesto mare sei tu e io fog-lio naufragare in te..."

Günther lo baciò di nuovo, stringendolo a sé. Stavano stesi su un fianco, avevano le gambe intrecciate e i bacini fortemente compressi e li muovevano lievemente, facendo così sfregare fra loro i membri turgidi e caldi. Poi si staccò lievemente da lui e scese a titillargli i capezzoli con le labbra e la lingua, a stringerli lievemente fra i denti, facendo fremere sempre più intensamente Osvaldo.

Tornò su a baciarlo di nuovo, poi Osvaldo, bruciante di desiderio, si girò fra le sue braccia, e spinse il sedere contro la fiera erezione del bel tedesco. Günther la fece sfregare su e giù nel solco, ma ancora non si decideva ad immergersi... a naufragare in lui, come aveva promesso. Era una dolce, lenta tortura.

Finalmente, lo sentì puntare, spingere. Osvaldo spinse indietro, avido di accoglierlo. lo sentì invaderlo lentamente... giungere a fine corsa e sostare. Poi, Günther, con lo stesso ritmo eterno e solenne delle piccole onde del mare che lambiscono il bagnasciuga, iniziò a muoversi dentro di lui. Ma a poco a poco il mare si fece più mosso, più vigoroso e le onde si frangevano con forza in lui, finché fu un mare in tempesta e il bel tedesco... naufragò in lui.

Osvaldo ne sentiva il respiro pesante lambirgli la nuca, mentre Günther tornava nuovamente alla quiete dopo la tempesta. Attese, contento: finché Günther si sfilò lentamente da lui, lo forzò gentilmente a girarsi e lo baciò con tenera passione.

"Grazie." gli sussurrò il bel tedesco, con un dolce sorriso.

"Grazie? Per che cosa?"

"Per avermi accolto, prima in casa tua... e ora in te."

Osvaldo sorrise e gli carezzò lieve il petto. Günther emise un lieve sospiro soddisfatto, poi disse, in tono scherzosamente formale e solenne: "Ma ora, è il tuo turno ti onorarmi accettanto la mia ospitalità."

"Come potrei rifiutare il tuo gentile invito, dopo tutte le miglia che hai dovuto navigare per giungere fino a me?" gli rispose Osvaldo imitando allegramente il suo tono.

Cambiarono di posizione sullo stretto lettino, rischiando di cadere fuori e risero lieti come due ragazzetti. E anche Osvaldo andò "a far visita" al suo compagno donatogli dal mare. E si sentì veramente accolto, grazie al caldo sorriso che Günther gli rivolse man mano che lo accoglieva in sé.

Quando Osvaldo si fu immerso e non poté penetrare oltre, iniziò a muoverglisi dentro con vigorosa calma, spiandone l'espressione compiaciuta, godendo dell'evidente piacere che il suo bell'ospite ricavava anche da quella nuova unione. Un po' lo carezzava, un po' lo baciava, e pensò che era davvero molto bello fare l'amore con lui, con il suo dolce naufrago.

Mentre continuava a prenderlo, con crescente piacere, si disse che gli sarebbe piaciuto se Günther si fosse fermato lì, con lui, per sempre. Capiva che era improbabile, che non glielo poteva chiedere. Era partito in cerca dell'avventura, e se anche non era più in grado di comprarsi una seconda barca, sarebbe nuovamente partito, magari a piedi, per continuare a girovagare.

Vivere lì con lui, era proprio il contrario dell'avventura. Non poteva certamente chiederglielo. Ma... benché fosse la prima volta che facevano l'amore... e sì, quello era fare l'amore e non solo sesso... Osvaldo sentiva, sapeva di non aver mai sperimentato un'unione tanto gradevole, tanto bella.

"Goditi quello che hai, finché ce l'hai." si disse, saggiamente. "Lui non ti lascerà per le vigne, né per una nave, ma per l'avventura... Non ti illudere, Osvaldo."

"Che cosa sta pensando, il mio piccolo Oswaldo?" gli chiese sottovoce Günther.

"Che mi piace stare con te... così, con te." rispose un po' vagamente, non sentendosela di dirgli ciò che realmente stava pensando.

"Tu hai detto piccola bugia."

"No..."

"Allora, non tutta la ferità."

"Perché?"

"Tuoi occhi, tuo sgwardo era perso lontano... anche se gwardafa me."

Osvaldo non ribatté nulla, stupito per la sagacia del compagno, e si dedicò completamente a fare all'amore con lui senza pensare ad altro, temendo che sapesse davvero leggergli dentro più di quanto gli sarebbe piaciuto che potesse fare.

Era curioso, pensò, come fosse piacevole fare l'amore con il bel tedesco: pareva che i loro corpi si conoscessero da sempre, pur essendo la prima volta che lo facevano assieme.

Quando anche lui raggiunse il paradiso dei sensi e, appagato, si stese con il bel naufrago, tenendolo fra le braccia e scambiando con lui teneri baci e lievi carezze, gli disse: "Sai fare l'amore benissimo. Scommetto che l'hai fatto in ogni porto, durante la tua lunga navigazione."

"Certamente! Come og-ni buon lupo di mare. Uno og-ni porto... qvasi. Ma afefo già esperienza prima, sai? Mia prima fòlta... afefo qvindici anni... Perciò dieci anni prima ti ora. Molto bello... Lui afeva fentuno anni, lassù in prati dietro chalet di miei cenitori... Lui prendefa sole tutto nuto e io gvartafo molto emozionato e lui fatto grande sorriso e detto fare come lui, prendere sole, nuto e... Lui mi ha toccato e fisto che mi piaceva... lui ha baciato me e molto centilmente ha portato me a fare... tutto."

"Ma tu, sapevi già che a te piaceva farlo con i ragazzi?"

"Sì. Io afefo capito che mia sessualità non uguale a qvella di miei compagni. Poi, dopo fatto l'amore qvella prima folta, abbiamo scoperto che anche lui abitafa a Dortmund, così, tornati in città, io antafo spesso in casa sua."

"Eravate innamorati?"

"Un poco, sì. Ma non tantissimo. Lui afefa altre avventure, e io anche, con suoi amici, fatto tanti piacevoli scappatelli... Tu mi piaci moltissimo, sai, Oswaldo? E mi piaci come tu carezzi e baci... ma anche come fotti." disse con un sorrisetto malizioso.

Si chinò su di lui e lo baciò profondamente, con calore... e a poco a poco ricominciarono a fare l'amore, prendendosi di nuovo l'un l'altro con rinnovato gusto e gioia, con spensierata e dolce allegria.

Erano ormai due ore che stavano facendo l'amore, dimentichi di tutto e di tutti, dedicandosi pienamente l'uno all'altro. D'un tratto sentirono bussare alla porta del capanno e chiamare.

"Osvaldo, sei in casa?"

"Ci sei?

Osvaldo riconobbe le voci: erano due dei ragazzi del paese, Renato e Sergio, che erano venuti a fargli visita. Si rivestirono alla bell'e meglio, nascondendo in fretta i preservativi usati. Osvaldo andò ad aprire la porta e li fece entrare. Presentò Günther ai due ragazzi e viceversa. Pensò che era un'occasione un po' strana per fare le presentazioni, mentre ancora si sentiva addosso il piacere della recente, lunga e piacevole unione con il bel Günther...


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