Ushnisha Bhima-Vinal, grazie alle assidue cure della madre e dei sei giovani novizi, stava crescendo bene, forte e bello; era sempre sorridente e giocoso, vivace e gentile.
Oltre alle preghiere quotidiane, allo studio e ai riti, i sei ragazzi nella loro veste zafferano, a volte discutevano fra di loro e a volte andavano a trovare il loro antico maestro, il vecchio monaco di corte, soprattutto quando non riuscivano a capire qualcosa o ad accordarsi fra loro.
Così accadde un giorno che i sei giovani novizi si trovarono a parlare fra loro dell'istinto sessuale, che da tempo sentivano risvegliarsi e rafforzarsi nel proprio corpo, nella loro mente, nell'anima.
Tayib e Azhar sostenevano che era necessario rifuggire da ogni pratica sessuale, che solo mantenendo la castità avrebbero potuto dedicare tutte le proprie energie al raggiungimento dell'illuminazione.
Shudir e Deven, invece, dicevano che se al mondo esistono uomini e donne, è perché è loro destino unirsi in un armonioso rapporto, e che solo questa armonia, una volta raggiunta, porta immancabilmente all'illuminazione.
Yash e Parindra, infine, avevano un'altra tesi: dicevano che l'armonia non si raggiunge unendo due opposti, poiché ogni polo cerca di trarre a sé e dominare l'altro facendogli perdere il proprio equilibrio. Ma solo unendo due simili, l'uno rafforza l'altro e accresce le sue energie per raggiungere l'illuminazione.
Per quanto discutessero, nessuno riusciva a convincere i compagni se fosse meglio l'assoluta castità, il rapporto con il sesso opposto, o quello con il proprio sesso. Decisero perciò di andare dal loro vecchio maestro per chiedere lumi.
Questi disse loro: "Già non ricordate più ciò che vi ho insegnato? Non vi ho forse detto che due sono le vie che si devono evitare? Una via da evitare accuratamente è quella che conduce all'abbandonarsi ai piaceri dei sensi, che è cosa bassa, plebea, da gente comune, volgare e dannosa; l'altra via da evitare con altrettanta cura è la via opposta, quella che conduce all'automortificazione, che è inutilmente dolorosa, volgare, e dannosa anche essa. Entrambi questi estremi evitando, la via di mezzo, che a sua volta è composta da vari sentieri a volte intersecantesi, conduce alla calma e alla conoscenza."
"Sì, maestro, questo tuo insegnamento è bene impresso nei nostri cuori e nelle nostre menti, ma è proprio qui il nostro dissidio. Il primo interrogativo è: deve l'uomo di valore rifuggire dal sesso o lasciargli spazio nella propria vita?" gli chiese Shudir. "Si può far sesso o non si deve?"
"Il tuo valore, o Shudir, non dipende dal fatto che il tuo maestro lo riconosca, che gli altri ti approvino, o che non ti arrabbi, oppure che tu non abbia desideri sessuali né, tanto più, dal fatto che tu possa avere inclinazioni sessuali di un tipo o di un altro. Il tuo valore non dipende da ciò che dici e nemmeno da ciò che fai. A prescindere da tutto il resto, il tuo essere fondamentale è già l'illuminato. La tua pratica serve a risvegliarti a questo, a rendere esplicita la tua illuminazione. In altre parole, 'praticare' vuol dire realizzare la tua integrità presente e la natura non-duale dell'illuminato, quindi liberarti dall'autoalienazione o da un doloroso dualismo." rispose con un lieve sorriso il maestro.
Tayib allora chiese: "Ma se facessi sesso, non verrei disorientato da questa pratica nel mio cammino verso il progresso spirituale?"
"Puoi fare sesso e lasciarti disorientare da esso per tutta la vita, mio buon Tayib, ma continuare a compiere buoni progressi spirituali. Puoi non fare sesso ed essere così proteso verso la volontà di evitarlo, che non trovi più il cammino per il buon progresso spirituale."
"Dunque," disse Yash trionfante, "fare sesso è una buona pratica!"
"Puoi non fare sesso e lasciarti disorientare da esso per tutta la vita, mio buon Yash, ma continuare a compiere buoni progressi spirituali. Puoi fare sesso ed essere così proteso verso la volontà di farlo, che non trovi più il cammino per il buon progresso spirituale."
"Ma allora, maestro, dobbiamo farlo o non farlo? Cercarlo o evitarlo?" chiese Azhar, confuso.
"Azhar, Azhar! Non devi venire a capo di ogni rompicapo filosofico per raggiungere la calma e la conoscenza. Devi giungere a una pratica in cui eventualmente anche l'atto sessuale si tramuta in una pratica meditativa. Devi giungere a una pratica in cui eventualmente anche la castità si tramuta in una pratica meditativa. Sono sicuro che questo è possibile, perché già svolgi una pratica in cui, ad esempio, anche il mangiare diventa meditazione; e perché già svolgi una pratica in cui, ad esempio, anche il digiunare diventa meditazione; e se questo può funzionare, qualsiasi cosa può farlo."
"Dunque, maestro, ognuno può scegliere la pratica che più gli aggrada?" gli chiese, timidamente, Parindra.
"Per praticare in modo costruttivo, occorre coinvolgere tutto il proprio essere. Se ho un rapporto negativo o mi sento alienato dalla mia sessualità, non sto dando tutto me stesso alla pratica, tanto meno sto accettando il mio valore incondizionato di illuminato. Nella ricerca della verità, l'importante non è con chi sto facendo l'amore o se lo faccio o non lo faccio, ma se riconosco sempre il valore incondizionato mio e del mio compagno, anche eventualmente di colui con cui condivido la pratica sessuale. L'accettazione incondizionata rappresenta l'amore e la morale perfetti. Non vi ho forse insegnato questo, o mio Parindra?"
Deven si grattò sopra l'orecchia, come faceva inconsciamente quando pensava in modo intenso, e disse: "Dunque, se ho capito bene, fare o non fare sesso possono essere due pratiche entrambe valide e sane. Ma se l'uomo cerca la sua via anche praticando il sesso, non dovrebbe egli naturalmente unirsi a una donna per compiere l'opera della riproduzione e della procreazione? E non dovrebbe rifuggire dal sesso fatto solamente per il piacere?"
"L'uomo saggio, mio Deven, non dà giudizi morali nemmeno sul sesso finalizzato al piacere, anziché alla riproduzione. Né fa distinzioni tra l'amore fra uomo e donna oppure fra due persone dello stesso sesso, o tra la sessualità che alcuni chiamano naturale e quella stoltamente detta innaturale. Perché dovrebbe, quando il suo scopo è provocare una consapevolezza non-duale, quindi priva di giudizio, priva del Sé, all'interno del quale tutte le distinzioni suddette sono prive di senso?"
"Ma il buon monaco, o maestro, non dovrebbe vivere una vita di castità?" gli chiese Tayib.
"Non credi tu, mio buon Tayib, che si possa vivere una vita casta anche nel pieno rapporto sessuale?"
"E com'è possibile, questo, maestro?" gli chiese Azhar, stupito. "Castità non significa forse astenersi dal sesso?"
"Vi ho insegnato, miei cari ragazzi, che ogni cosa è parte di un essere universale, interconnesso e interdipendente. Questo essere è perfetto e completo in quanto tale. Inoltre, secondo me, tutti condividiamo questa perfezione, qui e ora. Se accetto ciò, devo ritenere che il mio valore è completo e incondizionato. 'Incondizionato' vuol dire senza alcun 'se, ma, però', senza alcuna condizione. La castità in una coppia che si ama, consiste nel donare pieno amore e nel donarlo solo all'altro o all'altra ma non nell'astenersi dal sesso."
"Ma dunque, maestro, è migliore la via del laico o quella del monaco?" chiese Shudir.
"Il saggio riconosce che la vita laica, in generale, e la sessualità in particolare, possono spesso interferire con il raggiungimento di questo obiettivo: ecco perché incoraggia uno stile di vita monastico per coloro che desiderano fare del raggiungimento di tale obiettivo un'attività a tempo pieno. Ma il saggio riconosce anche che la decisione di abbracciare una vita monastica non è pratica e nemmeno necessaria per un gran numero di persone; e che la decisione di vivere una vita laicale non è pratica e nemmeno necessaria per un gran numero di persone. Quindi, io affermo che la nostra vita sessuale, nostra di laici o di monaci, qualunque essa sia, che vi sia o no, deve basarsi totalmente sull'amore e sul sostegno reciproco."
"Perciò..." disse Parindra, "non vivrei nel male se offrissi il mio incondizionato amore a Yash, e accettassi il suo incondizionato amore?"
"Non ho forse messo in evidenza, mio caro Parindra, come anche in materia di sessualità, la nostra via di mezzo non abbia altri precetti che quelli di non danneggiare se stessi e gli altri? L'etica di questa nostra via di mezzo rifiuta la distinzione tra i poli opposti del bene e del male per fare riferimento a un nuovo concetto di 'creazione di valore'. Se con le vostre personali scelte 'create valore', allora sapete che state camminando nella via di mezzo, che è la via migliore."
I sei giovani monaci, tornati alle loro stanze nell'ala riservata alla maharani e al principe Ushnisha, erano pensierosi.
"Dunque, fratelli miei, avevamo tutti ragione e tutti torto." disse Azhar.
"Così credo che sia," disse sorridendo Parindra, "ragione nel dire che le scelte valide sono molteplici, e torto nel dire che solo la nostra poteva creare valore."
"È così. Perché la vita, fratelli miei," disse gioiosamente Deven, "non è solo o notte o giorno, ma è anche dolce alba e radioso mattino, caldo mezzodì e piacevole meriggio, e infine anche prezioso tramonto e calma notte."
"Hai nominato sei ore, come sei siamo noi..." gli fece notare Tayib, con un sorriso.
"Ehi, Tayib, non cercare, ora, di appioppare a ognuno di noi una delle sei ore del giorno!" lo prese bonariamente in giro il forte Shudir.
Più tardi, mentre con Parindra stava attingendo acqua al pozzo, Yash disse: "Veramente tu, amico mio, desideri donarmi il tuo incondizionato amore e accettare il mio amore incondizionato, come hai detto al nostro maestro?"
"Così è, amico mio dolce. Ma esitavo, temendo, se ti avessi palesato ciò che sento, di abbandonare la via di mezzo e, soprattutto, di indurti ad abbandonarla."
"Ma credi tu che, se ci doniamo reciprocamente il nostro amore, sapremo 'creare valore', come ci ha insegnato il nostro maestro?"
"Sì, Yash, e anzi credo che, se ci sapremo dare incondizionato amore, senza se, ma e però, creeremo un grande valore sia per noi stessi che per gli altri attorno a noi."
Yash allora sfiorò la mano con cui Parindra stava versando acqua nell'orcio e gli disse, in un lieto sussurro: "Vuoi dunque unire il tuo destino al mio, e percorrere assieme il cammino della vita?"
"Non sono già forse i nostri destini uniti, anche grazie a questi grani che la maharani ci ha donato, portandoci qui a vivere sotto lo stesso tetto, e al giuramento di prenderci cura e proteggere il nostro principe, Ushnisha Bhima-Vinal?"
"Sì, ma... siamo in sei... perché tu e io e non tu con un altro o io con un altro?" chiese Yash.
"Forse in una precedente vita eravamo già uniti, proprio tu e io. O forse lo saremo da questa vita in poi, via via nelle altre." gli rispose Parindra, con dolce accento.
Nel frattempo Shudir, indossando solo il perizoma, stava compiendo in un angolo del giardino segreto i suoi esercizi fisici quotidiani, per rafforzare al tempo stesso il proprio corpo e il proprio spirito, accompagnando ogni mossa con l'appropriato grido.
Poco lontano una giovane serva, Gita, stava raccogliendo fiori per la stanza della maharani. Pur impegnandosi a scegliere i fiori più belli, non più in boccio ma non ancora completamente schiusi, la ragazza non riusciva a evitare di lanciare di tanto in tanto uno sguardo al bel corpo forte e virile del giovane novizio. Un lieve e piacevole turbamento s'impadronì dell'avvenente Gita e un dolce calore si irradiò nelle sue giovani membra. Si attardò, perciò, per godere più a lungo della bella visione.
Shudir, terminati i suoi esercizi quotidiani, si drappeggiò nuovamente indosso il lungo telo color zafferano che costituiva il suo abito monacale e si avviò per rientrare nelle stanze. Così facendo, passò accanto alla ragazza, e, guardatala, pensò che fra tutte le serve della maharani, Gita era senza dubbio la più leggiadra.
La ragazza, i fiori fra le mani, gli si affiancò per rientrare anche lei, e lo salutò con un dolce sorriso.
Il giovane novizio sentì scendere in lui il sorriso della serva, come un raggio di sole, e rispose con un sorriso: "Salute, Gita. Possa ogni tua giornata essere gradevole."
La ragazza arrossì lievemente e abbassò lo sguardo, poi mormorò: "Così possano essere tutte le tue giornate, Shudir."
"Sono molto belli quei fiori."
"Ma il più bello, non l'ho potuto cogliere." sussurrò Gita.
Shudir non comprese che la ragazza si stava riferendo a lui. Perciò le chiese: "E perché non l'hai colto?"
"Forse... forse perché non si voleva far cogliere da me." rispose mentre entravano.
"Ma nelle tue delicate mani, qualsiasi fiore sarebbe ben lieto di stare, e diventerebbe anche più bello."
"Vi sono fiori che non mi è dato cogliere... ed è già una benedizione poterli almeno ammirare." disse Gita, e arrossì lievemente, temendo di aver detto troppo.
Nella cappella dell'ala riservata alla maharani, Azhar e Tayib erano seduti in meditazione. Fuori dalla porta era seduto Deven, che stava consultando un prezioso testo di alchimia. Una delle serve, Lajila, inginocchiata e china in avanti, stava pulendo il pavimento sfregandolo con energia con uno straccio umido che lavava di tanto in tanto in una bacinella.
Deven sollevò gli occhi dal suo testo e il suo sguardo cadde sulla figura accovacciata della serva, e pensò che era bella e dolce come una cerbiatta che si abbevera alla fonte.
Lajila sollevò gli occhi e incontrò lo sguardo del giovane novizio. "Ti ho forse disturbato con il mio lavoro?" gli chiese.
Deven scosse lievemente il capo in un diniego e le sorrise, provando un lieve fremito nell'incontrare lo sguardo limpido della ragazza.
"Ti vedo sempre studiare e leggere." gli disse Lajila.
"E io ti vedo sempre lavorare, senza sosta. Non ti prendi mai un attimo di riposo?"
"Tutto deve essere perfetto per la nostra buona maharani e il nostro amato principino. Non siamo noi qui per questo?"
"Lajila... il tuo nome ha un dolce suono..." le disse carezzandola con lo sguardo il giovane novizio. "Fortunato l'uomo che potrà pronunciarlo nell'intimità."
La ragazza fece un risolino compiaciuto, a quel gentile complimento. "Anche il tuo nome, Deven ha un suono assai gradevole."
"Non sempre due gradevoli suoni compongono una bella melodia..." disse più a se stesso che alla ragazza il giovane novizio, cercando di controllare quanto, quasi improvvisamente, sentiva di provare per la bella Lajila.
La ragazza rispose con una risata argentina: "Non sono un'esperta di musica. Suvvia, lasciami ora terminare il mio lavoro, e perdonami se ti ho disturbato."
"Non mi hai disturbato affatto, come ti ho detto. Al contrario... È assai piacevole guardarti, Lajila, e anche ascoltare il dolce suono della tua voce."
Ma, detto ciò, Deven si alzò e andò a riporre nella stanza degli scritti il testo che stava leggendo, cercando di sfuggire alla forte attrazione che improvvisamente aveva provato nei confronti della bella ragazza.
Stava per uscire, quando entrarono anche Tayib e Azhar.
Allora Deven chiese loro: "Voi, fratelli miei, che sostenete che la vostra via è quella dell'astensione completa dal sesso, pensate che sia giusto che, se mi sono accorto di provare attrazione verso una ragazza, io cerchi di ottenere le sue grazie?"
Azhar sorrise: "E lo chiedi a noi, che abbiamo scelto di percorrere un diverso sentiero, lungo la via di mezzo?"
"Sì, perché so che non mi risponderete per giustificare o difendere le vostre scelte, ma mi aiuterete a riflettere."
Tayib gli disse: "Non è una domanda teorica, la tua, giusto? I begli occhi di una ragazza hanno trovato la via del tuo cuore."
"Così è."
"Qual è, a tuo parere, la tua prima missione nella vita?" gli chiese allora Tayib.
"Accudire, allevare e proteggere il nostro amato principe. Per questo fummo scelti e portati dal nostro saggio maestro, perché ci allevasse e ci formasse."
"E credi che lo faresti meglio unendoti a una ragazza e tornando alla vita laicale, o proseguendo fino a divenire monaco?"
"Anche divenendo monaco... potrei forse godere delle sue grazie, ma mi troverei come un cavaliere che ha un piede nella staffa di un cavallo e l'altro nelle staffe di un altro." rispose Deven. "Guidarli entrambi perché non prendano vie diverse, sarebbe una cosa assai difficile e che mi porrebbe sempre in pericolo di cadere."
"E ti senti di dedicare la tua vita al nostro principe, altrettanto bene come monaco che come laico?" gli chiese Azhar.
"Certamente è così."
"Ebbene, a mio parere, Deven amico mio, se codesta ragazza prova per te quanto tu provi per lei, torna alla vita laicale e sposala, ma resta con noi per accudire il nostro principe, dato che questa è la nostra prima missione e che abbiamo giurato di dare la nostra vita per lui." gli disse Azhar.
"Non so ancora se Lajila prova per me quanto io sto iniziando a provare per lei. Ma se così fosse, vedrò di seguire il tuo consiglio, se il maestro e la maharani mi daranno il loro benestare."
Se Gita s'era sentita fortemente attratta dall'ignaro Shudir e Deven a sua volta provava un grande piacere nel pensare a Lajila, e se Azhar e Tayib si sentivano pronti a vivere una vita di completa e gioiosa astinenza sessuale, la cosa era differente per Yash e Parindra.
Già crescendo i due ragazzi si erano sentiti via via sempre più attratti l'uno verso l'altro, ed entrambi erano coscienti sia del proprio sentimento che di quello del compagno. Eppure, nonostante la loro vita in comune e a stretto contatto, e pur essendosi espressi l'un l'altro quanto sentivano, non avevano ancora fatto nulla per dare corpo alla reciproca attrazione.
Quasi timidamente, con trepida prudenza, i due ragazzi si stavano avvicinando, anche fisicamente, a colui che sentivano di amare. Saggiamente, pur avendo di fatto avuto l'approvazione del loro maestro, comprendevano che non era bene cedere alla passione, che non è altro che l'aspetto più fisico dell'amore.
"Dunque, mio amato Parindra, fra le profittevoli condizioni che dobbiamo perseguire, vi è anche l'amore reciproco che sentiamo crescere in noi..." gli disse, una sera, Yash.
"Per le condizioni profittevoli che sono già sorte, quale è il nostro reciproco amore, la via di mezzo, come ci ha insegnato il maestro, consiste nel porre ogni nostro desiderio, ogni nostro sforzo, a cominciare una lotta, ad applicare la mente per la loro continuazione, per non trascurarle, per aumentarle, per coltivarle, per portarle a maturazione." gli disse Parindra, sfiorando il dorso della mano del compagno e sorridendogli.
"Ma una cosa non mi è ancora chiara: sappiamo che l'origine del dolore è la sete, congiunta al diletto e alla brama, che qua e là trova compiacimento, e cioè la sete di piacere. E sappiamo anche che la Retta Risoluzione, detta anche Retto Pensiero, è avere pensieri liberi da bramosie."
"Desiderare ciò che non si ha è dolore. Una volta ottenutolo, il timore di perderlo è dolore. Se noi sappiamo ben dirigere il nostro desiderio, sì da non soffrire per quanto non abbiamo, e di non temere di perdere ciò che abbiamo, allora abbiamo cancellato il dolore. Vi sono due tipi di desiderio, mio dolce Yash: il desiderio per ciò che ci manca, e il desiderio per ciò che ci migliora. Il primo spesso si accompagna a bramosia e sete di piacere e ci dà attaccamento a quanto abbiamo ottenuto, perciò provoca dolore. Il secondo invece ci dà diletto e compiacimento, ed è scevro da dolore."
"Dobbiamo perciò farci guidare dal secondo tipo di desiderio e non dal primo, mio dolce Parindra?"
"Così penso che sia. Perché il primo tipo di desiderio vuole avere, possedere, il secondo invece vuole dare, donare. Il non avere o il timore di non più possedere ci provoca dolore. Il dare, che l'altro accetti o no, il donare di tutto cuore, che l'altro ricambi o no, non può portarci che gioia e serenità."
"Questa, dunque, oh Parindra, è la via di mezzo nel cammino dell'amore anche sessuale: non voler possedere ma donare, non voler avere ma dare. Dare senza attendersi nulla in cambio, neanche l'apprezzamento per quanto di dona."
"Non ricordi, mio dolce Yash, la storia dell'eremita che ci raccontò il nostro maestro?!
"Di quale parli? Ce ne narrò molte..."
"In un villaggio viveva un santo eremita, onorato e rispettato da tutti. Nello stesso villaggio, un giorno, a causa di un amore segreto con un giovane, non approvato dalla sua famiglia, una ragazza si trovò a essere incinta. Per non far uccidere dai parenti il suo amato, quando fu scoperto il suo stato, la ragazza disse che il padre del nascituro era il santo eremita.
"Quando perciò il bimbo nacque, i genitori della ragazza lo portarono dall'eremita e gli dissero di allevarlo, visto che ne era il padre. E più nessuno dette elemosine al santo uomo, da cui si sentivano profondamente delusi. Il monaco non negò, pur essendo innocente, e allevò, negli stenti ma con amore, il piccolo che gli era stato dato.
"Il vero padre del piccolo fece ottimi affari e divenne ricco e chiese di sposare la ragazza, cosa che a questo punto gli fu concessa. E allora, rivelò di essere lui il vero padre del bimbo, perciò andò dall'eremita e riprese con sé il proprio figlio. Con la stessa semplice accettazione con cui l'aveva ricevuto, il santo uomo lo affidò nuovamente ai veri genitori.
"La gente del villaggio andò dall'eremita a chiedergli perdono per averlo trattato ingiustamente. Ma uno degli abitanti del villaggio gli chiese perché prima non avesse negato e ora avesse rinunciato al piccolo che aveva fatto crescere e che amava.
"Il santo uomo rispose: Se avessi negato nessuno mi avrebbe creduto, e il piccolo sarebbe restato senza sostegno e cure. Per amore l'ho accettato. Se avessi rifiutato di rendere il bimbo ai suoi veri genitori, gli avrei negato l'amore della sua famiglia per egoismo: amando veramente il piccolo, ho fatto ciò che è bene per lui.
"Ma così, gli disse un altro, tu hai perso il bimbo che hai amato. Il santo rispose: non ho perso nulla, perché nulla ho mai avuto; e l'amore che mi ha spinto prima a prenderlo con me, poi a separarmene, resta intatto. Nulla ho avuto, nulla ho perso. Nulla ho chiesto, nulla mi è stato tolto.
"Ecco, mio dolce Yash, se noi sapremo vivere il nostro amore così, resteremo nella via di mezzo e questo nostro amore non solo non sarà mai fonte di dolore, ma al contrario, ci farà camminare più spediti nella via dell'illuminazione."