Gita era sempre più presa da interesse per il forte e bel Shudir, perciò faceva di tutto per compiere quei lavori che più facilmente le permettevano di incontrarlo, di scambiare due parole con lui. Senza che il giovane novizio se ne avvedesse, mise in atto tutte le sottili arti femminili per sedurlo.
"Ma dimmi, Shudir, perché ti sei fatto monaco?" gli chiese un giorno.
"Non sono ancora monaco, sono solamente un novizio. Quando avrò venti anni, prenderò i voti."
"Comunque... devo dire che ti dona molto il tuo abito color zafferano. Anche se non mette nel giusto risalto la tua prestanza fisica."
"A differenza del tuo che, pur coprendoti, fa risaltare in modo sottile tutte le tue dolci curve." le rispose con un lieve sorriso.
"Sei gentile... forte e gentile, come dovrebbe essere ogni vero uomo." disse la ragazza facendogli gli occhi dolci.
"La vera forza e la vera gentilezza non sono quelle del corpo e del comportamento, ma quelle dell'animo."
"E in te vi sono le une e le altre, sia quelle del corpo, del comportamento come quelle dell'animo." mormorò in tono caldo la giovane serva. "Ma non hai risposto alla mia domanda."
"La maharani mi ha tolto dalla strada, perché mi prendessi cura del principino. E, come i miei cinque compagni, mi ha affidato al monaco di corte, perché ci istruisse e ci insegnasse come percorrere la via di mezzo."
"Quindi... non sei tu, Shudir, che hai scelto di farti monaco."
"È dato forse a noi fare simili scelte? Hai scelto tu, ad esempio, di essere serva?"
Gita rise: "Se avessi potuto scegliere io, avrei preferito essere una maharani!"
"Eppure... io penso che sia meglio essere una buona serva che una cattiva maharani!"
"Ma è ancora meglio essere una buona maharani che una cattiva serva!" ribatté allegramente la ragazza.
"Pensi di essere una cattiva serva?" le chiese, con lieve malizia, il giovane novizio.
"Tu... che ne pensi?" gli chiese facendogli un accattivante sorriso.
"Che sei bella... hai occhi da gazzella, un sorriso fresco e gentile, ma soprattutto... una lingua pronta!" rise Shudir.
Gita ebbe un fugace sorriso compiaciuto, ma abbassò gli occhi in un gesto pudico, poi si lisciò indosso il sari in un gesto inconsciamente civettuolo.
Poi, quasi in un sussurro, chiese: "Ti piaccio?"
"Più di un bel fiore in un bel giardino." mormorò Shudir, sentendosi vagamente turbato.
"E... non ti sarebbe cosa gradita visitare quel giardino, cogliere quel fiore?"
"Ma io sono un monaco."
"Sei solo un novizio, non hai ancora preso i voti."
"Questo è vero, però..." le rispose Shudir in tono incerto.
"Oh... ho così tanto da fare!" esclamò improvvisamente Gita. "Scusami, ma devo proprio tornare al mio lavoro. Ci vediamo..." e corse via, agile e snella.
Shudir ne ammirò la flessuosa e bella figura allontanarsi, la grande treccia nera ondeggiare alle sue spalle, e il suo turbamento si colorò di desiderio. Un fremito lieve, ma lungo e piacevole, percorse le sue giovani membra.
Si scosse, emise un profondo sospiro e riprese gradualmente il controllo del proprio sentimento e del proprio corpo. Ma non altrettanto facilmente della propria mente, che continuava a essere piena delle belle forme, del dolce sorriso, della incantevole voce della giovane serva.
Per non pensarci, andò ad allenarsi con impegno alle sue attività fisiche, sperando, con il rafforzare il proprio corpo, di riuscire anche a temprare il proprio spirito.
Stava facendo volteggiare il bastone e colpendo il palo che fungeva da bersaglio, quando giunse Tayib. Per un poco guardò il compagno ammirandone la forza e la destrezza, finché Shudir si fermò, lievemente ansante, e si immobilizzò, iniziando un esercizio di respirazione.
"Contro che cosa stavi lottando, amico mio?" gli chiese Tayib con un lieve sorriso incuriosito.
Shudir si girò e rispose con un timido sorriso. "Si vedeva così tanto?" gli chiese.
"Per me che ti conosco... direi di sì."
"Stavo cercando di lottare contro il turbamento che... che la dolce Gita ha suscitato in me con la sua presenza e le sue parole." ammise, dopo una brave esitazione.
"Gita? Devo ammettere che è bella ed è anche... molto sensuale. E mi pare sia anche una ragazza dolce e buona. Non l'ho mai vista civettare con nessuno."
"Perché non l'hai vista poco fa. Ha... ha cercato di... di sedurmi." affermò a voce bassa.
"E ci stava riuscendo, amico mio, a quanto comprendo. Ma tu non vuoi cedere alle sue grazie."
"Non vorrei..."
Tayib sorrise: "Se dici 'non vorrei' e non 'non voglio'... significa che in realtà ti piacerebbe cedere alla sua seduzione."
"Ma non mi arrenderò senza lottare."
Tayib sorrise nuovamente: "Altra espressione che mi conferma come tu in realtà sei già rassegnato a... ad arrenderti!"
Shudir emise un sospiro e sembrò quasi afflosciarsi leggermente. "Non voglio tradire la nostra missione. Il principino..."
"Lo potresti servire e proteggere anche rinunciando a emettere i voti e... e unendo il tuo destino a quello della dolce Gita, non credi? Anche Gita gli è devota almeno tanto quanto lo siamo noi."
"Mi stai forse spingendo fra le sue braccia?" gli chiese stupito.
"Non sai forse che il sentiero della Retta Azione ti indica che devi evitare di causare sofferenza a te stesso e agli altri esseri? Se la tua natura ti spinge verso lei e la sua la sospinge verso te... a che pro lottare e causare sofferenza a entrambi? Rifletti, amico mio, rifletti e cerca in te stesso la giusta risposta." gli disse e lo lasciò.
Chi già aveva trovato una risposta a questo interrogativo, era Deven. Nonostante, seduto nel portico, stesse studiando un antico testo di alchimia, la sua mente, in un più profondo livello, stava contemplando la bella figura della graziosa Lajila.
"Ah..." sospirò lievemente, "... se la bella Lajila posasse su di me i suoi occhi come io li ho posati su di lei! Se provasse per me ciò che il solo pensarla mi fa provare per lei!" pensò, richiudendo il volume.
Lo sguardo perso lontano, un sorriso dolce sulle sue belle labbra, si lasciò andare a gradevoli pensieri soffusi da un lieve sentimento di amore.
"Certo," si disse, "poiché Lajila è una ragazza per bene, non oserebbe mai posare i suoi occhi su qualcuno destinato a prendere i voti di monaco, quale io sono. E comunque... non è detto che, se anche fossi un laico, sarebbe interessata a me."
Emise un nuovo, languido sorriso, e riaprì il volume, cercando di riprendere il suo studio. Ma in realtà, il suo cuore non era sulle pagine di quel libro, ma carezzava le seducenti curve della giovane serva.
Quasi come se il suo pensiero l'avesse evocata, Lajila passò lungo il portico, recando sulla spalla un orcio di acqua che aveva attinto al pozzo. Si fermò davanti al giovane monaco e gli sorrise. Le sue bianche e snelle braccia sollevate verso l'alto per sorreggere l'orcio, gli sembrarono soavi e seducenti quanto il suo sorriso.
"Ma tu, Deven, studi sempre?" gli chiese con la sua voce cantante come il mormorio di un ruscello di fresche acque.
"Studiare fa parte dei miei doveri." le rispose, sollevando il capo, guardandola con malcelato interesse e carezzandone le belle forme con gli occhi. "Posa l'orcio, e offrimi un po' d'acqua." le disse poi, porgendole la sua tazza.
Lajila, con movenze aggraziate, poggiò l'orcio sul pavimento, prese la tazza, la riempì e la rese a Deven. Questi, riprendendola, sfiorò le sue dita. Bevve, ma i suoi occhi non lasciavano quelli della giovane serva e pensò che erano incredibilmente belli.
"Mi guardi..." disse Lajila, e la sua non era una domanda.
"Come non ammirare la tua fresca purezza? Ti disturba, forse, il mio sguardo?"
"Se tu... se tu non fossi un monaco..." disse sotto voce la ragazza, sentendosi lievemente turbata da quel carezzevole sguardo.
"Non ho ancora emesso i voti." le disse Deven.
"Ma presto li emetterai. Vorresti forse rinunciare?"
"Il mio maestro mi ha insegnato che... che si può percorrere la retta via e raggiungere l'illuminazione... anche in due."
"In due..." gli fece eco la ragazza, accoccolandosi accanto all'orcio, davanti a lui.
"Non due qualsiasi, ma due protesi verso la stessa meta. Due pronti a camminare, mano nella mano, sullo stesso sentiero."
"Quale sentiero?"
"Il sentiero della vita."
"Mano nella mano... E tu... vorresti..." chiese esitante la ragazza, sentendosi indosso un piacevole calore.
"Penso che sarebbe assai gradevole poter tenere la tua piccola, bianca e graziosa mano nella mia." le disse Deven, arrossendo lievemente per aver osato esprimere così chiaramente quanto provava per lei.
"E tu, Deven..." chiese Lajila in un sussurro, "rinunceresti a prendere i voti... per me?"
"Se tu ti sentissi pronta a percorrere il sentiero assieme a me... non sarebbe affatto una rinuncia."
Lajila emise un lieve sospiro, abbassò gli occhi e mormorò: "Se la maharani desse il suo consenso... io credo che... che mi piacerebbe percorrere con te il sentiero di cui parli... mano nella mano."
Sentendosi pieno di entusiasmo, Deven le domandò, con voce soffusa di emozione: "Preferisci che glielo chieda io... o vuoi farlo tu... o noi due assieme?"
"Se... se assieme vogliamo camminare nel sentiero di cui parli... non credi che assieme dovremmo chiederne il permesso alla nostra signora?"
Si alzarono con espressione lieta, lasciando il libro, l'orcio e la tazza lì sotto il portico e, fianco a fianco, tenendosi per mano, andarono lesti a chiedere udienza alla maharani.
Dovettero attendere, perché il maharaja era andato a trovarla per stare un poco con lei e con il figliolo, il principe Ushnisha Bhima-Vinal, che stava crescendo vigoroso e grazioso, con grande soddisfazione del sovrano.
A sera, i sei giovani novizi si ritirarono nelle loro stanze, ed eseguirono i riti della fine del giorno. Azhar, che tutti consideravano spontaneamente come il loro capo per la sua pacatezza, la sua saggezza e la profonda conoscenza sia delle scritture sia delle leggi, comunicò loro che il maharaja aveva espresso il suo apprezzamento per come stavano svolgendo il loro compito.
"Ha molto lodato la maharani per come il principe cresce, e anche per aver scelto noi sei per assisterlo." disse Azhar ai compagni. "Ed è anche lieto per come ognuno di noi si sta preparando per poter iniziare al più presto a assumere il ruolo di tutori e di consiglieri del principe."
"È un grande onore e una gioia per noi essere stati scelti per un simile compito." disse Tayib. "Noi di cui la vita sembrava aver fatto dei reietti."
"Nessuno conosce il domani. Pertanto è inutile sia piangere per le proprie condizioni, sia gloriarci per esse." fece notare Parindra. "Come la storia insegna, ogni essere umano può con estrema facilità essere d'improvviso sollevato dalla polvere alla gloria, o dal potere essere gettato nella miseria."
Yash annuì a queste parole e gli sorrise con dolce affetto che non sfuggì agli altri compagni.
"Credo," riprese allora Azhar, "per quanto riguarda noi sei, che dopo la nostra discussione riguardo alla sessualità e all'incontro con il maestro per chiedere la sua guida, qualcosa stia maturando dentro di noi. E se Tayib e io abbiamo scelto di astenerci dalla sessualità per dedicare completamente le nostre energie vitali alla via, mi sembra che qualcosa sia cambiato o stia per cambiare in voi quattro." disse con un sorriso.
Shudir annuì, pensieroso, e disse: "Mi sembra che la bella Gita sia particolarmente interessata a me e... e il suo interesse suscita in me piacevoli emozioni. Sì che pensavo di chiedere di essere dispensato dal prendere i voti per... per poter corrispondere a quanto Gita mi sta offrendo. Senza per altro rinunciare, senza tradire la missione che la maharani ci ha assegnato."
Deven annuì: "Anche tu, forte Shudir, hai pensato di compiere questo passo? Anche per me sta accadendo la medesima cosa, con la dolce Lajila. Quest'oggi non siamo riusciti a ottenere udienza dalla maharani per chiederle di lasciarci unire i nostri cammini, ma intendiamo farlo al più presto."
"E voi due?" chiese allora Azhar a Yash e Parindra.
"È indubbio che il mio sentiero e quello di Yash sembrano destinati a incrociarsi e a diventare un solo, comune sentiero. Per ora ancora non abbiamo rinunciato all'astinenza, ma sentiamo che sempre più forte e sempre più gradevole è la forza che sembra sospingerci uno nelle braccia dell'altro."
"Credevo..." disse Tayib, "... che voi due aveste già unito i vostri sentieri... e i vostri giacigli."
"No, non ancora." dichiarò Yash. "Il sentiero del Retto Sforzo ci insegna che per aumentare, per coltivare, per portare a maturazione le condizioni profittevoli che sono già sorte fra noi due, dobbiamo porre il nostro desiderio, fare ogni sforzo, iniziare una lotta, applicare la nostra mente per la loro continuazione, per non trascurarle, per viverle nel migliore dei modi."
"Questo è molto saggio e veramente lodevole." disse loro Azhar. "Credo che, benché la vita stia conducendo noi sei a scegliere tre sentieri parzialmente differenti, restando uniti sapremo svolgere bene il compito che ci è stato assegnato per il benessere del nostro amato principino."
Quella stessa notte, Yash e Parindra stesero i loro giacigli uno accanto all'altro e separati dagli altri.
Yash stese un braccio e, nel buio della stanza, cercò la mano di Parindra, che la serrò delicatamente nella sua.
"Mio dolce compagno, stavo ripensando a quanto il nostro maestro ci insegnò riguardo all'amore che deve unire tutti gli esseri, ma anche a quello che a volte unisce due esseri in particolare." disse Yash.
"E perciò anche noi due..." assentì Parindra.
"Disse che a volte l'amore può essere come un pezzo di corda che lega e così restringe, soffoca. Però può anche unire due esseri dando loro la forza di sacrificarsi uno per l'altro, la capacità di dare, di incoraggiare, e di connettere e diventare compassionevoli l'uno verso l'altro." recitò Yash.
"Sì, è così. E disse anche che può essere come una chiusa che ci rende incatenati e irrequieti, ma anche come una soffice coperta che ci dona calore e sicurezza."
"E l'amore fra due esseri può renderci ciechi e tenerci nel buio privandoci della coscienza che stiamo compromettendo i nostri principi, ma può anche essere come la mappa che indica le migliori vie da percorrere per giungere alla meta, facendocela vedere con maggiore chiarezza."
"Così è." disse Parindra. "Può essere come miele su un'affilata lama, che ci tenta a leccarlo anche a rischio di tagliarci la lingua, di rischiare la vita, ma può essere come una scatola di dolciumi che ci riserva dolcezza e che è piena di belle sorprese."
"L'amore può essere un mare di sofferenza, che con le sue onde violente ci intrappola e ci trascina negli abissi; ma se sapremo amarci nel modo retto, possiamo espandere l'amore per l'altro nella compassione per tutti. Questo secondo tipo di amore ti offro, un amore che può aiutare tutti gli esseri viventi a vivere nella felicità e nella libertà."
"Un amore, mio dolce Yash, che è tutt'altro che minuscolo e impotente, un amore che è la vera ragione stessa della nostra esistenza."
"Un amore che voglio giungere a manifestarti con tutto il mio corpo, per dissetare anche il tuo spirito."
"Vieni qui, dunque, mio dolce compagno. Lascia che il nostro spirito conduca i nostri corpi a percorrere questa nobile e misteriosa via dell'amore." disse Parindra, attirando gentilmente a sé il compagno.
Per la prima volta, i loro corpi entrarono in contatto, premendosi e sfregandosi lievemente l'uno contro l'altro, e le loro mani carezzarono il corpo del compagno e il buio della notte sembrò colorarsi di vividi e variegati colori.
Era, per entrambi, una deliziosa scoperta; e per ogni gradevole sensazione che uno donava all'altro, questi immediatamente la voleva donare al compagno. Immersi in una dolce calma, si prodigavano uno per l'altro, sentendosi felici nel rendersi conto di riuscire a donargli felicità e piacere.
Né Yash né Parindra avevano alcuna conoscenza delle arti dell'amore fisico, eppure i loro corpi sembravano scoprirle ed esprimerle spontaneamente. Nessuno dei due giovani aveva la mente obnubilata dalla brama per l'altro o per il proprio godimento, ma era piuttosto infiammato dal piacere di dare piacere.
Quella prima notte si limitarono ad abbracciarsi e carezzarsi, e si addormentarono serenamente, le membra ancora allacciate, lieti di aver saputo dare all'amato piacere, benché fosse ancora un piacere lieve e limitato.
Ma nelle notti seguenti, gradualmente, spontaneamente, le loro anime spinsero i loro corpi a unirsi sempre più intimamente, donando all'altro un crescente piacere, finché giunsero a desiderare di accogliere in sé almeno parte del corpo dell'amato.
Dapprima erano state le loro bocche a cercarsi, le loro lingue a giocare dolcemente e a spingersi fra le labbra dell'amato, mentre i loro membri eretti si premevano uno contro l'altro e si sfregavano dolcemente fino a raggiungere l'estasi dei sensi e spargere e mescolare la loro essenza virile, fra i loro piatti ventri nudi.
Poi, dopo alcune notti, era stato Parindra a chiedere al suo Yash di restare disteso, fermo, e lasciargli esplorare il suo corpo usando le dita, le labbra, la lingua. E quando giunse al bel membro forte e palpitante, fieramente eretto, gli era venuto spontaneo baciarlo, lecchettarlo, e infine prenderlo fra le labbra.
Il lieve mugolio di sorpreso piacere, incoraggiò Parindra ad assumere in bocca tutta la virile asta del compagno, e far giocare, con soave passione, la propria lingua sulla calda colonna di carne. E quando comprese che Yash stava raggiungendo il sommo del piacere, provò il dolce desiderio di assaggiarne il sapore... e finalmente si dissetò alla fonte della vita.
"Ora," mormorò quando si sollevò soddisfatto dal grembo del compagno, "tutti e cinque i miei sensi ti conoscono! Prima hanno goduto di te vista e udito, poi il tatto e l'odorato, e finalmente conosco anche il tuo sapore!" gli disse lietamente.
"Oh, mio Parindra, dolce amato e amante, davvero, come ci disse il nostro venerato maestro, questo che stiamo percorrendo può essere uno dei più bei sentieri che ci porterà all'illuminazione!"
"Sì, così è davvero! E assieme vi giungeremo, non ne ho alcun dubbio."
Passarono alcuni giorni, prima che scoprissero un altro modo di unirsi. Yash, una notte, era steso su un fianco e teneva abbracciato contro di sé l'amato, e mentre le sue mani si dilettavano e suscitavano diletto sul petto, sul ventre e sui genitali del compagno, la sua calda e forte asta sfregava su e giù nel solco fra le sue dolci e forti natiche.
Parindra, sentì impellente il desidero di accogliere in sé il compagno e, istintivamente, premette indietro il bacino muovendosi in modo che la fiera punta s'insinuasse nella segreta valle. Quando sfiorò la vergine rosetta di carne, provò un piacevole fremito e sentì che anche il compagno stava fremendo.
Allora le sue mani scesero fra i loro corpi, afferrarono la calda asta e la diressero sulla meta. Lo voleva accogliere in sé anche lì. Yash, istintivamente spinse. Per un poco, nonostante i loro corpi si muovessero per facilitare quella nuova forma di unione, sembrò non accadere nulla, se non che i loro corpi fremevano con crescente vigore e le loro anime anelavano con crescente energia a una più intima unione.
Poi, l'anello di carne iniziò a cedere, a schiudersi e Yash si sentì accogliere dall'amato. Spinse con maggiore vigore. Parindra sentì un lieve dolore fisico, ma nell'udire il lieve gemito di piacere del compagno, decise di sopportare quella sensazione per donare una maggiore gioia all'amato.
Yash stava spingendo con crescente energia, continuando a carezzare tutto il corpo e i genitali dell'amato, e sentì che stava entrando in lui, e fu invaso da una forte gioia. Parindra si rilassò completamente, e lo sentì iniziare ad affondare in sé. Superato il primo ostacolo, il forte membro del compagno gli scivolò lentamente dentro.
Il dolore si trasformò in un lieve fastidio, e quando la virile asta, durante la sua lenta avanzata, sfregò contro la parete anteriore dello stretto e inviolato canale, Parindra sentì una nuova energia liberarsi in lui, un forte senso di piacere avvolgerlo, e si abbandonò completamente fra le forti braccia dell'amato che, giunto a fine corsa, si fermò, lievemente ansante.
Parindra ruotò un po' indietro il torso, fra le braccia dell'amato, e anche il capo, finché le loro bocche poterono unirsi. Mentre si scambiavano un caldo e intimo bacio, entrambi iniziarono a muovere lievemente i bacini e si sentirono portare in paradiso.