Ushnisha Bhima-Vinal Choudhury era alla fine del suo secondo anno di età e, grazie alle cure assidue della maharani, dei sei giovani e della servitù, stava crescendo sano, sereno e forte.
Giunse il giorno in cui il monaco di corte decise, d'accordo con Amaravati Sitara, di far prendere i voti ai quattro che volevano abbracciare la vita monastica, e anche che, subito dopo, avrebbe celebrato le nozze con le serve degli altri due che intendevano tornare alla vita laicale.
Per prima cosa, Shudir e Deven dismisero l'abito color zafferano dell'ordine monastico e vestirono di nuovo abiti comuni da servi, rinnovando il giuramento, nelle mani della maharani, di vegliare per sempre sul principino.
Poi, dopo aver accolto i voti di Azhar, Tayib, Parindra e Yash nel tempio di corte, nominò Azhar capo della piccola comunità. Quindi portò nelle stanze dell'appartamento della maharani il vassoio con i contenitori di sabbia colorata, i lunghi conetti di rame con un minuscolo forellino in punta, chiamati chakpur, e i bastoncini per battere su essi e far fluire la finissima sabbia per eseguire il disegno del mandala.
All'alba, dopo una mezz'ora circa di canti, di musica e la recitazione di mantra, e alla presenza della piccola corte della maharani, il monaco di corte consacrò il sito in cui i quattro giovani monaci avrebbero dipinto il loro primo mandala. Tutto l'uditorio era schierato in religioso silenzio lungo le pareti della stanza, trattenendo il respiro e attendendo lo svolgersi degli eventi: per molti di loro era la prima volta che assistevano a un simile rito.
Subito dopo la Cerimonia di Apertura, il vecchio monaco, con mano incredibilmente ferma, tracciò sul pavimento le linee del disegno del mandala, come era stato concordato con i novelli monaci. Questo accurato lavoro preparatorio richiese circa tre ore per essere completato.
Disegnò sul pavimento un quadrato di circa un metro e mezzo di lato, con quattro nicchie al centro di ogni lato, rivolta ciascuna verso uno dei punti cardinali. Entro una cornice di onde stilizzate, tracciò un altro quadrato variamente decorato, e in centro un cerchio che simboleggiava il principino, circondato da otto petali, che dovevano rappresentare i quattro monaci, oltre ai due compagni e alle loro giovani consorti, che l'avrebbero protetto.
Quindi, terminato di tracciare il disegno, il vecchio monaco si allontanò e Azhar, Tayib, Parindra e Yash si accoccolarono ai quattro lati del disegno. Presero ciascuno il conetto di rame chiamato chakpur e lo riempirono con una delle fini sabbie colorate. Queste erano di colore bianco, rosso, giallo, verde, blu e nero. Il rosso, il giallo, il verde e il blu erano in tre gradazioni: scuro, medio e chiaro, formando così un totale di quattordici colori. Quindi, chinati sul disegno, iniziarono a riempirne le varie parti con uno dei colori. Questa accurata, precisa e paziente fase, richiese quattro giornate di lavoro.
Terminato di costruire il mandala, il vecchio monaco compì la cerimonia di consacrazione, nuovamente in presenza di tutta la piccola corte della maharani. Tutti indossavano, per l'occasione, i loro abiti migliori, anche il principino, che stava seduto in grembo alla madre.
Poi si celebrò la Cerimonia di Chiusura, o di cancellazione del mandala: i quattro giovani monaci spazzarono il disegno, raccogliendo e mescolando la sabbia in un mucchietto, a simboleggiare l'impermanenza di tutto ciò che i nostri sensi credono di cogliere e quindi anche l'impermanenza della vita stessa.
Metà della sabbia fu quindi distribuita a tutti i presenti in piccole coppe, ottenute piegando ad arte foglie di pipal, come simbolo di benedizione per ottenere salute o guarigione. Il resto della sabbia fu portato in processione dai quattro giovani monaci, preceduti dal loro venerato maestro e seguiti da tutta la piccola corte della maharani, fino al ruscello che scorreva nel giardino, dove la versarono per diffondere simbolicamente in tutto il mondo le energie di guarigione del mandala.
Quindi, come previsto, si celebrò il matrimonio fra Shudir e Gita e fra Deven e Lajila. Le due coppie, gli sposi vestiti completamente in bianco e le spose in rosso, liberarono alcune bianche colombe. Ogni coppia sedette poi a terra, il ragazzo di fronte alla ragazza, su cuscini coperti di broccato, le mani giunte, e fra loro fu posta una composizione floreale di fiori bianchi e rossi. Azhar pose in capo alla sposa una sottile corona di fiori bianchi, e la maharani ne pose una uguale sul capo dello sposo; le due corone erano unite da un cordoncino di seta, anche bianco e così il matrimonio fu celebrato. Il tutto terminò con un festoso banchetto.
Ma, terminate tutte le cerimonie, il vecchio monaco di corte, persa la sua espressione sorridente, si fece ricevere dalla maharani e, col suo permesso, convocò i sei giovani protettori del principino e, dopo una breve esitazione, anche le spose di Shudir e Deven.
"Vi sono alcune cose che mi rendono molto inquieto; cose che, girando per gli ambienti del palazzo reale, osservando, ascoltando e parlando, hanno suscitato la mia attenzione e la mia preoccupazione." esordì il santo monaco. "Ho l'impressione che nuvole oscure si stiano addensando nel cielo dell'erede al trono."
La maharani sbiancò: "Di che cosa stai parlando, Pitr." gli chiese usando il titolo onorifico.
"Nulla di concreto, diversamente avrei già denunciato il tutto al maharaja. Non posso fare denuncie senza avere le prove di quanto affermo, capite bene. Però... Però Karuna Chandi, la seconda moglie del nostro sovrano, credo che non si sia rassegnata al fatto che suo figlio non possa più essere l'erede al trono."
"Ma che mai può fare? Karuna non può certo mettersi contro il nostro sovrano: non ne ha né la forza, né l'autorità, né la convenienza." disse Azhar.
"È una donna assai astuta..." fece notare Amaravati, l'espressione preoccupata.
"Così è, maharani." riprese il vecchio monaco. "E ho l'impressione che, gradualmente, stia muovendo le sue pedine per far mettere nei posti chiave della corte persone a lei fedeli... E questo non preannuncia nulla di buono."
"E che cosa dobbiamo fare?" chiese, con espressione corrucciata, Shudir.
"Nulla per ora, non potete fare nulla. Ma opponetevi a qualsiasi cambiamento fra la servitù e il personale di questi appartamenti: ora sono tutte persone sicuramente fedeli al principe, non devono essere sostituiti con gente della seconda moglie del maharaja. Anche se fosse il maharaja tuo consorte a ordinarlo, Amaravati, chiedigli di non farlo, mia signora. E voi, siate tutti molto più attenti di prima, tenete gli occhi ben aperti e le orecchie ben ritte. Come continuerò a fare io, d'altronde."
"È bene avvertire anche gli altri servi della maharani?" chiese Lajila.
"No. Benché siano fidati, è meglio che non sappiano nulla di ciò che sospettiamo: senza volerlo potrebbero lasciarsi sfuggire un accenno con l'altro personale del palazzo, accenno che certamente giungerebbe alle orecchie di Karuna. Meno si sentirà sospettata, meno precauzioni prenderà, e meglio potremo osservare i suoi maneggi e cercare di neutralizzarli." le rispose il vecchio monaco.
"Tu, Pitr, giustamente non puoi denunciare al maharaja ciò che sospetti, come ci hai spiegato... Ma io potrei parlarne al mio consorte, come se fossero miei timori." disse allora Amaravati.
"Questo... sì, questo è possibile e anche saggio. Non una vera denuncia, ma l'espressione di un tuo timore, e forse in questo modo il maharaja sarà messo in guardia. Per ora temo che non ci sia possibile fare più di questo."
"Per questo, Pitr, hai disegnato quel mandala così poco convenzionale, dunque!" disse Parindra.
Il vecchio monaco sorrise e annuì: "Vedo che la tua mente è pronta. Sì, lo scopo principale era di benedire e invocare la protezione sul principe e su di voi che lo assistete e proteggete e di darvi forza e salute, vigore e prontezza, saggezza e lungimiranza."
"Karuna Chandi non ha ancora rinunciato a vedere sul trono suo figlio Ravindernath Purujit..." disse Amaravati.
"Finché il maharaja vivrà, il piccolo Ushnisha Bhima-Vinal non correrà grandi rischi." disse il vecchio monaco.
"Ma quanto la seconda moglie sta facendo, secondo i sospetti del maestro, pare siano preparativi per avere in mano la corte al momento opportuno." disse pensieroso Azhar.
"Ammesso che non tenti prima di nuocere al nostro amato Ushnisha Bhima-Vinal." commentò Shudir.
"D'ora in poi," disse allora la maharani, "due di voi otto, a turno, saranno sempre assieme a Ushnisha Bhima-Vinal, giorno e notte; e qualsiasi cibo, bevanda, oggetto dato al principe sarà preventivamente da voi controllato."
"Così sarà fatto." dissero gli otto in coro, inchinandosi profondamente.
La prima volta che il maharaja si recò negli appartamenti della maharani per stare un poco con il figlio e poi per unirsi a lei, quando furono soli, Amaravati Sitara gli parlò delle proprie preoccupazioni.
"Mio amato sposo, qualcosa di indefinibile turba il mio cuore."
"Dimmi, mia dolce Amaravati, che cosa mai può rannuvolare la tua bella anima?"
"Sento... ho la percezione che la tua seconda moglie, Karuna, non si sia rassegnata al fatto che sia Ushnisha il tuo erede e non suo figlio Ravindernath."
"Deve rassegnarsi. Il figlio maschio della prima moglie è da sempre l'erede al trono." disse con un dolce sorriso il sovrano, carezzandola con tenero affetto.
"Ma sai che nessuna donna si rassegna a che il figlio perda qualche cosa. E tutti sanno quanto Karuna sia astuta... e determinata."
"Non ti devi preoccupare, mia amata. Ushnisha sta crescendo bene, sono fiero di lui, inoltre è il frutto del mio amore per te, mia dolce. Qui è protetto da tutto e tutti, circondato da persone fidate da te stessa scelte con la mia approvazione. Qui, sia tu che io stesso vegliamo affinché cresca sano, buono, robusto e saggio. Scaccia dal tuo cuore le nubi che lo offuscano."
"Posso ardire di... di chiederti di..."
"Qualsiasi cosa, mia amata."
"... di tenere gli occhi bene aperti su ciò che Karuna fa... Ho l'impressione che gradualmente stia... inserendo persone a lei fedeli fra la tua gente, qui a palazzo, e questo..."
"Suvvia, mia dolce. Tu vedi ombre dove non credo ve ne siano. Nessuno che non sia fedele a me può vivere qui a palazzo, lo sai bene. Tanto so essere generoso con chi mi serve bene, altrettanto so essere duro con chi non lo fa. Ma ora vieni, mia dolce, rasserenati e prendiamo il nostro piacere assieme."
Amaravati sapeva di essere amata di un profondo amore dal suo sposo, e che altrettanto sincero e forte amore il maharaja riversava sul loro figlio, però temette di non averlo saputo mettere sufficientemente in guardia. Si disse che sarebbe stato inopportuno insistere, ma si ripromise di tornare, prima o poi, su quel discorso. Per il momento, si abbandonò fra le forti braccia del suo sposo, e si dedicò a lui con tutto il proprio amore.
Nel frattempo, Deven e Shudir stavano vegliando nella camera del principe Ushnisha, che dormiva pacificamente nel suo soffice lettino. I due parlavano sottovoce, per non disturbare il sonno del loro principino.
"Non provi nessun rammarico per non aver preso i voti, Shudir?"
"Certamente no. Gita è deliziosa, è molto bello unirmi a lei. D'altronde, a parte i voti non emessi, siamo qui a compiere, proprio come prima, la nostra alta missione. Provi forse tu qualche rammarico, per cui mi hai fatto questa domanda?"
"No no, non io. Anche per me è molto bello essere lo sposo della mia dolce gazzella, della mia bella Lajila. Sia la maharani che i nostri quattro compagni ci trattano esattamente come prima, anche se siamo tornati allo stato laicale. Posso anche continuare i miei amati studi di alchimia, in modo di essere pronto anche io, come tutti voi, a insegnare al principino quando sarà più grande. Che posso chiedere di più dalla vita?"
"Mi chiedo... se anche Yash e Parindra provano fra di loro la stessa gioiosa estasi che proviamo noi due con le nostre spose." chiese Shudir.
"Credo che così sia, amico mio. E credo che anche Azhar e Tayib, pur rimanendo celibi e astenendosi dal sesso, possano provare una simile estasi che, penso, viene più dal fatto di seguire la giusta via che non da quanto si fa."
"Eppure, vedi, Deven, sembra sempre che le nostre scelte siano le migliori e ci si stupisce quando gli altri non le condividono."
"Ma non è così, a mio parere. L'importante è che ciascuno segua il proprio sentiero, la propria natura. Non credo che esista una scelta 'migliore' in assoluto, ma tante scelte 'migliori' quanti sono gli esseri umani. Ed è per ciò, ne sono convinto, che il nostro maestro nella sua saggezza ha approvato che noi due non prendessimo i voti, assumendo nuovamente lo stato laicale, e ci sposassimo."
A notte fonda, prima di lasciare gli appartamenti della maharani, il maharaja volle andare a vedere ancora una volta il figlio. Entrato nella stanza, scostò la lieve cortina di velo e si chinò sulla culla. Shudir e Deven notarono che il suo volto si illuminava di un dolce sorriso. Il sovrano, con il dorso di un dito, carezzò lieve la gota paffutella del bimbo.
Richiusa la cortina, guardò i due giovani e disse loro: "So che il mio Ushnisha è in buone mani. Non cessate mai di vegliare su di lui. Siate i suo angeli guardiani."
I due giovani si inchinarono e Shudir disse: "Non dubitare, signore. La vita e il benessere del principe ci sono più cari della nostra stessa vita e del nostro benessere."
"Una nube sembra offuscare il cuore della mia amata Amaravati. Solo il mio amore e la vostra affettuosa e continua presenza riescono a dissiparla un poco." aggiunse, pensieroso, il maharaja.
"Sì... sappiamo delle preoccupazioni della maharani e anche noi le condividiamo, signore." disse Deven. "Pur vivendo qui e girando assai poco per la corte, abbiamo avuto l'impressione che i timori della tua sposa non siano privi di fondamento."
"A che cosa vi riferite di concreto?" chiese il maharaja aggrottando lievemente le sopracciglia.
"Nulla di concreto, signore, altrimenti te ne avremmo parlato. Però... la sensazione c'è, indubbiamente." insistette Shudir.
Il sovrano restò per un attimo pensieroso, poi disse: "Bene, come ho detto alla mia dolce Amaravati, terrò gli occhi bene aperti. Benché, almeno fino a ora, non ho notato nulla di strano, attorno a me."
Salutatili, il maharaja lasciò gli appartamenti della Maharani. Shudir e Deven sedettero nuovamente accanto al letto del principino per vegliarlo e finire il loro turno.
"Hai visto con quanta tenerezza e amore il nostro signore ha guardato e accarezzato il piccino?" chiese Deven.
"Ora che oltre al nostro maestro anche il maharaja è messo sul chi vive, speriamo che riesca a neutralizzare le mire della sua seconda moglie." disse Shudir, accigliato.
"Abbiamo fatto bene a esprimergli anche noi la nostra preoccupazione, dato che aveva fatto quell'accenno ai timori della maharani."
"Sì, Deven. Eppure mi sento così impotente, a dover semplicemente attendere lo svolgimento degli eventi!"
"Perché tu sei un uomo d'azione, mio buon Shudir, e non ti piace stare con le mani in mano. Ma che altro possiamo fare, se non vegliare sul nostro amato principino e attendere?"
Poco prima dell'alba, giunsero Azhar con Tayib a prendere il loro posto. Deven e Shudir stavano tornando alle loro stanze per raggiungere le loro spose, quando Shudir si immobilizzò e trattenne l'amico facendogli cenno di tacere. Nel silenzio si udì un lieve fruscio, poi un sibilo.
Cercarono con gli occhi nella semioscurità della stanza in cui iniziava a filtrare la prima luce del giorno, scandagliandola con gli occhi, tesi e attenti. Poi Deven toccò un braccio di Shudir e indicò in un punto del pavimento.
Una sagoma scura, lunga e sinuosa, avanzava scivolando sul pavimento, nella loro direzione. Shudir scattò, avventandosi sulla grossa e minacciosa ombra, si avvinghiarono rotolandosi sul pavimento, iniziando una breve lotta rotta solamente dal sibilo del grosso serpente velenoso e dal respiro di Shudir.
Deven restava immobile, incerto se dovesse intervenire e come, per aiutare l'amico. La luce nella stanza gradatamente aumentava. Shudir era riuscito ad afferrare il serpente sotto la testa e la teneva lontana dal proprio corpo, mentre continuava a lottare per prenderne il pieno controllo. Poi, riuscì a sospingere la testa del serpente contro il pavimento e, con un colpo secco e forte dato con il taglio dell'altra mano sotto l'attaccatura della testa, lo colpì.
Si sentì un suono secco, come di un ramo che si spezza, la lunga forma sussultò e si stese. Shudir si alzo da terra, tenendo nella forte mano il corpo morto del serpente.
"Credi che sia un caso che questo cobra si sia introdotto in questa parte del palazzo, nell'appartamento della maharani?" chiese, nuovamente calmo, mostrando l'animale morto al compagno.
"Temo di no. Devono averlo lanciato nel giardino, probabilmente con una cesta." rispose Deven, toccando la sericea pelle del cobra e rabbrividendo lievemente.
"Oppure semplicemente addormentato per il freddo della notte. Dubito che troveremo una cesta nel giardino, sarebbe una prova che è stato lanciato e non vi è giunto da solo."
"Ma da solo, come avrebbe potuto giungere fin qui? I serpenti non si arrampicano per le pareti. È chiaro che, in un modo o in un altro, è stato introdotto qui ad arte." ribatté Deven.
"Ma un cesto sarebbe comunque una prova troppo pericolosa, qualcuno potrebbe aver visto quel cesto e sapere chi l'ha maneggiato. Dobbiamo avvertire subito Azhar, la maharani e il maestro. E uno di loro penserà a rendere edotto di questo attentato anche il maharaja." disse in tono deciso Shudir.
"Dobbiamo anche controllare se vi sono altri modi per introdurre qui un serpente." disse Deven.
"Sì, certamente. Anche se credo che, fallito questo primo tentativo, ne escogiteranno altri diversi. Ma... come mai il serpente si stava dirigendo proprio verso la stanza del principe? Come se sapesse dove andare."
Deven rifletté, poi disse: "Credo, ma posso documentarmi meglio, che si possa lasciare un'invisibile traccia sul pavimento, che il serpente sente e segue."
"Ma se così fosse, qualcuno qui dentro deve aver segnato la traccia per il cobra. Dunque, la seconda moglie del maharaja ha un complice fra i servi... qualcuno che, magari fingendo di pulire i pavimenti, ha depositato la traccia di cui parli."
"Eppure sembravano tutti completamente fidati." disse Deven in tono pensoso.
"Gli unici veramente fidati qui dentro, oltre alla maharani, siamo noi sei e le nostre due spose. Se fino a ora siamo stati attenti, ora lo dobbiamo essere anche più di prima. Sono certo che, fallito questo tentativo, la seconda moglie del maharaja escogiterà qualcosa altro. Se solo si avessero le prove che è lei la mente maligna che trama nell'ombra, il nostro sovrano potrebbe liberarsi di lei."
"Ma poiché è un sovrano giusto, non farà nulla contro di lei senza avere prove concrete." commentò Deven, sconsolatamente.
Avvertita la maharani, Azhar e il monaco di corte, si riunirono tutti per discutere sulla situazione alla presenza del maharaja.
Il sovrano cercò di tranquillizzare la sua amata consorte, dicendole che avrebbe rafforzato la guardia attorno all'ala ove viveva il principino e nel contempo che avrebbe fatto svolgere discrete indagini per appurare se veramente la seconda moglie agisse in modo di nuocere all'erede al trono.
Amaravati Sitara non era affatto tranquilla; però, poiché anche il monaco di corte sostenne la decisione del consorte, si piegò alla sua volontà.
Per alcuni giorni, sembrò che tutto fosse tranquillo. Sotto l'attenta e incessante cura dei sei giovani guardiani e delle spose di Shudir e Deven, specialmente quando la maharani doveva assentarsi per affiancare il consorte nelle cerimonie di stato, Ushnisha Bhima-Vinal continuava a crescere, vivendo ignaro e felice.
Ma due lune più tardi, un nuovo incidente giunse a turbare gli appartamenti in cui era allevato il principino. I servi di palazzo, come sempre, avevano portato le scorte di cibo e bevande, compresa una giara di latte. Lajila lo stava travasando, quando un poco traboccò formando una piccola pozza sul pavimento.
Uno dei gatti che vivevano nella piccola corte andò subito a leccarlo ma, dopo poche lappate, cadde a terra contorcendosi e morì. Lajila immediatamente gettò l'allarme, spaventata. Si venne così a scoprire che il latte era stato avvelenato.
Il maharaja, avvertito, fece subito svolgere un'indagine, e si poterono così rintracciare tutte le persone che avevano maneggiato il contenitore del latte, ma nessuno poté essere indicato come colpevole. Anche perché fra un passaggio di mano e l'altro, il contenitore era rimasto non controllato, quindi chiunque avrebbe potuto versarvi il veleno.
Ma a questo punto lo stesso maharaja si rese conto che il suo erede stava correndo un reale e grave pericolo.
"Fino a quando, mio dolce sposo, riusciremo a proteggere nostro figlio? Fin qui siamo stati fortunati, ma ora il mio cuore è pieno di angoscia." gli disse la maharani.
Il maharaja annuì, pensieroso, poi prese la sua decisione.
"Ebbene, Ushnisha sarà portato dai suoi fedeli guardiani lontano da qui, in un luogo di cui nessuno saprà nulla, in un luogo dove nessuno saprà che è il mio erede, e lì crescerà in sicurezza, fin tanto che giunga l'ora che prenda il mio posto. Un luogo che nessuno di noi, a parte me e te, conoscerà, per maggiore sicurezza. Partiranno nottetempo, travestiti, e solo alcuni giorni dopo annuncerò che l'ho mandato in un luogo sicuro."
"Andrò anche io con nostro figlio..." disse Amaravati.
"No, mia dolce sposa. Tu dovrai restare qui a corte con me."
"Il mio cuore ne morirà..."
"Sarà in mani sicure. Manterremo i contatti tramite piccioni viaggiatori, che solo io e tu riceveremo e manderemo, e nei messaggi non si nominerà mai il loro nascondiglio. Ma tu devi fare questo sacrificio e restare con me. Dobbiamo organizzare il tutto assai bene e in grande segretezza. Questo è quanto ho deciso."