Kumar vide, nella penombra ovattata di una stanza, un giovane monaco seduto in meditazione. Istintivamente si abbassò, sentendosi il cuore battere. Chi era quel giovane monaco? Non l'aveva mai visto prima... che ci faceva lì? Perché non viveva con gli altri?
Poi, lentamente, prudentemente, si risollevò sulle punte dei piedi e guardò nuovamente dentro... Il monaco era perfettamente immobile, come una statua, come una di quelle del tempio.
Kumar, trattenendo il respiro, lo guardò a lungo. Era troppo perfettamente immobile... Ma no, si disse sorridendo di se stesso, quella era veramente solo una statua. Molto bella, perfetta e ben colorata, tanto che pareva quasi una persona vera. Girò un po' gli occhi a esplorare l'ambiente ma da lì vedeva ben poco. Incuriosito, spinse la porta, che non si mosse. Allora la tirò e si aprì un poco, senza fare alcun rumore.
Quando fu socchiusa a sufficienza, Kumar infilò il capo nella stanza e si sporse esplorando tutto intorno: non c'era nessuno. Scivolò silenziosamente dentro, lo sguardo fisso su quella bella statua. Rappresentava un monaco giovane, che gli fece pensare che potesse rappresentare Rahula, il figlio dell'Illuminato, quando fu ammesso nell'Ordine dei Sangha come samanera, cioè novizio. Aveva infatti il capo e le sopracciglia rasate e davanti alle sue gambe incrociate era posta la ciotola delle elemosine.
Certo, pensò Kumar, la statua era molto bella, veramente perfetta, sapientemente dipinta con colori naturalistici. Si guardò attorno: c'erano pochi mobili di legno istoriato, semplici ma molto belli. Da una finestrella con una grata di pietra entrava una fioca e dolce luce diffusa.
Avanzò lentamente verso la statua, aggirando un basso tavolo con sopra un cesto con alcuni frutti, guardandola e pensando che era davvero molto, molto bella, anzi, incredibilmente bella. Giunto di fronte, allungò lentamente una mano per sfiorarla, quando la statua sollevò le palpebre e lo guardò!
Kumar lanciò un grido spaventato e arretrò precipitosamente, andando a sbattere contro il tavolo, rovesciandolo, e cadde indietro, a terra, guardando con occhi sgranati la statua. Stava pensando di essersi sbagliato, di aver visto qualcosa suggerita solo dalla sua fantasia, e si stava calmando, quasi sorridendo di se stesso e della sua improvvisa paura, quando la statua mosse le labbra e parlò!
"Chi sei?" chiese una voce soave, e la statua si mosse, spostando le mani dal grembo e chinandosi verso di lui.
"Io... io..." balbettò il piccolo, "io... sono Kumar..."
"Lo vedo che sei un kumar (ragazzino), ma qual è il tuo nome?"
"Ku... Kumar. Così mi chiamano... ma t... tu sei vivo? Sei vero?"
Ushnisha sorrise: "Che cosa è vero, in questo mondo illusorio... Ma sì, sono vivo e vero almeno quanto te. Alzati, Kumar, non avere paura. Che ci fai qui? Come hai fatto a entrare? Non ti ho sentito giungere... Chi sei? Da dove vieni?"
"Io... io..." disse il piccolo, riprendendo gradualmente colore e coraggio, e sollevandosi a sedere, "sono il figlio adottivo di Shudir e di Gita... sono un trovatello abbandonato e... e mi hanno preso come un figlio e mi hanno allevato e..."
"Non mi hanno mai detto nulla di tutto ciò... né ti ho mai visto."
"Né io te. Ma è tanto che tu sei... che stai nascosto qui?"
"Circa dieci anni." disse con un sorriso velato di mestizia il giovane principe. "Alzati, vieni a sedere qui accanto a me."
Kumar sgranò gli occhi: "Dieci anni? Ma sei... prigioniero? Perché? Facevi troppe marachelle?" chiese alzandosi. Poi rimise a posto il tavolo, il cesto su di esso, e si mise a raccogliere la frutta per rimettervela dentro, mormorando: "Mi spiace, non mi sgridare, non l'ho fatto apposta..."
Ushnisha sorrise e scese dalla piattaforma su cui solitamente sedeva per meditare o su cui si stendeva per dormire, e l'aiutò a rimettere ogni cosa a posto. Erano accoccolati a raccogliere gli ultimi frutti, uno di fronte all'altro, quando si guardarono. Ushnisha gli sorrise. Kumar rispose timidamente, esitante, al sorriso.
"Non sei arrabbiato con me?" gli chiese.
Ushnisha scosse il capo, allungò una mano e dette una lieve carezza sulla guancia del piccolo. "Ma come hai fatto ad arrivare fino a qui? Hanno dimenticato di rimettere a posto il tavolo su, sulla terrazza della torre?"
"No... Io correvo dietro a uno dei micetti e lui s'è nascosto sotto il tavolo e io ho messo dentro al foro una mano e ho trovato un coso tondo e ho spinto e tirato e il tavolo s'è mosso e ho visto la scala e..." disse Kumar tutto d'un fiato.
"Sono contento che sei qui... anche se non hai trovato il tuo micetto, ma me." gli disse con voce calma e calda il giovane principe.
"Davvero non sei arrabbiato con me? Davvero sei contento?"
"Mi sento... un po' solo quaggiù, anche se a volte mi lasciano uscire, quando il portale d'accesso al tempio è chiuso."
"Ma perché ti hanno messo qui? Sei in castigo? Hai fatto qualche marachella?" gli chiese di nuovo Kumar.
Ushnisha sorrise e scosse il capo: "Tu fai molte marachelle? Ti mettono spesso in castigo?"
"Beh... qualche volta capita. Io cerco di essere un bravo ragazzo, ma è così difficile... Sai, mica riesci mai a capire bene cosa pensano, i grandi. Loro... pare che sanno sempre cosa si deve fare e cosa non si deve fare."
"E noi un poco alla volta impariamo, crescendo, Kumar."
"Ma perché ti fanno stare qui e non con noi, se non ti hanno messo in castigo?"
"Vedi, Kumar... noi tutti, fino a dieci anni fa, si abitava in un altro posto... molto lontano da qui. Ma là c'erano alcune persone cattive che mi volevano uccidere, così si è dovuti fuggire lontano. E io non sto qui per punizione, non in castigo né in prigione ma nascosto, perché chi mi vuole uccidere non sappia dove sono, non mi scopra e non trovi il modo di porre termine a questa mia vita." disse mestamente il giovane principe.
"E perché ti volevano uccidere quegli uomini cattivi? Azhar mi ha insegnato che seguire la Retta Azione significa che nessuno deve togliere la vita o causare sofferenza agli altri esseri."
"Così dovrebbe essere, ma così non è. Purtroppo non tutti seguono la Retta Via. Vedi, mio padre è un maharaja e io dovrò un giorno prendere il suo posto. Ma ci sono alcune persone che vogliono che sia un altro a prendere il posto di mio padre, perciò hanno cercato di uccidermi. E così..."
"Tuo padre è un maharaja?" chiese Kumar sgranando gli occhi. "Ma allora, non poteva fare qualcosa per proteggerti?"
"E l'ha fatto, affidandomi ad Azhar e agli altri e facendomi nascondere qui."
"Ma così... tu sei come... come in prigione, come in castigo anche se non hai fatto nessuna birichinata, nessuna marachella! Mica è giusto!" esclamò Kumar.
Ushnisha sorrise: "E così sarà finché sarò abbastanza grande per badare a me stesso."
"Ma non ti senti solo, a stare sempre quaggiù?"
"In parte sì, ma... A volte posso uscire per un poco... e spesso vengono giù ora uno ora l'altro per insegnarmi tutto ciò che devo imparare, e tuo padre Shudir anche per farmi allenare affinché cresca non solo istruito e saggio ma anche forte e sano e... E comunque è così."
"Ma perché a me non hanno mai detto niente che ci sei tu, nascosto qui?"
"Forse perché temevano che tu potessi parlare con sconosciuti e involontariamente tradire la mia presenza, mettendo così in pericolo la mia vita." gli spiegò Ushnisha.
Kumar scosse energicamente il capo: "Ma io non ti tradirei mai, non ti tradirò mai! Io non parlerò mai con nessuno di te. Non dirò mai a nessuno che sei qui, o che esiste questo posto!" esclamo. Poi, a voce bassa, chiese: "Non mi credi?"
"Certo che ti credo. Ma forse loro, i grandi, non ne sono così sicuri. Sai... sono contento che sei arrivato fin qui, che ci siamo conosciuti. Mi piaci, Kumar."
"Dici davvero? Però... però se sanno che ti ho trovato... forse non sono contenti e... siccome non si fidano di me."
"E tu non dire nulla a nessuno, neanche a loro, che mi hai trovato."
"Sì, hai ragione. Non dirò niente nemmeno a Shudir."
"Però... però tornerai qualche volta a trovarmi?"
"Lo desideri? Davvero?" gli chiese Kumar, lietamente.
"Sì. Quanti anni hai, Kumar?"
"Credo dieci. E tu?"
"Tredici. Vuoi essere mio amico?"
"Ma tu sei il figlio di un maharaja e io solo un trovatello."
"Quante mani hai?" gli chiese Ushnisha con un lieve sorriso.
"Eh? Due, no?"
"Già, proprio come me. E quanti occhi? E quante bocche?"
Kumar rise: "Di bocche... ne abbiamo una sola."
"Proprio così. E possiamo andare avanti a enumerare tutte le cose che ci rendono uguali, che sono assai più di quelle che ci rendono diversi. Non vuoi essere mio amico?" chiese di nuovo il giovane principe.
Kumar annuì vigorosamente sorridendogli dolcemente.
"E farmi sentire un po' meno solo?"
"Certo. E ora che so come fare per venire qui da te, qualche volta riuscirò a venire giù per tenerti compagnia."
"E lo farai? Ma non si accorgeranno che ogni tanto non ti si vede più in giro?"
"Oh... beh... io spesso vado nella foresta o a fare un giro fuori dalle mura e mica sanno sempre dove sono. Quando faccio le mie marachelle... beh... anche se non dovrei farle... mica le scoprono sempre, sai? Vedrai che trovo il modo di venire a tenerti compagnia. E stai tranquillo, mica dirò mai a nessuno che tu sei qui, che ti ho conosciuto. Sarà il nostro segreto. Va bene?"
"Certo che va bene, Kumar."
"Ma io non so ancora come ti chiami." gli fece notare Kumar.
"Il mio nome è Ushnisha Bhima-Vinal Choudhury."
"Posso chiamarti solo... Vinal?"
"Come desideri, amico mio."
"Amico mio..." gli fece eco il ragazzetto, con voce dolce.
Allungò una mano e sfiorò quella del giovane principe. Ushnisha la girò col palmo in su e se la strinsero lievemente, sorridendosi.
In quella sentirono il lieve rumore di una porta che veniva aperta.
"Sta arrivando qualcuno... nasconditi, Kumar, non devono trovarti qui. Lesto, là sotto." gli disse indicando la pedana su cui poco prima stava in meditazione e su cui la notte srotolava il sottile materasso per dormire.
Kumar sgattaiolò sotto la pedana. Ushnisha si alzò in piedi e si assicurò che non lo si potesse vedere. La voce di Parindra sorse da dietro la porta, salutandolo.
"Parindra-pitr, è già ora della lezione di storia?" lo accolse Ushnisha, mentre entrava, sperando di aver dato un'intonazione normale alla propria voce.
Il monaco annuì e fece per mettersi a sedere, ma Ushnisha lo fermò con un gesto: "Non possiamo andare a sedere sulla veranda, dove c'è più luce?"
"Come desideri."
"Vai, allora, ti raggiungo subito." gli disse Ushnisha.
Parindra lo guardò un po' sorpreso, ma annuì e uscì dalla stanza. Allora il ragazzo si chinò e sussurrò a Kumar: "Mentre siamo in veranda, vai, senza fare rumore. E fai attenzione che nessuno ti veda. A presto, amico mio." quindi seguì Parindra nella veranda, per la lezione di storia.
Così iniziò l'amicizia segreta fra Ushnisha e Kumar. Il ragazzino trovava il modo di scendere fino alle stanze del principe senza essere visto, anche se non spesso come entrambi avrebbero desiderato.
Un giorno, mentre i due ragazzi erano nella veranda che dava sul precipizio e che dava luce a tutte le stanze, Kumar infilò la testa in una delle maglie del traliccio traforato nella pietra.
"Che fai?" gli chiese Ushnisha, divertito.
"Vedi, ci passa solo la mia testa... Ma se noi riusciamo a togliere questo incrocio, allora lo spazio diventa molto più grande e io potrei anche entrare e uscire di qui, invece che per la scala."
"Sì, ma... ma qui fuori c'è il precipizio e sarebbe molto pericoloso, per te."
"Ma no, io sono in gamba ad arrampicarmi, sai?" disse sicuro di sé il ragazzetto.
"Ti credo, ma cosa direbbero gli altri se vedono che manca un pezzo del traliccio di pietra?"
"Se si potesse tagliare la pietra in questi quattro punti... vedi... quaggiù... le fronde che entrano nasconderebbero il foro e... e magari si potrebbe solitamente tenere il pezzo tagliato al suo posto e solo se uno va a guardare con attenzione lo vede ma perché dovrebbero andare a controllare?" insistette Kumar, eccitato.
"D'accordo, hai ragione, ma come fare per tagliare la pietra?"
"Beh... forse posso trovare un ferro, un utensile adatto e... e lavorandoci un po' per volta, con attenzione... e tu hai parecchio tempo per farlo e... Per me sarebbe molto più facile venire a trovarti, invece che scendere per la scala, con il rischio di essere sorpreso dagli altri. Non saresti contento di vedermi più spesso?"
"Certo che ne sarei contento, amico mio."
"E allora, lascia fare a me. Se trovo qualcosa di adatto, vedrai che riusciremo a farlo."
"Ma non è troppo pericoloso per te scavalcare il muro e scendere fin qui fuori, lungo il precipizio?"
"Ma no... T'ho detto che sono proprio in gamba ad arrampicarmi su per il muro di cinta e scendere dall'altra parte. A me il precipizio mica fa paura. Ho guardato da sopra il muro, e ho visto che gli arbusti mi darebbero sufficienti appigli per salire e scendere senza correre troppi rischi."
Da una parte Ushnisha sarebbe stato lieto di poter vedere più spesso il suo amico segreto, ma dall'altra era anche piuttosto preoccupato per il rischio che comunque Kumar avrebbe corso nel percorrere quella via. Ma il ragazzino tanto insisté che alla fine Ushnisha accettò la sua proposta.
Il principino era contento per quell'imprevista visita perché, se pure aveva un ottimo rapporto, fatto di stima e fiducia, e anche affetto con i suoi otto guardiani, sentiva in Kumar, così vicino alla sua età, qualcuno di molto più simile a se stesso.
Anche se aveva sempre sopportato, e nascosto, la lieve tristezza per quella sua vita da recluso, s'era spesso sentito solo. Ora, se Kumar fosse davvero riuscito ad andare da lui, sentiva che sarebbe stato meno solo. Il ragazzino era allegro, intelligente, gentile e affettuoso e soprattutto quest'ultima qualità era come un balsamo per Ushnisha.
Anche Kumar era contento di aver scoperto il segreto della torre, di aver incontrato il principe nascosto. Anche lui lo sentì subito più vicino a sé che non gli adulti. Inoltre, il fatto di avere un "suo" segreto, da condividere con il bel principe, lo faceva sentire più adulto, più importante.
Così, ogni volta che, non visto, poteva salire fin sul tetto della torre, spostava il tavolo, s'infilava nella scala, lo rimetteva a posto e scendeva a incontrare il suo nuovo amico.
A volte gli portava uno dei suoi semplici giocattoli, che gli aveva costruito uno dei "grandi", o chiacchieravano di mille cose diverse, scherzavano, si raccontavano le loro fantasie, i loro pensieri.
Una delle prime volte in cui era tornato a visitare Ushnisha, era riuscito a portargli un utensile di ferro che aveva sottratto, non visto, assieme a un mazzuolo di legno.
"Ecco, Vinal, con questo, un poco alla volta, dovresti riuscire a tagliare la pietra in questi quattro punti, senza rompere il pezzo centrale. Non ho trovato niente di meglio, ma credo che possa andare bene. Che ne dici?"
"Non si accorgeranno che hai sottratto questi due oggetti?" gli chiese Ushnisha.
"Non credo proprio... A parte che non mi hanno visto prenderli... penseranno che saranno da qualche altra parte e... beh... comunque io giurerò di non saperne nulla."
A volte, quando parlavano e fantasticavano assieme, Kumar stava appoggiato con la schiena sul grembo di Ushnisha e con il capo sul suo petto. Ushnisha, allora, lo carezzava lieve, sia per fargli sentire il proprio affetto, sia per annullare, istintivamente, i confini fisici che li separavano.
Dopo diversi giorni, finalmente, Ushnisha riuscì a tagliare i quattro bracci di pietra e a estrarre il blocco. Allora Kumar si infilò nel grande foro e passò dall'altra parte.
"Vuoi venire anche tu e vedere com'è da quest'altra parte?" gli chiese, affacciandosi col capo al foro.
Ushnisha vi si infilò e si sporse con il busto dall'altra parte.
"Vedi? Qui ci sono molti appigli..." gli disse lietamente Kumar.
Ushnisha, senza passare dall'altra parte, si girò in modo di guardare in su: "È molto ripido... davvero pensi che potrai arrampicarti su senza pericolo?" gli chiese.
"E come no! Vuoi vedere? Ora salgo fin sopra al muro, poi torno giù da te e vedrai com'è facile!" disse Kumar, sicuro di sé.
Ushnisha lo guardò arrampicarsi, agile e lesto come una scimmietta, trattenne il respiro, finché Kumar giunse sul ciglio del muro e vi sedette poi, guardando giù, gli fece un ampio sorriso e un cenno di saluto agitando un braccio. Quindi Kumar ridiscese, lesto e sicuro come prima, finché giunse nuovamente accanto al giovane principe.
"Visto? Fra gli spuntoni di roccia, gli arbusti e le crepe, è facile quasi come salire o scendere per una scala. In questo modo posso venire da te e andare via anche più facilmente che attraverso la scala a chiocciola della torre."
"E soprattutto, se giungesse qui uno dei miei guardiani, ti puoi allontanare senza essere visto." gli disse Ushnisha ritraendosi.
Kumar si infilò nuovamente nella veranda attraverso la grata, rimise al suo posto il blocco di pietra e con una mano tirò dentro le estremità di alcuni rami perché con le loro foglie celassero le quattro spaccature.
Poi si girò verso Ushnisha, che era seduto sul pavimento, gli sorrise e, d'impulso, gli si gettò in grembo, lo strinse a sé e gli disse, lietamente: "Lo sai che ti voglio tanto bene?"
Anche Ushnisha lo strinse fra le sue braccia e gli disse, commosso: "Anche io ti voglio molto bene, Kumar."
"Quand'ero piccolo, Gita mi stringeva così fra le braccia, ma ora non lo fa più, perché dice che sono troppo grande. Ma mi piaceva molto... e ora mi manca. Lo farai tu, Vinal? Mi prenderai ancora fra le tue braccia come ora? Per favore."
Il ragazzo sorrise: "Certamente. Siamo amici, no? E anche a me piace molto tenerti così fra le mie braccia."
Kumar gli stava seduto in grembo e con le gambe gli cingeva il bacino. I loro volti erano vicinissimi, tanto che quasi faticavano a mettere a fuoco gli occhi. Istintivamente Ushnisha accostò le labbra a quelle del ragazzino e ve le sfregò sopra, lievemente.
Non era un vero bacio, non vi era nulla di erotico, era soltanto un istintivo tentativo di stabilire fra loro un'intimità maggiore. Gli occhi di Kumar scintillarono, esprimendo così tutto il piacere per quel lieve, ma intimo gesto. Frattanto le mani dell'uno carezzavano la schiena e la nuca dell'altro.
"Siamo veramente amici, vero, Vinal?" chiese il ragazzetto, in un sussurro emozionato.
"Certamente. È bello avere un vero amico." rispose il giovane principe e, mormorando queste parole in tono commosso, le ripeté: "Molto, molto bello."
Quello che si stavano istintivamente dando, e di cui entrambi erano avidi, era semplicemente il calore umano, manifestato attraverso una spontanea intimità. Perciò si sentivano grati l'uno all'altro per l'intimità che stavano sperimentando.
Così, senza averlo deciso, senza averne parlato e neppure averlo pensato, quando si trovavano si stendevano sul giaciglio di Ushnisha, in modo di potersi non solo abbracciare, ma anche stringere l'uno all'altro mentre parlottavano, scherzavano, viaggiavano assieme in un mondo di fantasia e di affetto. E, istintivamente, si carezzavano lievemente, al di sopra dei loro abiti.
A volte capitava anche che le loro labbra si sfiorassero appena, si sfregassero lievemente e lietamente, quasi giocosamente, forse perché quel contatto, pur così soffice, aveva in sé un'intimità maggiore di ogni carezza, e per la particolare sensibilità tattile delle labbra.
A volte stavano così, in silenzio, per lunghi minuti, regolando l'uno il proprio respiro su quello dell'altro, come per sperimentare anche grazie a ciò quella maggiore unità a cui entrambi inconsciamente anelavano.
"Mi piacerebbe potermi addormentare così con te." disse un giorno Kumar.
"Sì... penso che sarebbe bello. Ma non possiamo rischiare, lo sai. Già così stiamo rischiando abbastanza."
"Ma tu sai quando vengono per farti le lezioni, no?"
"A volte arrivano anche in altri momenti. Già un paio di volte ti sei dovuto nascondere in gran fretta sotto la pedana. Sapessi quanto mi batteva forte forte il cuore, per il timore che ti trovassero e che ti proibissero di venire qui da me."
"Lo sento, sai?"
"Che cosa?"
"Il tuo cuore che batte." gli rispose Kumar, che aveva la testa appoggiata sul suo petto.
"Sai che Azhar mi ha detto che ha notato che ultimamente sono più sereno?"
"Ah sì?"
"Io lo so perché: è solo grazie a te. E sono contento che l'abbia notato, anche se non può certo immaginare il motivo della mia serenità."
"Ma tu pensi davvero che ci impedirebbero di vederci?" gli chiese Kumar.
"Temo di sì, altrimenti, perché non mi avrebbero mai detto nulla di te? Che non abbiano parlato di me a te, lo posso capire, per timore che tu potessi dirlo ad altri, ma che senso può avere che a me non abbiano mai detto nulla per così tanti anni?"
"Valli a capire, i grandi!"
"Io credo che sono così perché si sono dimenticati di come erano quando avevano la nostra età."
"Anche noi diventeremo strani come loro? Credi che anche noi un giorno ci dimenticheremo di come siamo adesso?" gli chiese Kumar.
"Non lo so, amico mio, ma spero di no."
"Anche io spero proprio di no..."