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una storia originale di Andrej Koymasky


LA TORRE MISTERIOSA CAPITOLO 10
LA GIUSTA RETRIBUZIONE

Il piccolo e modesto corteo che scortava Ushnisha verso Dyanhapur era giunto quasi al confine con il regno. Non avevano avuto problemi particolari lungo tutto il tragitto. Ma Azhar aveva messo tutti in guardia: non dubitava che Karuna avrebbe cercato di impedire a Ushnisha di giungere a corte e sentiva perciò che la parte più difficile e pericolosa stava per iniziare.

Yash aveva suggerito di far travestire Ushnisha da donna, ma questi si era opposto con fermezza: "Che direbbero i miei futuri sudditi se la cosa si venisse a sapere? Entrare nelle mie terre travestito come un ladro, come un malfattore? Mai! Se li avessi, invece che questi abiti da monaco indosserei piuttosto abiti principeschi. Il pericolo che corro? Non me ne curo! Faremo attenzione, e se è destino che io salga al trono, giungerò a Dyanhapur sano e salvo, diversamente... sarò fermato prima."

"Abbiamo poco più di un giorno di cammino prima di giungere a Palazzo. Forse sarebbe bene che uno di noi andasse a corte per avvertire Amaravati Sitara che il principe è sulla via del ritorno e chiederle di far mandare perciò una scorta armata per accompagnarlo in questo ultimo tratto." suggerì allora Parindra.

Ushnisha accettò questa proposta e decisero che Deven e Lajila avrebbero proceduto da soli e si sarebbero recati a corte. Nel frattempo gli altri chiesero ospitalità in un monastero che sorgeva quasi a ridosso del confine e vi si fermarono in attesa. Approfittarono della loro sosta al monastero per lavarsi, finalmente, e anche per lavare i loro abiti.

Quando Deven e Lajila giunsero a corte, furono ricevuti immediatamente da Amaravati che si rallegrò alla notizia che il figlio fosse già a poco più di una giornata di cammino dal Palazzo. La maharani si recò subito dal capo delle guardie di Palazzo, che era a lei fedele, e gli chiese di mandare un drappello di soldati per scortare Ushnisha fino alla corte.

Ma quando Karuna Chandi venne a sapere della cosa, chiese a Ravindernath di mandare uomini a loro fedeli per intercettare il fratello e eliminarlo. Ravindernath si rifiutò categoricamente. Karuna allora mandò messaggi ai suoi uomini che erano appostati in quella parte dei confini, ingiungendo loro di tendere un agguato al principe e di ucciderlo.

"Non tornate senza la sua testa, o io farò tagliare la vostra!" disse loro.

Ravindernath aveva però intuito che la madre avrebbe ugualmente tentato qualcosa contro il legittimo pretendente al trono. Pertanto, quando il drappello di soldati che avrebbero dovuto scortare il principe Ushnisha lasciò il Palazzo, prese il proprio cavallo e, senza avvertire la madre, si unì a loro. Il drappello di soldati a cui si era unito Ravindernath, con Deven come guida, si avviò verso nord. Portavano con sé anche cavalli per il principe e i suoi accompagnatori. Lajila era restata a corte.

Frattanto gli uomini di Karuna, avvertiti dai suoi messaggeri mandati in segreto, avevano iniziato a convergere verso il monastero in cui era ospite Ushnisha, benché fosse nel territorio del confinante raja. Intendevano infatti intercettarlo prima che varcasse il confine e si unisse alla sua scorta di soldati, che non avrebbe potuto passare il confine in armi. Erano vestiti come cacciatori, per poter giustificare il fatto che fossero tutti armati con archi e frecce.

La scorta con il principe Ravindernath si fermò a ridosso del confine e solo Deven procedette, con due cavalli, verso il monastero per avvertire gli altri e condurli fino al punto in cui la scorta era ferma ad attenderli. Gli uomini di Karuna, che avevano spiato da lontano il drappello, seguirono nascostamente Deven e quando lo videro entrare nel monastero, tornarono un po' indietro, appostandosi lungo la strada e preparando l'agguato.

Azhar e gli altri, ringraziati i monaci per la loro ospitalità, presero la via per Dyanhapur. Deven faceva strada su uno dei due cavalli, sull'altro sedeva Ushnisha, che aveva voluto con sé, dietro di lui sullo stesso cavallo, il suo Prem. Il ragazzo si teneva lieve alla vita del principe.

Erano da poco fuori vista dal monastero che li aveva ospitati, quando gli uomini di Karuna sferrarono il loro attacco. La prima salva di frecce andò quasi a vuoto: solo una trafisse un braccio di Deven. Appena l'uomo si rese conto di che cosa stesse accadendo, lanciò al galoppo il proprio cavallo per raggiungere il drappello di soldati fedeli ad Amaravati e chiedere soccorso.

Prem si rese conto che Ushnisha, alto sul suo cavallo, era un ottimo bersaglio, e allora, stringendo le ginocchia ai fianchi del cavallo e con tutta la forza delle propria braccia, fece squilibrare Ushnisha disarcionandolo e facendolo cadere a terra; appena in tempo: tre frecce si conficcarono nel corpo di Prem che, a sua volta, cadde dal cavallo, senza lanciare un grido. Anche il cavallo fu colpito da alcune frecce e si accasciò, nitrendo alto il suo dolore.

Shudir e i monaci circondarono i due ragazzi a terra, facendogli scudo con i loro corpi, mentre Gita si lanciava a soccorrere Prem. Ushnisha a sua volta, visto il proprio amato cadergli accanto, trafitto, lo prese fra le braccia, cercando a sua volta di soccorrerlo e proteggerlo.

"Oh, Prem, mio Prem..." gli disse pieno di angoscia, mentre gli uomini di Karuna uscivano dai loro nascondigli attaccando con le sciabole i quattro monaci e Shudir, che avevano a loro volta impugnato le armi.

"Ti amo..." sussurrò Prem con un filo di voce, tentando di sorridere.

"Oh Gita, dobbiamo togliergli le frecce..." disse Ushnisha vedendola accoccolarsi accanto a loro.

"No, non toccarle... deve essere fatto da qualcuno esperto!" disse la donna facendolo fermare, "Potresti aggravare la sua situazione."

Intorno a loro infuriava la battaglia, fra grida e il rumore delle sciabole che cozzavano. Gli uomini di Karuna erano più numerosi e i monaci, nonostante facessero del loro meglio, specialmente Shudir, temevano di essere gradualmente sopraffatti.

"Amore, quelle frecce erano destinate a me..." sussurrò Ushnisha, profondamente turbato.

"E io te le ho rubate!" tentò di scherzare Prem.

Gita, le lacrime agli occhi, iniziò sommessamente a cantare una preghiera. Ushnisha capì che non potevano fare altro che pregare e allora unì la propria voce a quella della madre adottiva di Prem, mentre carezzava lievemente le guance esangui dell'amato.

Parindra ricevette un colpo di sciabola sul braccio sinistro ma continuò valorosamente a combattere. Shudir aveva atterrato due dei nemici, uccidendone uno e mozzando la mano destra a un altro e Tayib ne aveva trafitto uno, ma gli uomini di Karuna erano ancora troppo numerosi.

Dal monastero giunsero correndo e gridando alcuni monaci e servi, armati di bastoni, e pochi minuti dopo il drappello a cavallo dei soldati fedeli ad Amaravati giunse a sua volta e la battaglia immediatamente volse a sfavore degli attaccanti. In breve tutti gli uomini di Karuna furono uccisi.

Prem, frattanto, aveva perso i sensi. Ushnisha, sentendolo improvvisamente afflosciarsi fra le sue braccia, smise di cantare e chiese, con un accento di dolore nella voce: "È morto?"

Gita scosse il capo: "No... respira ancora."

A un tratto Ushnisha vide un'ombra. Si girò e vide che uno degli attaccanti che credevano morto, stava invece per calare la sua spada su Prem. Lanciando un forte urlo, Ushnisha si alzò di scatto, si scagliò, a mani nude, contro l'aggressore, cercando di fare così scudo al suo amato. Lo colpì con tale violenza da farlo barcollare. Memore delle lezioni di lotta che Shudir gli aveva dato, riuscì rapidamente a riprendere il controllo delle proprie azioni e, dopo aver fatto una finta, riuscì a piazzargli un forte colpo con un piede al plesso solare.

L'altro cadde indietro lanciando un urlo. Ushnisha gli afferrò e torse il braccio con cui teneva la spada e riuscì a fargliela lasciare; la impugnò e, con un rapido gesto e con tutte le forze, la piantò nello stomaco dell'avversario. Poi, vedendo a terra un'altra spada, la prese e la calò con forza sul collo del caduto, spiccandogli la testa. Un gran fiotto di sangue ne sgorgò e l'uomo, dopo due o tre violente contrazioni, rimase immobile, morto.

Ushnisha si guardò attorno e si chinò nuovamente sul suo Prem. In quella giunse Ravindernath che, sceso dal cavallo, andò accanto ai tre ancora a terra e, vedendo Prem trafitto dalle frecce, chiese allarmato, credendo che fosse il fratellastro: "Ushnisha... è morto? Non siamo giunti in tempo?"

"No, signore, il principe è intatto, questo è mio figlio Prem." disse Gita.

"Allora sei tu Ushnisha?" chiese Ravindernath.

"Sì, sono io. Chi sei tu, signore?"

"Sono tuo fratello Ravindernath Purujit... speravo di giungere in tempo per scortarti fino a corte, perché tu possa prendere il tuo posto."

Azhar, avendo udito le ultime parole del principe, gli chiese allarmato: "Ma tu, signore, sei il figlio di Karuna Chandi, sei il reggente..."

"Così è."

"E... dici di essere venuto fin qui per... scortare il principe Ushnisha Bhima-Vinal Choudhury fino a Dyanhapur?"

"Così è." ripeté Ravindernath, poi aggiunse, con un mesto sorriso: "Capisco il tuo stupore... Ma il trono è di Ushnisha, io non ho alcuna mira su di esso... contrariamente a mia madre."

"Ma che m'importa ora del trono... dovete salvare Prem!" disse Ushnisha in tono accorato.

I monaci e i servi, che erano accorsi per soccorrerli, proposero a tutti di tornare al monastero per far curare i feriti, mentre loro si sarebbero occupati di erigere la pira per bruciare i morti.

Prem era grave. Uno dei monaci riuscì a estrarre le frecce, incidendo le carni del povero ragazzo, ancora privo di sensi e tentando di cauterizzarle.

"Vivrà, non è vero?" chiese Ushnisha, angosciato.

"Faremo del nostro meglio per farlo vivere, ma... ma non sono un indovino. Più che cure e preghiere non posso dargli." rispose il monaco che aveva operato Prem.

Gita, con voce bassa ma sicura, disse: "Un veggente ci aveva detto che avremmo trovato un piccolo che sarebbe stato per noi come un figlio. E trovammo lui, Prem. Ci vaticinò anche che avrebbe corso un grande pericolo, ma ci disse anche che quando tutti diranno che è perso, ne uscirà, vivrà."

Ravindernath disse: "Dobbiamo tornare al più presto a corte. Potremmo lasciare qui il ragazzo, affidarlo a questi buoni monaci, e tornare a prenderlo quando sarà guarito."

"No." disse Ushnisha in tono deciso. "Io non mi separerò da lui."

"Potremo allora trasportarlo con noi?" chiese Ravindernath al monaco che aveva operato Prem.

"Se gli costruirete una comoda lettiga e lo trasporterete con molta cautela..." disse il monaco, pensieroso.

"Non correrà alcun rischio a essere mosso, trasportato?" chiese Ushnisha.

Deven intervenne: "Nulla mai si fa senza correre un qualche rischio. L'unica cosa che si può fare è cercare di ridurlo. A mio parere, non c'è molta differenza, riguardo al rischio, nel lasciare Prem qui o nel portarlo con noi, purché, come diceva il monaco, lo si trasporti su una comoda lettiga e con cautela."

"Oh, se solo Prem riprendesse conoscenza..." mormorò Ushnisha, combattuto. "Comunque... va bene, costruiamo una lettiga, e tu, Deven, fatti dare le erbe e i medicamenti di cui può avere bisogno, poi... partiremo."

Così fu fatto. Ripresero perciò il viaggio, e Ushnisha volle restare sempre accanto alla lettiga su cui Prem veniva trasportato, assistito anche da Deven e Gita. In breve passarono di nuovo il confine ed entrarono nel territorio di Dyanhapur. Procedevano lentamente, per non sottoporre l'esanime corpo di Prem a scosse e sballottamenti.

Finalmente entrarono in Dyanhapur e nel Palazzo. Mentre Ushnisha e Amaravati facevano sistemare Prem e veniva chiamato l'archiatra di corte perché si prendesse cura di lui, Karuna, appena le fu possibile, si appartò con suo figlio Ravindernath.

"Tu sei folle, folle! Sei giunto al punto di scortare Ushnisha a corte. Non capisci che così tu non salirai mai sul trono?"

"Quel che è giusto è giusto, madre. Che sovrano sarei mai stato se mi fossi macchiato del sangue di mio fratello? Qui dentro, se c'è qualcuno folle, o forse sarebbe più giusto dire perverso, sei tu. La sete di potere ti ha resa spietata, ha fatto di te..."

"Osi rimproverarmi per aver cercato di fare di te una persona potente?" gli disse la madre, furente. Poi aggiunse: "E comunque, si deve prima dimostrare che quel tale che si fa chiamare Ushnisha sia veramente chi dice di essere e non un mentitore..."

"Ma, madre, non vedi dunque che sembra il ritratto di mio padre!"

"Oh, come se fosse difficile trovare un sosia..."

"Amaravati l'ha riconosciuto come suo figlio."

"Certo, per avere lei il potere e sottrarlo a me. Come può, dopo tanti anni, riconoscere il figlio che aveva solo tre anni l'ultima volta che lo vide? Non capisci che..."

"Coloro che l'hanno allevato testimoniano per lui..."

"Gente prezzolata..."

"... e comunque hanno con sé il sigillo del padre e i messaggi da lui mandatigli."

"Come se non fosse possibile contraffarli, grazie a un abile falsario! Quanto sei ingenuo, figlio mio! Sei davvero solamente un ingenuo e un debole, tu..."

Ravindernath sorrise amaramente: "E tu vorresti che un ingenuo e un debole sieda sul trono? Forse per manipolarlo meglio?" disse e lasciata la madre, dette ordine alle guardie di non permetterle per nessun motivo di uscire dalle sue stanze.

Frattanto Ushnisha non si spostava dal capezzale di Prem. Sua madre, Amaravati, era nella stanza con lui. Quando l'archiatra uscì, Amaravati chiese a Deven di uscire anche lui.

"Finalmente sei qui, figlio mio..."

"Sì, madre. E lo devo a lui, che mi ha salvato la vita e per questo è stato trafitto dalle frecce destinate a me."

"Non mi sarei mai aspettata che Ravindernath prendesse le tue parti. Ne sono profondamente sorpresa. Evidentemente... Karuna non è riuscita a guastare il suo cuore. Ma dimmi, questo ragazzo... oltre che averti salvato la vita... che cosa è per te?"

Ushnisha la guardò chiedendosi se e quanto sarebbe stato giusto e opportuno dirle. Poi lesse negli occhi della madre una luce di dolcezza e di bontà e decise di essere completamente onesto con lei. Quindi, a voce bassa e calda, ma ferma, rispose: "È il mio amato."

"Amato..." gli fece eco la madre.

"Così è. Per me Prem è più importante della mia stessa vita."

"E tu per lui, come ha dimostrato."

"Sì, e io per lui. Questo ti disturba, madre?"

Amaravati non rispose subito, cercando di analizzare quanto sentiva, confrontando la ragione con il cuore. Poi emise un lieve sospiro e rispose: "Non potrei non amare chiunque ti ama davvero. Chi ti ama fino al punto di dare la sua vita per te."

Ushnisha annuì e sorrise lievemente, soddisfatto per la risposta della madre. Poi guardò nuovamente il volto esangue di Prem: un brivido di preoccupazione lo scosse e il suo sorriso si spense.

Nel frattempo, a corte, si stavano preparando le cerimonie per l'accessione al trono di Ushnisha, settimo maharaja di Dyanhapur della stirpe dei Choudhury.

Finalmente le cerimonie ebbero inizio. Ushnisha innanzitutto andò a pregare sulla tomba del padre, quindi, secondo gli antichi riti, fu proclamato maharaja, e ricevette l'ossequio della corte, a partire dal fratellastro Ravindernath e sua madre Amaravati.

Dopo le cerimonie, mentre Ravindernath lo metteva in guardia nei confronti della propria madre e gli diceva chi a corte era del partito di Karuna, Gita chiese urgentemente udienza.

"Ushnisha... Prem sta molto male, improvvisamente è stato assalito da una forte febbre. L'archiatra gli sta facendo prendere bagni freddi, ma..."

Ushnisha sbiancò: "Ravindernath... ancora per qualche tempo, ti prego, continua ad agire come reggente... Il mio cuore è troppo turbato per..."

"Vai fratello mio, farò del mio meglio."

Ushnisha accorse da Prem che giaceva nella sua camera da letto. Il ragazzo era stato deposto in una grande tinozza piena di acqua fresca, nudo, a parte le fasciature intrise di sangue, pus e siero.

"Come sta?" Ushnisha chiese, preoccupato, all'archiatra.

"Siamo riusciti a far scendere un poco il calore del suo corpo. Ma non è ancora fuori pericolo, signore. I cattivi umori stanno ancora spurgando dalle sue ferite."

"Che cosa posso fare per lui?" chiese Ushnisha preoccupato.

"Nulla, purtroppo, signore." rispose l'archiatra.

"Pregare, forse..." suggerì Amaravati. "Azhar-pitr e gli altri stanno pregando per la sua salute."

"Non devi temere, Ushnisha." disse Gita che era seduta accanto alla tinozza, alzando verso di lui il volto, mesto ma sereno. "Ricorda che il mendicante mi disse che avrebbe corso un grave pericolo ma si sarebbe salvato. Io ho fiducia."

L'archiatra dette ordine di estrarre Prem dalla tinozza, lo fece asciugare, tagliò via le bende e medicò accuratamente le sue ferite, fasciandole poi di nuovo.

Passarono i giorni, fra alti e bassi. Dalle ferite non usciva più né sangue né pus ma solo siero. Però Prem ancora non riprendeva i sensi. Ushnisha ne chiese il motivo all'archiatra.

"Il suo prana ora sta lavorando per sostenere il suo corpo, perciò non si può occupare della sua mente, almeno per il momento." gli spiegò il capo dei medici di corte.

E finalmente, una sera, mentre Ushnisha si era appisolato, steso accanto a Prem, sentì una flebile voce chiamarlo. Si svegliò immediatamente e si sollevò a sedere per guardare il suo ragazzo. Alla luce delle lanterne, che aveva voluto che fossero tenute accese per tutta la notte, vide che Prem aveva gli occhi aperti e gli stava rivolgendo un debole sorriso.

"Prem, mio amato!" mormorò emozionato, sfiorandogli una gota con i polpastrelli.

"Dove siamo?"

"Nella mia stanza."

"A Dyanhapur? A corte?"

"Sì, certo."

"Allora è tutto andato bene!"

"No, non tutto..."

"Perché?" chiese con un filo di voce il ragazzo.

"Perché tu sei ferito e sei stato molto male."

"Ma io mi rimetterò presto."

"Ho temuto tanto, per la tua vita."

"Non dovevi. Io sapevo che non ti avrei lasciato!" mormorò Prem facendogli un dolcissimo sorriso.

"Ma io ho temuto che malgrado te stesso, non potessi restare qui con me." disse Ushnisha e una lacrima brillò nei suoi occhi.

"Mi sento così stanco... senza forze."

"Riposa. Devi rimetterti presto e bene."

"Però... ho fame..."

Ushnisha sorrise: "Questo è un buon segno. Chiamo Gita, che dorme qui fuori, perché vada a procurarti qualcosa di adatto."

Prem annuì e chiuse gli occhi, sorridente.

Ci vollero diversi giorni perché Prem si rimettesse completamente e le sue ferite rimarginassero.

Ushnisha, finalmente sereno, gradualmente prese in mano le redini del potere, che Ravindernath gli cedette volentieri. Su consiglio di questi, allontanò dalla corte sua madre Karuna: volle donarle una bella casa con un ampio giardino, un buon appannaggio e servi, ma le proibì di lasciarla e mise suoi soldati a guardia. Propose a Ravindernath di restare a corte come suo consigliere, ma questi gli chiese di lasciarlo andare: aveva sempre desiderato viaggiare, girare il mondo e ora finalmente, sollevato da ogni incarico e senza la madre a tentare di manipolarlo, era libero.

Nominò Azhar monaco di corte, e per lui con Tayib, Parindra e Yash, fece costruire un piccolo monastero nel recinto del Palazzo, accanto al tempio in cui erano sepolti suo padre e i suoi avi. Tenne Shudir e Gita, con Deven e Lajila, come capi di tutta la servitù del Palazzo.

Quando si festeggiò il primo anniversario della sua salita al trono, Ushnisha volle che Prem fosse al suo fianco, assieme a sua madre Amaravati, in tutte le cerimonie ufficiali. Prem volle indossare i suoi usuali panni arancione dei monaci.

Quando Ushnisha gli chiese perché, Prem gli disse che intendeva prendere i voti appena avesse compiuto i venti anni.

"Ma... intendi lasciarmi?" gli chiese Ushnisha.

Prem lo guardò stupito: "No... Perché mi fai questa domanda?"

"Mah... se vuoi prendere i voti come monaco..."

"Come Yash e Parindra si amano, anche fisicamente, potrò ben continuare a essere tuo, no?"

"Ma sono entrambi monaci."

"Non vedo dove sia la difficoltà. Ne ho parlato con Azhar-pitr e mi ha detto che non ve ne sono. Ma preferisco la vita semplice ed essenziale dei monaci a quella lussuosa del cortigiano. E quando tu sarai occupato con gli affari di stato, io potrò studiare e meditare, e assisterti con le mie preghiere."

"Sia come desideri, mio amato." gli disse Ushnisha, carezzandogli lieve il petto. Poi aggiunse, "Però... vorrai continuare a condividere il mio letto come ora, anche quando avrai preso i voti?"

"Quando si fa un dono, non se ne può più chiedere la restituzione. E, tu lo sai bene, io mi sono donato a te."

"L'unica cosa che mi sta a cuore, mio amato Prem, è la tua felicità."

"E così è per me. Vedi, pensavo, questo è il mistero della vita: quando i miei genitori, per chissà quale motivo, chissà quale problema, mi abbandonarono davanti al portale del monastero della torre, quel gesto di apparente abbandono fu in realtà la mia fortuna. Forse non lo sapevano, ma mi stavano portando a te, donando a te. Sì, questo è il mistero della vita, non ha senso piangere per un apparente male quando forse ne proviene un bene."

"Bisogna accettare la vita come viene? Ma se tu, mio Prem, fossi morto per quelle frecce..."

"Avete fatto il possibile perché ciò non accadesse. E questo è stato giusto. Ma poi, se per caso fossi morto, anche da questo poteva forse venirtene un più grande bene. L'importante è fare del proprio meglio ma poi accettare che le cose vadano come devono andare, quando non dipendono più da noi."

"Tu forse hai appreso meglio di me come percorrere la Via di Mezzo. Aiuta anche me a percorrerla nel migliore dei modi, guidandomi con il tuo amore."

Prem gli sorrise e con quel sorriso gli disse più che non con un lungo discorso, e Ushnisha sentì la pace discendere nel proprio cuore.


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