Sì, è davvero un nome strambo! Chissà cosa aveva preso a sua madre per mettergli un nome così. Cioè, a dire il vero un motivo c'è... E poi, comunque, non è che al ragazzo non piaccia... ci si è abituato e poi è un nome decisamente poco banale. Però, come si diceva, è un nome strambo e anche scomodo, perché glielo lo storpiano sempre, immancabilmente.
Sì, perché si chiama Ermando! E così, o capiscono Armando, o capiscono Ermanno... e quando insiste "E-r-m-a-n-d-o!", gli dicono che è un nome che non esiste. "Come fa a non esistere, se è il mio nome?" protesta, giustamente, il ragazzo.
Si chiama, dunque, Ermando Basile ed è un figlio di puttana. Ehi, no, non nel senso che si può pensare, non è affatto un briccone, un mascalzone, al contrario è proprio un bravo ragazzo; ma nel senso letterale: sua madre, Luisa Basile, per mestiere faceva la prostituta. D'altronde anche la nonna, Vittoria Basile, faceva la puttana, perciò anche sua madre e il fratello di lei, lo zio Silvio, erano a loro volta figli di puttana. Questo, tanto per chiarire le... glorie e tradizioni di famiglia.
Quanto al suo nome... Dunque, la nonna, Vittoria Scarpelli, si era sposata con il suo magnaccia, Armando Basile. Ermando non se li ricorda: tutto quello che sa gliel'hanno raccontato sua madre e lo zio. Non ha conosciuto i nonni perché sono morti quando sua madre aveva diciannove anni, e lui aveva solo un anno. Lo zio Silvio aveva allora diciassette anni.
Beh, raccontare una storia forse non è poi così facile... uno non sa cosa dovrebbe raccontare prima e cosa dopo... Però, anche se questa storia inizia in modo un po' confusionario, forse riuscirete a seguire tutto senza annoiarvi troppo e senza farvi venire il mal di testa.
Ah, già, il nome del ragazzo. Dunque, il nonno si chiamava Armando. Il padre, invece, si chiamava Ermanno. Non era sposato con la madre, e non era nemmeno il suo magnaccia, anche se la madre a volte gli dava una parte dei soldi che si guadagnava lasciandosi scopare dai clienti, perché Ermanno si drogava e, anche se aveva un lavoretto, i soldi che si guadagnava non gli bastavano mai per alimentare il suo vizio.
Padre e madre, comunque, si volevano bene davvero. Così la madre, quando lo ha messo al mondo, mescolando il nome del nonno e quello del padre del piccino, decise di mettergli nome Ermando. Che poi è anche l'inizio e la fine del nome del padre, Ermanno Durando. Insomma, per dirla con le parole di Luisa, la madre, il piccolo avrebbe dovuto essere il meglio del padre e del nonno messi assieme. E pare proprio che sia andata come sperava. La cosa più importante, comunque, è che il ragazzetto si piace abbastanza.
Nonna Vittoria e nonno Armando, come s'è detto, erano morti tutti e due, in una qualsiasi sera di fine dicembre: qualcosa non aveva funzionato nella stufa a gas e l'alloggio era esploso... Oltre ai nonni, morì anche un tizio che stava scopando con la nonna, mentre il nonno aspettava che finissero, guardando la TV in cucina, come faceva di solito quando lei aveva un cliente.
Luisa ed Ermando abitavano da appena un mese, o forse poco più, in un altro appartamento, assieme a Ermanno e allo zio Silvio, e per questo si erano salvati. Ermando comunque era troppo piccolo, perciò non ricorda proprio niente di quel fatto, di quel periodo.
Quando la madre e lo zio Silvio se n'erano andati via da casa, avevano quasi litigato con i nonni. Ma il fatto era che i nonni non ne volevano sapere di avere l'uomo della figlia, Ermanno, per casa: non c'era stato mai buon sangue fra loro.
I problemi erano due: uno che Ermanno e Luisa non parevano avere intenzione di sposarsi e, due, che Ermanno si drogava. Eh, che ci volete fare, la nonna era sì una battona, il nonno era sì un magnaccia, ma avevano una loro "morale"... Convivenza e droga: due cose che andavano contro i loro sani principi di vita!
Il mondo è bello perché è vario, no?
Quando Luisa riceveva un cliente, lo zio Silvio, prima di mettersi a battere anche lui, portava il piccino a fare una passeggiata. Anche il padre si occupava di lui, però il più delle volte era sballato e Luisa non è che si fidasse tanto a lasciarlo con Ermanno. Però, come si è detto, i due si volevano bene. Luisa aveva cercato di farlo smettere di drogarsi; ma sì, uno mica ci può riuscire da solo, ci vuole una comunità; purtroppo però Ermanno non ne voleva sapere di andarci.
Ermando ricorda pochissimo il padre, e più grazie alle foto che altro, perché, poveretto, Ermanno è morto per un'overdose, o forse una partita tagliata male, chi sa, quando Ermando aveva solo quattro anni. Lo trovarono steso a terra davanti al portoncino di casa, stecchito.
Ermando, invece, ricorda bene la madre. Secondo lui, era bella... e questo che non è solo perché era sua madre: lo dicevano in tanti, e mica solo i suoi clienti o lo zio Silvio. Comunque secondo Ermando: "modestia a parte, tutti noi Basile siamo sempre stati bella gente!" come affermava spesso.
Riguardo al fatto di essere il figlio di una prostituta... nonostante non pochi storcerebbero il naso solo all'idea, compresi quelli che la pagavano per sfogarsi con lei... e nonostante parecchi dicessero di Ermando "poveretto...", al piccolo non ha mai creato nessun problema, forse perché sapeva che sua madre gli ha sempre voluto bene. O forse semplicemente perché era una... tradizione di famiglia.
D'altronde, certe donne che si fanno scopare solo dal marito, regolarmente sposate in chiesa o in municipio, però senza amarlo proprio per niente, ma solo perché è ricco e gli dà una bella vita, secondo Ermando non sono altro che prostitute che hanno un unico cliente. E, sempre secondo lui, quelle donne che mettono le corna al marito a ogni occasione, anche se non lo fanno per soldi, non è che valessero più di sua madre: per Ermando erano semplicemente prostitute che lo fanno gratis.
Il piccolo non ha mai capito perché un lavoratore può vendere le sue mani o la sua testa o insomma una qualsiasi parte del suo corpo al padrone, se è un dipendente, o ai clienti se è un libero professionista, e non c'è assolutamente niente di male in questo, ma vendere "quella" parte del corpo sì! Non fanno anche loro mercato del proprio corpo? Ma per la gente "benpensante" vendere un'ora di sesso è una cosa sporca. Boh?
Certamente, Ermando pensava che avrebbe voluto che sua moglie, quando l'avesse, stesse con lui, e solo con lui, e per amore. Certo che sarebbe stata una cosa giusta e bella. Il ragazzetto spesso si chiedeva: "Ma l'uomo, cioè non il maschio, ma l'essere umano, è veramente monogamo o no? A me sa di no... Quello che lo rende monogamo, eventualmente, può essere solo l'amore, perché allora, se c'è amore da tutte e due le parti, mica ci può essere posto per nessun altro."
Va beh, scommetto che vi state stufando, con queste ciance. Lo so che pensare sulle cose serie è una noia per tanti, scusatemi.
Il padre e la madre di Ermando, come si è detto, si volevano bene. Però Ermando si è chiesto tante volte se si sono veramente amati o no... anche se forse no. Il padre era troppo sballato dalla droga, ne era troppo schiavo per amare veramente. E chi non è libero, non può amare. Libero dentro la testa, si capisce.
E la madre... era veramente libera, sua madre?
Cioè, per essere chiari, nessuno la obbligava a fare il mestiere che faceva, né i nonni, né Ermanno, il padre di Ermando.
Una volta, quando il piccolo aveva otto anni o giù di lì, l'aveva chiesto a Luisa.
"Mamma, ma perché tu fai la prostituta?"
"E che ne sai, tu?" aveva chiesto Luisa, presa in contropiede da quella domanda.
"E dai, mamma... lo so perché ricevi quei signori quando io non sono a casa. E che se vengono quando sono a casa, è per quello che mi mandi fuori con lo zio Silvio o con papà... Mica sono più un bambino, no?"
"Sì che sei ancora un bambino, Ermando."
"Beh, ma mica m'hai risposto."
"È un lavoro come un altro."
"Mica è vero: a scuola mica posso dire o scrivere nei pensierini che mamma fa la puttana, no?"
"Certo che no, ci mancherebbe altro... Ma cosa scrivi nei pensierini, allora?"
"Che fai la dattilografa..."
"La dattilografa? E perché?"
"Perché! Battono tutt'e due, no? Anche se in un senso diverso..." ridacchiò Ermando, poi chiese, nuovamente serio, "Ma a te ti piace fare il lavoro che fai?"
"Tutti i lavori hanno il lato brutto e quello bello."
"Ma nel tuo lavoro... c'è più il lato brutto o quello bello?"
Luisa non gli rispose, face semplicemente le spallucce. Però abbassò gli occhi e allora Ermando capì che forse erano di più i lati brutti. Poi, Luisa fece un sospiro e disse al figlio: "Ho cercato di non farti mai mancare niente."
"Mica lo dicevo per me."
"Ti dispiace, Ermando, che faccio quel lavoro?"
"Se ti dispiace a te, certo che mi dispiace."
"No... a me non mi dispiace... E poi... è l'unico lavoro che so fare bene."
"Ma quando sono grande, se guadagno bene e se tu vuoi smettere, mamma, ci posso pensare io a te."
"Vedremo... adesso pensa a crescere... e a studiare, se davvero vuoi guadagnare bene. A me sarebbe piaciuto poter studiare..."
"Cosa?"
"Non lo so... Studiare... Qualsiasi cosa."
Però Ermando non ha potuto mantenere la promessa fatta alla madre, perché circa un anno dopo questo colloquio, se ne è andata anche lei... Ma di questo vi parlerò dopo.
Sì, davvero, non so esattamente come raccontarvi questa storia. Beh, che volete, io non sono uno scrittore, non conosco tutti i trucchi del mestiere per mettere qualcosa nero su bianco in modo interessante. E poi non ho ancora esperienza, sono ancora troppo giovane e vado ancora a scuola. Certo, mi piacerebbe diventare uno scrittore, vado piuttosto bene in italiano a scuola... Boh? Vedremo.
Anche perché questa in realtà, mica è la mia storia, ma piuttosto quella dell'altro figlio di puttana che è mio zio Silvio e anche dei suoi amici. Logicamente c'entro un po' anche io, come vedrete. Per questo penso che è meglio se la racconto in terza persona, anche se adesso mi sono tradito.
Comunque in questa prima parte della storia che voglio raccontare, volevo anche presentarmi, parlare un po' di me e della mia famiglia. Che casino... Un po' l'ho già fatto, ma forse è meglio che ricomincio da capo.
Dunque, vediamo...
Allora, mio nonno, Armando Basile, faceva il magnaccia, come ho già detto. Solo che pare che si fosse preso una cotta per una delle sue ragazze, e che perciò a un certo punto se l'è sposata, cioè nonna Vittoria, chiamata Vichi... o dovrei scrivere Viky? Boh? Comunque, se l'è sposata, in chiesa e con tanto di velo bianco, però ha continuato a farle fare il mestiere.
A un certo punto i nonni hanno deciso che volevano avere un figlio. Così nonna Viky è rimasta incinta ed è nata mia madre, Luisa Basile. Pare che nonno ci sia rimasto un po' deluso, perché lui sperava di avere un maschio, comunque, quando nonna Viky doveva lavorare, si prendeva lui cura di Luisa e le cambiava pure i pannolini e le preparava la pappa eccetera. Sì, perché nonno Armando, come lavoro, faceva solo il magnaccia, perciò aveva più tempo libero di nonna Viky che invece doveva lavorare sodo.
Non è che un magnaccia non abbia niente da fare e sfrutti solo le donne che lavorano per lui: deve proteggerle, deve farle curare quando stanno male, insomma, deve occuparsi seriamente di loro, mica solo andare a ritirare la sua percentuale delle marchette che fanno, per lo meno se è un magnaccia serio. Un po' come un ladro serio non dovrebbe mai rubare ai poveri, no? Cioè, voglio dire, anche nelle cose proibite, a torto o a ragione, dalla legge, se uno le fa, deve cercare di farle... diciamo onestamente.
Come ho detto, io non me li ricordo, i nonni, ma mamma me ne aveva parlato parecchio. Con loro aveva un rapporto strano, da una parte gli voleva bene, dall'altra non li reggeva; e i nonni, per certe cose le lasciavano magari pure troppa libertà e per altre le piantavano delle grane incredibili, magari per cose che, almeno a sentire mamma, non capiva perché ci si impuntassero tanto.
Ma tutti sanno che, specialmente fra adolescenti e genitori i rapporti sono quasi sempre piuttosto difficili. Almeno, si dice che è così, io non ho avuto modo di verificarlo sulla mia pelle. Qualcuno dice che è colpa degli adolescenti che passano un periodo di ribellione, altri dicono che è colpa dei genitori che non si rendono conto che il figlio non è più un bimbetto ma sta crescendo... Boh? Sia come sia...
Io non ho avuto tempo per ribellarmi a mia madre... mica dico che l'avrei fatto, ma forse sì, perché penso di aver passato un'adolescenza per così dire "normale". E forse invece no, perché dopo tutto mamma mi lasciava piuttosto libero di fare quello che volevo. Forse perché era troppo presa dal suo mestiere, forse perché non è che io facessi troppe cazzate, o magari semplicemente perché era il suo carattere.
Mica che non si curasse di me. Ma quando aveva da darmi un consiglio, un parere, o da farmi una critica, me lo diceva chiaro e tondo un paio di volte, spiegandomi meglio che sapeva il suo punto di vista, poi mi lasciava fare senza continuare a rompere come pare che fanno tante madri e tanti padri. Almeno a sentire parecchi dei miei compagni di classe.
Papà, invece... Ermanno Durando, come vi ho detto. Quando è morto aveva solo venticinque anni, e io quattro. Viveva da cinque anni con mamma. A vedere le sue foto, era proprio un bell'uomo, o forse sarebbe più giusto dire un bel giovanotto, un bel ragazzo... A sentire mamma, l'unico suo difetto, l'unico suo vizio, era che non si sapeva liberare dalla droga. Non voleva o non sapeva... Chi lo sa?
Ai nonni, papà non andava proprio giù, sia perché si drogava, sia perché diceva che sposarsi non ha senso, che è solo una presa per il culo inventata dai borghesi. Papà ogni tanto lavorava, faceva il gelataio ambulante e, diceva mamma, oltre a vendere gelati, forse spacciava anche droga, per pagarsi quella che consumava. Però lavorava solo col buon tempo e perciò, nei mesi in cui non poteva andare in giro col suo carrettino, era mamma che lo manteneva.
Si erano conosciuti una notte, scappando a una retata della polizia, poi erano andati insieme in una discoteca e pare che lì sia scoccata la famosa scintilla... quello che la gente chiama "amore a prima vista". Mamma faceva già il mestiere da circa un anno, papà si drogava da almeno tre anni. Diceva mamma che papà scopava proprio bene... e che quando non era in astinenza, era d'un dolce e d'un tenero da farti sentire in paradiso.
Quando era in astinenza, invece, diventava un rompipalle terribile, però, diceva mamma, non è stato mai violento con lei o con me. Al massimo scassava una sedia o qualche stoviglia, o si chiudeva al cesso e sacramentava ad alta voce.
I nonni comunque volevano a tutti i costi che mamma lo mollasse, e le rompevano l'anima e così litigavano spesso, perché mamma non ci sentiva proprio da quell'orecchio.
Zio Silvio teneva le parti di mamma: si sono sempre sostenuti a vicenda e si sono sempre voluti bene. E così, un giorno, hanno deciso di andarsene via da casa, e hanno preso un appartamentino, dove per un po' abbiamo vissuto tutti e quattro: mamma, papà, io e zio Silvio. Io credo che zio Silvio avesse una mezza cotta per papà... Ah, sì, perché zio Silvio, oltre a essere come me e mamma un figlio di puttana, è pure frocio.
Però non credo che abbiano mai fatto niente, zio e papà. Sia perché pare che a papà non gli andasse di farlo con un maschio, sia perché zio non voleva fare un torto a mamma... Quando ho chiesto a zio Silvio, lui mi ha detto che non era vero che gli piaceva papà in quel senso... che erano solo amici... Però mi è sembrato che è arrossito un po', quindi forse m'ha detto una bugia.
Poi zio Silvio, proprio poco prima che papà morisse, è andato a vivere a casa di un suo amico che faceva marchette come lui. Ma di zio Silvio vi racconto meglio dopo.
Lì dove stavamo di casa, casa nostra voglio dire, non casa dei nonni, una volta erano case per gli operai, costruite di là dal fiume fra la prima e la seconda guerra mondiale; adesso sono più che altro case di immigrati, extracomunitari o gente sballata come eravamo noi. Quindi ognuno si faceva i cazzi suoi e se ne fregava degli altri e di quello che facevano, almeno finché non rompevano troppo.
Sia mamma che zio Silvio, quando andavano al lavoro, dovevano solo attraversare il ponte e andare al parco: zio allora si addentrava per i vialetti semibui, luogo di ritrovo dei gay, mamma invece andava lungo il corso che delimita il parco dalla parte opposta del fiume, dove battevano le prostitute e i travestiti.
Nessuno dei due portava quasi mai in casa i clienti, a meno che già li conoscessero molto bene e che non avessero un loro posto né avessero voglia di pagare una stanza in una pensioncina compiacente che c'era a due passi dal parco. Comunque capitava davvero abbastanza di rado. Così restavo solo in casa con papà, che la sera non usciva e stava con me. Con le forbici e i colori e la colla, mi ha raccontato mamma, papà mi costruiva dei giochini... peccato che non ne ho più nessuno.
Papà, logicamente, dormiva con mamma nella loro camera; io invece dormivo con zio Silvio nel tinello, dove c'era un letto da una piazza e mezzo che si tirava giù da un armadio, già bell'e fatto.
Certo, in quattro si stava abbastanza stretti e pure scomodi e c'era sempre un gran casino in casa, però mi piaceva. E soprattutto l'affitto costava abbastanza poco. Poi zio Silvio se n'è andato ad abitare da Svevo, ma questo ve lo racconto dopo. Così io dormivo da solo nel grande letto del tinello e mi sentivo un po' solo. Ma poi papà è morto, e allora mamma mi ha preso a dormire nel suo letto matrimoniale, con lei. E mi sentivo meno solo.
Quando papà morì, mamma era di nuovo incinta di lui, ma per il dolore ha perso il piccino. Sì, i dottori dissero che era un maschietto, sarei stato contento di avere un fratellino. Come ho detto, in quel tempo avevo quattro anni, e tutte queste cose le so soprattutto per quello che mi hanno raccontato in seguito sia mamma sia lo zio Silvio.
Io, se guardo indietro, penso di aver avuto un'infanzia tranquilla, anzi, piuttosto felice. Certo, quando è morta anche mamma, all'improvviso mi sono sentito un gran vuoto dentro... come si dice in questi casi, solo come un cane. Per fortuna zio Silvio ha deciso di prendersi cura di me. Mi ha sempre voluto un gran bene, lo zio, e così stiamo ancora assieme.
Lui, come prima faceva mamma, vuole che io studi. Mica che mi dispiace, anzi... Sia mamma che zio hanno solo studiato per il tempo della scuola dell'obbligo e poi hanno mollato. Soprattutto perché la mattina avevano bisogno di dormire, dato che il loro lavoro era soprattutto di notte. Io, come ho detto, mi piacerebbe diventare uno scrittore. Beh, non giudicatemi da questo che state leggendo, lo so che devo ancora fare un sacco di strada.
Ma se uno vuole diventare uno scrittore, deve cominciare a scrivere, no? Un po' come uno che vuole diventare un atleta: se non si allena, non combinerà mai niente di valido. O come uno che vuole diventare un musicista: se non prova e riprova non sarà mai un musicista, anche se all'inizio certamente non vale granché.
Fino a ora ho scritto solo cose brevi, così come mi prendeva il ghiribizzo, questa è la prima volta che provo a scrivere qualcosa di lungo. Non lo so cosa ne verrà fuori, magari fra qualche anno sarò io il primo a dire che quello che sto scrivendo non vale un cazzo.
Va beh! Mi pare di aver menato abbastanza il cane per l'aia.
Perciò, adesso entriamo nel vivo della storia. Ho deciso che la racconterò ricominciando a usare la terza persona come avevo cominciato a fare, anche quando c'entro io... Per prima cosa devo raccontarvi bene chi sono lo zio Silvio e gli altri protagonisti di questo mio racconto.
Passate dunque ai prossimi capitoli, e spero che non sarete troppo severi nel giudicare questa mia prima storia lunga... per favore!