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una storia originale di Andrej Koymasky


FIGLI DI PUTTANA CAPITOLO 5
SVEVO, UN RAGAZZO RIBELLE

Svevo Paracco viene da una famiglia assai importante. È nato da un influente uomo politico, Vittorio, che è stato anche sottosegretario agli interni per una legislazione, e da sua moglie Carola Stafutti, una ex hostess dell'Alitalia.

Svevo è figlio unico, è un ragazzo ambizioso e ha una notevole fiducia in se stesso. Molto protettivo nei confronti dei suoi amici, talvolta anche troppo, ha più bisogno di lodi e di riconoscimenti che d'amore. Spesso finisce per imporsi su tutti con il suo spirito di iniziativa e la sua grande autorità. Gli piace parlare, e soprattutto ascoltarsi, ed è sempre molto sensibile ai complimenti.

I genitori si sono sempre presi cura di lui, a volte forse anche in modo un po' troppo ossessivo, cercando di regolare e pianificare tutta la sua vita. Per il suo bene, logicamente.

Ma quando Svevo giunse alla pubertà, all'adolescenza, iniziò a ribellarsi, a opporsi ai genitori. Niente di grande, di speciale, se non una serie di piccole "sfide", dal saltare qualche giorno di scuola, al tornare a casa molto tardi, al mettersi a fumare qualche spinello in casa... Non è che gli piacesse molto fumare "l'erba", lo faceva quasi solo come sfida nei confronti dei genitori.

Padre e madre non lo prendevano mai di punta, cercavano di esercitare su di lui una pressione psicologica, un po' blandendolo, un po' disapprovandolo... e trattandolo ancora da ragazzino. Più quello che faceva sembrava non scalfire affatto i genitori, più Svevo sentiva il senso di ribellione crescere dentro di sé.

Una frase odiava sopra a tutte, una frase che a volte gli veniva ripetuta sia dal padre sia dalla madre come conclusione delle loro discussioni: "Quando sarai grande, capirai."

"Ho sedici anni, cazzo! Quand'è che non sarò più un bambino, per voi?" protestò una volta Svevo.

"E non dire parole grossolane che non servono proprio a nulla. Quando ci dimostrerai di essere cresciuto anche intellettualmente, smetteremo di controllarti e di dirti come ti devi comportare. Non è certo ribellandoti ai nostri insegnamenti che ci dimostri di stare maturando." gli rispose il padre, calmo e tranquillo come al solito.

Quando, entrando nell'adolescenza, iniziò a sentire i primi stimoli sessuali e, istruito da un compagno, imparò a masturbarsi, si accorse vagamente di non sentirsi attratto dalle compagne ma piuttosto da alcuni compagni... e si chiese se per caso fosse gay. Non si dette una risposta, dicendosi che, dopo tutto, con il tempo avrebbe avuto una verifica di quello che, a suo parere, non era comunque un problema.

Un sabato tornò a casa molto tardi, dopo aver passato la serata con gli amici. Erano stati in un paio di discoteche in collina. Gli amici avevano quasi tutti la ragazza, a parte lui a cui non interessavano, perché le trovava stupide e sfacciate. Aveva forse bevuto un po' troppo, e si sentiva su di giri. Passò rombando con la sua moto il ponte sul fiume e prese il viale lungo il parco.

A un tratto il motore cominciò a perdere colpi, la moto a sussultare quasi come fosse un cavallo imbizzarrito, poi di colpo il motore morì. Inutilmente tentò di rimetterla in moto, dopo averla portata accanto al marciapiede: non dava più nessun segno di vita! Era ancora abbastanza lontano da casa, e dentro di sé lanciò due o tre bestemmie.

Si chiese cosa potesse fare... Spingere la moto fino a casa... oppure lasciarla lì, incatenandola a un lampione e tornare il giorno dopo a vedere? Si guardò attorno, ma a parte i lampioni del viale, non c'era una sola luce che gli dicesse che vi potesse essere un locale aperto... d'altronde era notte fonda. Notò, dal lato del viale verso il parco, ombre muoversi fra un lampione e l'altro, lentamente, quasi sul ciglio della strada. Si ricordò che si diceva che quello era uno dei posti dove battevano le prostitute e i travestiti. Ma nessuno pareva fare caso a lui.

Spinse la moto sul marciapiedi, accanto a uno dei lampioni e ve la fissò con la catena. Quindi si avviò verso casa, chiedendosi quanto ci avrebbe messo a raggiungerla. "Ma che me ne frega, tanto domani posso dormire quanto cazzo voglio!" si rispose a mezza voce.

Era una serata calda, la camicia aperta sul petto glabro, i jeans a vita bassa da cui emergevano i boxer a rigoni verdi e neri, gli stivaletti bassi di morbida pelle nera, i capelli sparati con il gel e la pelle abbronzata come sempre, camminava sul bordo del marciapiedi, le braccia larghe, mettendo un piede davanti l'altro, fingendo di fare l'equilibrista. Poi passava sulle zebre, saltellando in modo di mettere i piedi solo sulle strisce bianche.

S'era allontanato di un solo isolato, quando udì, alle sue spalle, il rumore basso di un motore d'auto, come se andasse in prima e senza accelerare. "Scommetto che è uno che cerca una puttana!" si disse divertito, senza fermarsi né girarsi.

L'auto gli si affiancò e si fermò: era una Lamborghini decappottata color azzurro elettrico, con gli interni in velluto rosso bordeaux. La guidava un tizio sui quarantacinque, cinquanta anni che lo guardò e gli fece un sorrisetto.

"Ciao, bello, sei libero?" chiese il tizio con una voce che forse voleva essere suadente.

"Certo, libero come l'aria, anche se in libertà vigilata!" Svevo rispose, allegramente. Ma che cazzo di domanda!

"E quanto vuoi?"

Quanto voleva? Per cosa? Poi di colpo capì: l'aveva preso per un prostituto, per una marchetta. La cosa gli sembrò divertente. Altro che marchetta, lui ancora non aveva neppure mai scopato! Guardò meglio il tizio: aveva grandi occhi scuri, capelli corti, castani, pettinati indietro con cura, indossava abiti sportivi ed evidentemente costosi. Un tizio pieno di grana.

Sarà stato a causa dell'alcool che gli aveva messo addosso una certa euforia e gli faceva sentire la testa leggera, sarà stato perché pensò che quella sì che sarebbe stata una trasgressione... sentì che gli si stava presentando un'occasione nuova e forse eccitante. Non ci aveva mai pensato, si era sempre accontentato, fino a quel giorno, di masturbarsi a letto, divertendosi a lasciarne i segni sulle lenzuola in modo che la cameriera capisse. Ma ora la prospettiva lo divertiva, perciò sorrise.

Il tizio sembrava gradevole, aveva una faccia pulita con un'espressione tranquilla, a parte la luce che gli ardeva negli occhi scuri.

"Allora, quanto vuoi?" insistette l'uomo con una voce calda e profonda.

Il motore ronzava lieve, la via era deserta.

"Duecentomila." rispose divertito Svevo chiedendosi se fosse tanto o poco. Non ne aveva davvero idea.

"Duecento? Sei caro..."

"Prendere o lasciare." rispose deciso, ma con un sorrisetto.

"Cosa fai, per duecentomila?"

"Qualsiasi cosa. Ma solo se hai un posto."

Svevo si stava davvero divertendo e si sentiva via via più audace e sicuro di sé. Inconsciamente, si passò una mano sul petto, scostando così di più i lembi della camicia.

"Salta su, dai." gli disse l'altro, aprendo la portiera.

"Poi mi riaccompagni, no?"

"Certo."

Salì, sedette e chiuse la portiera; l'altro inserì la marcia e partì. Abitava al di là del fiume, in una villetta a metà costa sulla collina, dopo aver percorso diversi tornanti. Mentre lo seguiva in casa, lo osservò meglio. Era alto come lui, un corpo snello, tutto sommato niente male. Beh, dato che quella era la sua prima volta, almeno che fosse con un tizio decente. La villetta era arredata con molto lusso, in modo un po' classico. Il tizio lo fece accomodare su un divano e gli offrì da bere.

"Come ti chiami?" gli chiese sedendogli accanto.

"Stefano." mentì Svevo.

"Allora, Stefano, comincia a spogliarti: voglio vedere se sei ben fatto come pare."

Svevo sorrise: "Non credo proprio che ti potrai lamentare." disse e iniziò lentamente a togliersi tutto di dosso, in una specie di spogliarello, guardandolo divertito. Rimase con i soli boxer indosso.

"Via anche quelli." ordinò l'uomo.

A Svevo era già capitato di trovarsi nudo con i compagni nelle docce della palestra, ma quella volta era diverso ed ebbe un attimo di esitazione. Ma poi si calò anche i boxer lasciandoli scivolare sulle caviglie. Il tizio guardò il suo membro ancora morbido e il suo sorriso si accentuò un poco.

"Girati, fammi vedere anche il culo, Stefano." Lo guardò poi disse: "Vieni qui, qui vicino a me."

Svevo obbedì, ora sentendosi meno sicuro di sé. L'altro gli palpò il sedere, gli carezzò il ventre, poi gli prese i genitali fra le mani, palpandoli lievemente. Svevo si sentì fremere e percepì che gli stava per venire un'erezione. Era la prima volta che qualcuno lo toccava lì ed era piacevole.

L'uomo si alzò, tolse dal tavolo quel che c'era sopra e gli disse: "Sdraiati lì, le gambe contro il petto e il culetto sul bordo del tavolo."

Svevo obbedì, anche se un po' esitante: quasi non credeva di essere davvero lì, nudo davanti a uno sconosciuto, pronto a fargli sfogare le voglie come una qualsiasi puttana. L'altro iniziò a massaggiare lievemente l'ano di Svevo con un dito, poi se lo bagnò di saliva e glielo infilò cautamente dentro. Svevo ebbe un lieve sussulto.

"Mmhh... sei bello stretto, ancora... Non ne hai presi tanti qui dentro, vero? Molto bene."

Stava per dirgli che non ne aveva mai presi, che non l'aveva mai fatto prima, ma rimase in silenzio. L'uomo si allontanò e Svevo sentì che apriva un cassetto. Poi lo vide tornare e sentì che gli stava spalmando qualcosa di scivoloso sul foro, poi l'uomo vi infilò un dito e lo agitò lievemente. Svevo trovò che era abbastanza gradevole. L'uomo ripeté l'operazione con due dita, poi con tre. Svevo capiva che lo stava preparando per ben altra invasione e attese quasi trattenendo il respiro. Lentamente il suo membro si rizzò.

"Ti piace, eh?" disse l'uomo con un sorrisetto che Svevo non notò, perché aveva chiuso gli occhi. "Molto bene."

Poi l'uomo smise le sue manovre. Svevo riaprì gli occhi e vide che si stava denudando. Aveva un corpo asciutto, muscoloso e piuttosto peloso. Pensò divertito che quell'uomo era la prova vivente che l'uomo discende dalle scimmie.

Sollevò un po' la testa e vide che l'uomo aveva il membro già dritto e duro, che si ergeva da un folto cespuglio di peli castani. Lo vide infilarsi un profilattico, spalmarci sopra altro lubrificante, poi gli si addossò, puntandogli il duro palo sul foro.

L'uomo fece un sorrisetto e gli chiese: "Pronto?"

Svevo annuì e trattenne il respiro. L'altro iniziò a spingere. Svevo sentiva l'anello dello sfintere iniziare a cedere, allargarsi, e lo sentì iniziare a entrare in lui. Chiuse di nuovo gli occhi e trasse un lungo, basso e tremulo respiro. Quel palo duro e caldo lo stava lentamente invadendo, riempiendo. Lo sentì entrare, lento ma inesorabile, in una lunga e piacevole avanzata, finché percepì il pube dell'uomo premere contro le sue natiche. Allora l'uomo si fermò. Svevo emise un altro breve sospiro e riaprì gli occhi. Il tizio aveva un'espressione compiaciuta, concentrata, eccitata.

"Ti piace?" gli chiese.

Svevo annuì appena. L'altro allora iniziò a ritrarsi un poco, poi ad avanzare di nuovo. Andava e veniva con calma, con movimenti ritmici, calmi e forti, che però divenivano via via più rapidi e vigorosi. Poi l'uomo gli pose le dita sui capezzoli e, continuando nel suo saldo va e vieni, glieli sfregò ad arte. Svevo mugolò. Si disse che se avesse saputo prima che era così piacevole, non avrebbe atteso tanto per farsi fottere in culo.

E improvvisamente l'uomo accelerò, dette alcuni forti colpi che fecero spostare il tavolo e si scaricò in lui... e anche dal membro di Svevo zampillò il suo piacere. Quando infine l'uomo si ritirò da lui, Svevo provò quasi un senso di vuoto. Poi l'altro prese alcuni cleenex per ripulirsi e gliene porse un po'. Anche Svevo si ripulì. Quindi scese dal tavolo e si rivestirono tutti e due, in silenzio.

"Ottimo, è stato un vero piacere fotterti." gli disse l'uomo quasi in un tono formale, come si fa dopo una presentazione, guardandolo compiaciuto. Poi prese il portafogli, contò quattro biglietti da cinquantamila e glieli porse. "Te li sei guadagnati. Se batti sempre lì, magari ci rivediamo."

L'uomo lo riaccompagnò fino a due passi da casa sua, lo salutò e se ne andò. Solo allora Svevo si rese conto che non sapeva nemmeno come l'uomo si chiamasse. Fece spallucce e andò verso casa. A ogni passo, sentiva un lieve bruciore al sedere, però si sentiva euforico. Rientrò in casa. Stava per andare in camera sua, quando sentì la porta della camera dei genitori aprirsi.

"Svevo! Ti pare questa l'ora di rientrare?" gli chiese il padre, in tono severo.

Il ragazzo guardò l'orologio e si accorse che erano quasi le cinque del mattino.

"Mi si è rotta la moto e sono rientrato a piedi." si giustificò.

"Non inventare scuse! Cosa hai fatto, fino a quest'ora? Dove sei stato?"

"No che non sono scuse... Comunque... sono stato a casa di un tizio a scopare!" gli rispose in tono di sfida.

"Un tizio?"

"Sì, un uomo. Me lo sono fatto mettere in culo!"

"Non mi pare proprio il caso che tu faccia dello spirito di bassa lega..." iniziò a dire il padre accigliato.

"Non scherzo proprio per niente, papà. Guarda, m'ha pagato duecentomila lire, per scoparmi! Ho fatto una marchetta." gli disse sventolando i quattro biglietti da cinquantamila lire che l'uomo gli aveva dato.

"Ma... t'ha dato di volta il cervello? Come sarebbe a dire che hai... Cosa t'ha preso? Sei solo capace di fare cavolate, tu? Non sono i soldi che ti mancano, no? Possibile che dopo tutto quello che facciamo per te... Da quanto è che fai queste... queste... queste cose?" chiese il padre, sbalordito.

Svevo fece spallucce e rispose, con un sorrisetto di sfida, mentendo: "Un bel po'..."

"Che tu... se tu sei... Ma una cosa è se... se ti diverti con un amico a fare certe cose... insomma se... ma che bisogno hai di prostituirti? Cosa mai t'abbiamo fatto mancare?"

"Niente. No, proprio niente. Ma perché dovrei farlo gratis se c'è chi è disposto a pagare?"

Dalla camera da letto venne la voce della madre: "Che c'è, Vittorio? Vi sembra questa l'ora di stare a discutere in corridoio?"

"C'è che nostro figlio fa il prostituto!" rispose il padre ancora scosso per la scoperta.

"Beh, quanti di voi uomini non sono mai andati con una prostituta?" disse Carola apparendo sulla porta della camera, avvolta nella lunga vestaglia di seta, gli occhi assonnati ma i capelli perfettamente in ordine.

"No, mamma, non sono andato con una prostituta. Sono io che... mi piace prostituirmi." le disse Svevo in tono soave, guardandola con una faccia da schiaffi.

"Oh, bon dieu! Cos'è questa, la tua ultima trovata?" gli chiese Carola, appoggiandosi contro lo stipite della porta. "D'accordo che sei un bel ragazzo, ma arrivare al punto di farti pagare dalle donne per..."

"No, no, non da donne, ma da uomini, mamma." la corresse Svevo, divertito.

"Uomini? Mon dieu! Vorresti dire che tu... che tu sei... gay?" chiese la donna spalancando gli occhi e alzando di un'ottava la voce all'ultima parola.

"Eh, pare di sì. Non siete nemmeno riusciti a fare un figlio 'normale', a quanto pare." disse Svevo in tono di presa in giro. "Beh, io adesso vado a dormire, m'ha stancato 'sta nottata di sesso."

Mentre si spogliava per mettersi a letto, sentì le voci, basse, calme, dei genitori che sicuramente stavano discutendo sull'ultima rivelazione avuta. Sorrise. Mentre si stendeva avvertì nuovamente un lieve senso di fastidio fra le natiche e sorrise di nuovo. "Mi abituerò..." mormorò a bassa voce, mentre si rincantucciava sotto il lenzuolo che carezzava piacevolmente il suo corpo nudo.

Questa volta, per lo meno, era riuscito a creare una certa sensazione di sorpresa nei suoi solitamente imperturbabili genitori. Si addormentò quasi subito, sentendosi soddisfatto.

Nei giorni seguenti i genitori cercarono di far "ragionare" Svevo, di convincerlo che non avevano nulla da dire, da condannare se Svevo fosse realmente stato gay, ma che davvero non potevano accettare che si prostituisse. Non aveva senso, non c'era nessuna ragione perché si degradasse così!

E allora il ragazzo, per cui quell'unica casuale avventura era stata null'altro che una semplice "nuova esperienza", poco più di un divertimento, ne fece il nuovo mezzo per contrastare i genitori, quindi insisté che quello era il mestiere che voleva intraprendere, che quella era la sua "vocazione".

Le discussioni si susseguirono per parecchi mesi. Quando un giorno Svevo dichiarò che magari una volta o l'altra se un cliente che gli interessava non aveva un posto dove andare, l'avrebbe portato a casa, per la prima volta i genitori si opposero con determinazione.

Seguirono altre discussioni, sempre più tese anche se mantenute nei limiti di un confronto "civile", finché, essendo ormai Svevo diventato maggiorenne, Vittorio decise che, se voleva vivere a modo suo, e in quel deprecabile modo, sarebbe stato meglio che fosse andato a vivere per conto suo.

Poiché fra le loro proprietà c'era anche una villetta fatta costruire all'inizio del '900 dal nonno materno di Svevo, appena poterono liberarla non rinnovando il contratto d'affitto con la famiglia che vi abitava, Vittorio e Carola la fecero rimettere a posto e vi fecero trasferire Svevo, a cui l'assegnarono con una donazione.

Era una villetta a due piani in stile eclettico, costruita in un'assurda e pure non spiacevole mistura di stile gotico, romanico, moresco e rinascimentale, con un ampio giardino posteriore. Inoltre Vittorio assegnò alcuni alloggi affittati al figlio perché ne ricavasse una rendita mensile, in modo che potesse provvedere alle spese, comprese quelle per gli studi. In cambio, gli chiese solo di essere molto discreto, per non coinvolgere nelle sue attività il "buon nome" della famiglia.

Poiché quella villetta recava la scritta, eseguita in mosaico su un pilastro del cancello d'accesso, "Villa Arduino", Svevo decise che da quel giorno in poi si sarebbe fatto chiamare Svevo Arduino.

Ma la villetta, con le sue quattro camere da letto al primo piano, era anche troppo grande e troppo vuota per Svevo. Dopo poco che vi si era istallato, decise perciò che doveva trovare qualche gradevole inquilino. Senza fretta, e magari uno giovane come lui, gay come lui, con cui potesse anche divertirsi a letto, e che fosse disposto a fare assieme a lui le pulizie di casa.

Fra quanto ricavava dagli affitti degli alloggi che il padre gli aveva intestato e quello che aveva iniziato a guadagnare facendo di tanto in tanto una marchetta, avrebbe potuto anche pagarsi una persona di servizio, ma non gli andava di avere estranei per casa. Comunque non c'era nessuna fretta. Per ora si godeva la conquistata libertà.


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