Svevo si era fatto gradualmente un buon giro di clienti "affezionati", ciò nonostante a volte gli piaceva andare nel parco lungo il fiume per trovarsi qualche avventura. Cercava, in questo caso, ragazzi giovani e carini, da portasi nella sua villetta e con cui passare una notte di sesso.
Una sera dopo cena, in cui era libero da impegni di lavoro, decise perciò di andare a fare un giro al parco per vedere se trovava un compagno per la notte. Il tempo era discreto, il tardo autunno era mite e il clima piacevole. Indossò una camicia di Armani e un paio di jeans bianchi a vita bassa, senza mettersi nulla sotto, i mocassini senza calze, si controllò allo specchio, prese la sua moto e uscì.
Arrivato al parco lasciò la moto e fece un giro a piedi per vedere che cosa offrisse la piazza. Erano le undici di sera, non troppo presto ma neanche troppo tardi. Passò accanto a un gruppetto di tre checche che facevano salotto ridendo e lanciando gridolini ad alta voce e che lo spogliarono con gli occhi. Poi individuò alcuni ragazzi di vita che evidentemente aspettavano un cliente.
Di solito non gli andava di abbordare una marchetta, a meno che fosse veramente un bel ragazzo e dall'aria simpatica. Ne notò uno, appoggiato languidamente al palo di un lampione, che gli sembrò particolarmente attraente. Doveva essere appena più giovane di lui o al massimo suo coetaneo. Indossava calzoni morbidi verde scuro e una polo, dello stesso colore, che faceva risaltare piacevolmente i suoi capelli castano chiari. Pensò che, se non trovava niente di meglio, avrebbe potuto provarci con quello, nonostante fosse evidentemente una marchetta.
Quando iniziò il secondo giro, aveva deciso che avrebbe abbordato quel ragazzo in verde. Ma quando giunse in vista del lampione dove prima quella marchetta era appoggiata vide che non c'era più. Pensò che avesse trovato un cliente, e allora decise di proseguire il suo giro per vedere se nel frattempo fosse arrivato qualche altro esemplare interessante.
Stava avvicinandosi al punto del parco ove era il casotto con i cessi quando lo vide uscire da lì. Si sentì contento. Si diresse verso di lui, guardandolo con attenzione. Anche l'altro lo osservava, man mano che si avvicinavano. Quando giunsero uno accanto all'altro, Svevo gli fece un sorriso, e gli lanciò un "ciao" accompagnato da un gesto della mano, fermandoglisi davanti.
Anche l'altro si fermò e rispose con un "ciao" e un sorriso.
"Fai marchette, tu, giusto?" gli chiese Svevo.
"Sì. Ne cerchi una?"
"Mi piaci. Quanto vuoi?"
"Dipende... cosa vuoi fare?"
"Passare la notte con te e fare un po' di tutto."
"Hai un posto?"
"Certo."
"Lontano?"
"Ho la moto... Quanto vuoi per tutta la notte?"
"Duecento. Anticipati."
"Bene, vieni?"
L'altro sorrise e annuì.
"Come ti chiami?" gli chiese Svevo mentre lo conduceva verso il punto dove aveva lasciato la moto.
"Silvio. E tu?"
"Svevo."
"Svevo? Un nome originale."
Scambiarono poche altre banalità. Presa la moto, Silvio si teneva alla sua vita e a Svevo venne un'erezione. Quel ragazzo gli piaceva parecchio; sperò che non lo deludesse a letto. Uno dei motivi per cui raramente pagava una marchetta era perché pochi a letto erano veramente come sarebbe piaciuto a lui.
Quando arrivò a Villa Arduino e, senza scendere dalla moto, fece aprire il cancello con il telecomando, mentre aspettavano che finisse di aprirsi, Silvio gli chiese, sorpreso: "Cacchio! Abiti in questa villa, tu?"
"Sì."
"Con i tuoi?"
"No, da solo."
"Cacchio! È bella... ne hai di grana!"
"Non mi lamento. A me non pare bella, sa un po' troppo di Disneyland. Comunque è mia."
Lasciata la moto, entrarono in casa. Silvio si guardava attorno, affascinato.
"Non hai fretta, vero?" gli chiese Svevo facendolo accomodare nell'elegante soggiorno.
"No no. Tutta la notte, hai detto, giusto?"
"Sì. E pagamento anticipato. Eccoti i soldi." gli disse Svevo prendendoli dal portafogli, contandoli e porgendoglieli. "È da tanto che fai marchette? Sei gay o lo fai solo per soldi?"
"Qualche anno... E sono gay dalla testa ai piedi, anche se lo faccio per soldi. Ma tu sei un bel ragazzo... che bisogno hai di pagarti una marchetta?"
"Nessuno. Se avessi trovato uno che mi piaceva e che non lo faceva per soldi, mi sarebbe anche andato bene. Ma siccome tu sei quello che mi piaceva di più fra quelli che c'erano al parco questa sera..."
"Mi offri qualcosa da bere?"
"Se ti va, farei volentieri un buon caffè."
"Perché no, tanto dobbiamo stare svegli." rispose Silvio con un sorriso.
"Vieni, allora."
Lo portò oltre una porta: si trovarono in una piccola stanza quadrata, ricavata nella torretta che ornava la villa, con ampi finestroni a tutto sesto su tre lati. Era arredata come un minuscolo bar, con un piccolo bancone con quattro sgabelli, e alle spalle uno scaffale a vetri con barattoli ermetici di ceramica, una serie di caffettiere e macinini di varie forme e alcuni servizi di tazzine da caffè... Sotto vi era un piccolo frigorifero e a lato un fornelletto elettrico.
"Preferisci un caffè turco, viennese, fatto con la moka, con la napoletana, con la macchina espresso o all'inglese?"
"Uau! Non lo so... come lo preferisci tu mi va bene."
"Allora caffè turco." decise Svevo.
Prese uno dei barattoli, uno dei macinini e vi versò il caffè: "Macinalo, dai!" disse porgendolo a Silvio. Poi prese il bricchetto di rame tronco-conico, due bicchierini di vetro con piattino di rame e li mise sul bancone. Mise il caffè macinato nel bricchetto, aggiunse lo zucchero, versò l'acqua da una bottiglia di minerale naturale e lo mise sul fornelletto elettrico che accese regolandone l'intensità.
"Pare quasi che stai facendo un rito." osservò Silvio.
"Fare il caffè è un rito. Ogni tipo di caffè va fatto usando una miscela diversa e va macinato a spessore diverso. E la miscela, per essere veramente buona, deve essere tostata a legna e macinata subito prima di usarla. L'acqua deve essere fresca e leggera, mai acqua bollita o di rubinetto che è troppo calcarea e contiene cloro. La quantità di polvere di caffè deve essere giusta e senza grumi e, a seconda dei metodi di preparazione, pressata o no, più o meno... Inoltre ogni tipo di caffè va preparato a una diversa temperatura..."
"Cacchio, ma allora è una vera arte!"
"... e le caffettiere vanno sempre lavate solo con acqua molto calda, e senza detersivi." spiegò Svevo mentre continuava a preparare il caffè alla turca.
Appena il bricchetto giunse all'ebollizione, lo sollevò subito dal fornelletto, aspettando che la schiuma scendesse, poi ve lo rimise, ripetendo l'operazione tre o quattro volte. Quindi, dopo aver atteso che si freddasse un po' e che la polvere si depositasse, lo versò con cautela nei due appositi bicchierini di vetro.
"Aspetta che si raffreddi un poco e che la polvere depositi nel fondo. Poi sorseggialo senza agitarlo, lasciando i fondi nel bicchierino." lo istruì Svevo.
"Hai anche la macchinetta per i cappuccini, vedo... Li sai fare bene? Sai anche fare la foglia, il cuore o la mela?"
"Domattina ti farò giudicare. So fare anche le decorazioni, certo, ma non è da quello che si giudica la bontà di un cappuccino. La decorazione ha solo uno scopo: far vedere che non si tratta di schiumetta, ma di vera crema di latte a bollicine minutissime e compatte. Il latte deve essere intero, a temperatura di circa cinque gradi e con il vapore si deve ottenere la schiuma senza superare gli ottanta gradi." gli rispose Svevo con un sorriso.
"Ma... sei un barista tu?"
"No, però ho seguito alcuni corsi per baristi per imparare. Perché quello che faccio mi piace farlo bene."
"Anche scopare?" gli chiese Silvio con un sorrisetto malizioso.
"Quello lo giudicherai fra poco. E tu? Sai scopare bene?"
"Penso di sì... perché mi piace."
"Ottimo. Ma dimmi, ti piace il caffè alla turca?"
"Buonissimo! Diverso dal nostro, più forte, ma veramente buono."
Svevo sciacquò tutto e rimise in ordine poi, uscito da dietro il bancone, fece scendere Silvio dallo sgabello, lo prese fra le braccia e lo baciò premendoglisi contro. Sentì con piacere che al ragazzo, come d'altronde anche a lui, stava venendo un'erezione.
"Mh, baci bene! Vieni." gli disse staccandosi da lui e guardandolo con espressione compiaciuta.
Lo portò al piano superiore, in una delle camere da letto che non usava e dove solitamente portava le sue occasionali conquiste. Iniziarono a spogliarsi l'un l'altro, baciandosi e carezzandosi man mano che si toglievano gli abiti. Quindi lo sospinse sul letto e iniziarono a fare l'amore.
A Svevo piaceva molto Silvio, sia fisicamente sia perché il ragazzo era disinibito ed era evidente che gli piaceva quanto stavano facendo e che non era solo "mestiere", non era solo lavoro. Era notte fonda quando, finalmente appagati, si stesero fianco a fianco e in breve si addormentarono.
La mattina seguente, quando Svevo si svegliò, trovò Silvio seduto sul letto che lo guardava.
"È da tanto che sei sveglio?" gli chiese con voce ancora impastata dal sonno.
"Una decina di minuti. Sai che mi piaci?"
"Grazie... Senti, andiamo a fare una doccia, vestiamoci, poi scendiamo a fare colazione e ti porto... dove vuoi."
"Mi fai il cappuccino con la foglia?"
Svevo sorrise e annuì. Nell'ampia cabina della doccia si lavarono l'un l'altro ma, benché eccitati, non fecero nuovamente l'amore. Si rivestirono e scesero. Mentre sorbivano il cappuccino e mangiavano alcune paste alle mandorle, chiacchierarono ancora un po'.
"Che fai tu, per vivere?" gli chiese ad un certo punto Silvio.
"Faccio marchette, come te."
"Che? Scherzi?"
"Assolutamente no."
"Ma..." disse Silvio indicando intorno con espressione meravigliata, "se m'hai detto che tutto questo è tuo... che bisogno hai di fare marchette? E poi... perché hai pagato me?"
"Faccio marchette perché mi diverte... ma soprattutto per dispetto verso i miei genitori. Hanno sempre cercato di... condizionarmi, di plasmarmi a modo loro e... e non mi andava. O forse, più che per dispetto... come una specie di antidoto, per disintossicarmi della loro pretesa buona educazione. No, non ho nessun bisogno di fare marchette, hai ragione tu, mio padre mi ha dato un buon vitalizio... che poi ho scoperto che proviene dalla rendita di alcuni appartamenti che in realtà m'aveva lasciato mio nonno, quindi mio padre non deve neppure scucire un soldo, per me. M'ha raccontato una balla. E ti ho pagato perché per te è lavoro... o 'anche' lavoro, perciò era giusto pagarti. E tu, perché fai marchette?"
"Perché faccio marchette? Per... per tradizione di famiglia. Mia madre faceva la puttana e mio padre il protettore e anche mia sorella fa la puttana per... vocazione. Sai, i mestieri che si tramandano in famiglia, di padre in figlio, come quello dei notai o dei farmacisti." rispose Silvio in tono divertito.
"E vivi con i tuoi genitori?"
"No... I nostri genitori sono morti, perciò vivo con mia sorella e suo figlio... Prima con noi c'era anche il ragazzo di mia sorella, ma purtroppo se n'è andato."
"Li ha lasciati?"
"Un'overdose... stroncato. Così ora faccio un po' da padre putativo a mio nipote. Comunque... anche io mi diverto a fare marchette, a volte. Non mi diverto spesso... ma a volte."
"E... questa volta?" gli chiese Svevo con un sorrisetto.
"Adesso mi vergogno quasi ad averti chiesto i soldi. Quasi, mica troppo. Perché sono stato troppo bene con te. Sei in gamba a scopare, ci sai fare."
"Anche tu ci sai fare a letto. E anche io sono stato bene con te. Quanti anni ha tuo nipote?"
"Nove anni. È caruccio, vedessi! È intelligente, e va bene a scuola: gli piace studiare, a differenza di me."
Svevo guardava con piacere il sorriso dolce con cui Silvio stava parlando del nipote e la fierezza che dimostrava, parlandone. Pensò che suo padre non aveva mai avuto quello sguardo, quel sorriso nei suoi confronti. Mai, neanche quand'era un bambino, mai neanche prima che iniziasse a ribellarsi...
"A che pensi?" gli chiese Silvio, notando il suo silenzio e lo sguardo assente.
"A niente... Niente di speciale." rispose Svevo, ma provò piacere non solo e non tanto per quella domanda quanto per il sorriso con cui l'altro gliel'aveva posta. Poi, quasi esitante, aggiunse: "Senti... io avrei piacere se... se noi due si potesse diventare amici."
"Non vedo nessun problema. Anzi..."
"Hai il telefono?"
"No, non l'abbiamo, in casa. Si pensava di comprarci un telefono cellulare, sia mia sorella che io, ma abbiamo deciso di aspettare che i prezzi scendano ancora un po'."
"Senti... io ne ho due e se vuoi te ne regalo uno." gli disse Svevo.
Silvio lo guardò un po' stupito, ma poi disse: "Beh... grazie. Sei gentile."
Così iniziò l'amicizia fra i due. E quando Svevo vide quanto i Basile vivessero modestamente e allo stretto, offrì a Silvio di trasferirsi da lui, dove avrebbe potuto avere una stanza tutta per sé e stare più comodo. Silvio era combattuto. Da una parte gli sarebbe piaciuto andare a vivere in quella bella villetta, dall'altra gli dispiaceva lasciare la sorella e il nipote.
Luisa lo spinse ad accettare: "Ormai Ermando è abbastanza grande per badare a se stesso, non ti devi preoccupare per noi." gli disse.
Ermando gli disse: "Ma mi verrai a trovare qualche volta, zio Silvio, no? Mica ti dimentichi di me, no?"
"Certo, giovanotto che non mi dimentico di te! E ti vengo a trovare ogni volta che ho un po' di tempo libero."
Svevo s'era appena comprato l'automobile, una Fiat Panda 1000, perciò andò a prendere la roba di Silvio che traslocò da lui.
Poi gli propose di prendersi la patente: "Almeno, quando vuoi andare da tuo nipote o portarlo un po' in giro, puoi usare la mia Panda."
"Tu mi stai viziando..."
"Beh... forse vedo in te il fratello che ho sempre desiderato avere e non ho mai avuto."
Silvio rise: "Ehi, ma due fratelli, mica scopano fra loro, quando gli tira!"
"E chi te lo dice che non lo fanno?" rispose ridendo l'altro. "Fra i miei clienti ho giusto due fratelli che se pure mi pagano per fare il terzo, lo fanno anche fra loro."
I due stavano bene assieme. Silvio, dato che Svevo non voleva assolutamente che pagasse qualcosa per la stanza e nemmeno per il cibo, si dava da fare per tenere pulita la villetta e per curargli il giardino. In realtà non valeva granché in nessuna delle due cose, perché non era abituato a farle e inoltre come carattere non era molto ordinato. Ma Svevo lo lasciava fare, perché capiva che il suo nuovo amico aveva bisogno di sdebitarsi in qualche modo.
Gradualmente Svevo fece conoscere i suoi clienti a Silvio, in modo che non dovesse più andare a battere nel parco, ma che si facesse un giro di clienti privati e regolari. Lui comunque ne aveva anche troppi, tanto che spesso doveva rifiutare qualche richiesta, ma soprattutto non ne aveva veramente bisogno. A Silvio comunque, almeno quando il tempo era bello, piaceva anche continuare ad andare a battere al parco, dove aveva qualche amico fra le altre marchette.
Non dovendo contribuire alle spese di casa, riuscì presto a mettere da parte qualche risparmio e appena ottenne la patente, si comprò una 124 di seconda mano. Poteva così andare abbastanza spesso a trovare la sorella e il nipotino, a cui era molto affezionato e che cresceva bene.
Qualche volta, la domenica a pranzo, Svevo li portava tutti a mangiare in un ristorante fuori città, ogni volta in uno diverso, e passavano la giornata assieme come un famigliola felice.
"Peccato che a te, Svevo, piacciono solo i maschi..." gli disse una volta Luisa, "altrimenti t'avrei fatto la corte."
"Beh, nessuno può essere perfetto..." rispose ridendo il ragazzo. "Ma mi faresti la corte per la mia irresistibile bellezza... per il mio meraviglioso carattere... o per i miei soldi?"
"Per i tuoi soldi, logicamente!" rispose ridendo Luisa.