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una storia originale di Andrej Koymasky


FIGLI DI PUTTANA CAPITOLO 9
LUISA SE NE VA

"Ma dai!" disse quasi sottovoce Corrado.

"Embeh, è così."

"Ma tu gliel'hai detto, gliel'hai fatto capire?"

"Macché. Non me la sento. E poi, se non se ne accorge lui... se non lo capisce da solo, a che serve dirglielo? Eh?" gli rispose Mattia cercando di nascondere con un sorriso la lieve sensazione di tristezza che provava.

"Forse hai ragione... Forse. Non lo so. Ma che ci trovi, dopo tutto? È simpatico, non lo metto in dubbio, e pure caruccio..."

"Caruccio? Simpatico? A me pare fantastico, in tutti i sensi."

"Adesso capisco..." disse Corrado dopo un breve silenzio.

"Cosa?"

"Perché da un po' non scopi più né con me né con Svevo!"

"Ah."

"Proprio cotto, eh? Però mica rifiuti i clienti."

"Quelli mica contano. E poi mi devo guadagnare da vivere, no? No, quelli non contano. È solo lavoro."

"Non hai torto... è solo lavoro. Ma se Silvio non s'è accorto di niente..."

"Non mi dice mai di no quando... e spesso è lui a chiedermelo."

"Sì, sì, d'accordo. Il fatto è che... È simpatico, un mattacchione, ma è superficiale. Gli piace divertirsi... Forse non è adatto a... a qualcosa di serio. D'altronde, dopo tutto, chi di noi è adatto? Con la vita, col lavoro che facciamo..."

"Che c'entra. Che c'entra la vita che facciamo? Siamo persone noi pure, no? Abbiamo sentimenti noi pure, no?"

"Ma sì, ma sì! Secondo me, comunque, faresti bene a levartelo dalla testa. Altrimenti ne avrai solo delusioni e sofferenza."

"Delusioni, no, perché mica mi sto illudendo di niente. Sofferenza... Boh? Forse un po' sì... D'altronde mica posso decidere, nessuno può decidere in queste cose. Se t'innamori... non ci puoi fare niente. Credi che non mi sono detto un sacco di volte di non pensarci, di non sperarci?"

"Boh? A me non è mai capitato di innamorarmi, perciò non so proprio che dirti. Mica che non mi piacerebbe... ma come dici tu, nessuno può decidere in queste cose, né a innamorarsi né a disamorarsi. Povero Mattia!"

"Perché?"

"Perché mica dev'essere bello essere cotti di uno che manco si accorge di te. Cioè, che per lui sei solo uno dei tanti amici. Se però magari tu gli stai un po' più attorno... che so io..."

"Ho paura che gli darei solo fastidio. Mah... magari mi passerà, prima o poi."

"Speriamo che non ci metti troppo a fartela passare." gli disse con un sorriso amichevole Corrado, e riaccese l'aspirapolvere.

"Vado a vedere se la lavatrice ha finito il ciclo." disse Mattia eduscì dalla stanza.

Entrò nella stanza Svevo: "Ciao. M'hai svegliato con quel maledetto aspirapolvere."

"Beh... sono già le undici. Sei rientrato tardi, ieri notte?"

"Stamattina, piuttosto. Saranno state le cinque. Mi farò un pisolino dopo pranzo." rispose stiracchiandosi. "Vado a farmi un caffè. Lo prendi anche tu, no?"

"Sì, certo."

"E gli altri?"

"Mattia credo che sta stendendo i panni... Silvio è uscito per fare un po' di spesa. Com'era il cliente?"

"Lo conosci tu pure, è Pedretti, l'avvocato."

"Ah, quello... Beh, non male, anche se ogni volta vuole che lo fotti almeno tre volte. Devi essere spompato."

"Più o meno. Comunque paga bene. La fregatura è che con quello non puoi fare finta di essere venuto; dopo ogni fottuta ti vuole levare lui il goldone e... Beh, vado a fare il caffè."

Corrado finì di passare l'aspirapolvere quando Svevo arrivò con il vassoietto e due caffè fumanti. Sedettero e lo stavano sorbendo, quando squillò il telefono.

"Vai tu?" gli chiese Svevo.

"Sì..."

Mentre Corrado rispondeva, Svevo lo guardava, cercando di capire chi stesse chiamando.

"Pronto? ... No, sono un amico, ora è fuori... Come? ... Ah, ma... Ma cos'è successo? ... Oh cazzo! Quando è successo? ... Dove? ... Ma chi? Perché? ... No, no... Certo, appena arriva glielo dico e verrà di sicuro... Sì, certo, capisco... Va bene... Buongiorno."

"Chi era? Cosa c'è?" chiese Svevo guardando l'espressione tesa di Corrado.

"La polizia. La sorella di Silvio... L'hanno ammazzata un paio d'ore fa, davanti a casa sua."

"Che? Luisa? Ammazzata? Oh Cazzo! Ammazzata? Ma da chi, perché?" chiese Svevo esterrefatto, alzandosi in piedi.

"Non ha voluto dirmi di più. L'hanno portata all'ospedale centrale per l'autopsia. Ha detto che hanno trovato i numeri di telefono nella borsetta di Luisa; hanno provato a chiamare Silvio al telefonino ma è spento."

"E Ermando?" chiese allora Svevo.

"Non lo so, la poliziotta non ha detto niente. Forse è a scuola... forse non sa ancora niente."

"Oh cazzo! Bisogna pensare anche a lui, povero piccolo. E Silvio... Dobbiamo andare tutti e quattro... Cazzo, che disgrazia... Ammazzata, ha detto? Ma da chi e perché?"

Avvertirono Mattia e, attendendo che Silvio tornasse con la spesa, si vestirono tutti e tre per uscire, indossando, istintivamente e senza esserselo detto l'un l'altro, gli abiti più "seri" che avevano.

Silvio tornò, entrò in cucina, rumorosamente come al suo solito, lanciando uno squillante "Ciao raga! Ecco il massaio di ritorno dal mercato... Dove siete?" e depose sul tavolo tutti i sacchetti della spesa.

Quando si girò e stava per lanciare un secondo allegro richiamo, si trovò sul vano della porta i tre amici... e il suo sorriso gli si spense in viso.

"Che avete, raga? Cazzo che faccia da funerale! Che cavolo è successo? Chi è morto?" chiese come per fare una battuta, ma in un tono fra l'incerto e il preoccupato.

"Silvio... purtroppo..." iniziò a dire Svevo mentre gli andavano accanto tutti e tre.

"Cazzo. Ma voi siete tutti qui, perciò... Luisa? Ermando? È successo qualcosa?" chiese allarmato.

Nessuno dei tre aveva il coraggio di comunicargli la notizia.

"Beh? Se non è uno scherzo del cazzo, vi decidete a dirmi che è successo?" insistette Silvio scrutando le loro espressioni.

"Silvio... Luisa..." iniziò a dire Mattia.

"Luisa? Cosa è successo a Luisa?"

"Ci hanno telefonato dall'ospedale che... che devi andare..." disse Svevo cercando di non far tremare la propria voce.

"Ha avuto un incidente? Un malore?" chiese Silvio sempre più allarmato.

"Ha telefonato la polizia e..." disse Corrado.

"La polizia? Ma... ma... è... morta?" chiese con un filo di voce Silvio, impallidendo.

Nessuno rispose e Silvio capì che era così. "Come è morta?" chiese allora.

"Non lo sappiamo, ma la polizia dice che... che qualcuno l'ha..."

Silvio chiuse gli occhi quasi con violenza, barcollò un attimo, poi li riaprì e chiese, sottovoce "Dov'è, ora?"

"Ti portiamo noi..." disse Svevo.

"Ermando?" chiese allora Silvio.

"Probabilmente a scuola... forse non sa ancora niente."

"Non... non deve tornare a casa... Devo essere io a... a dirglielo."

"Vuoi che vada a prenderlo?" gli propose Mattia.

"Non te lo danno, forse neanche a me... Però..." Silvio guardò l'orologio, "Se puoi andare ad aspettarlo all'uscita da scuola... E poi magari lo porti qui."

"Sì... ma che gli dico?"

"Niente. Niente finché non torno io. Sei capace di... di inventare una scusa, di non fargli capire niente?" gli chiese Silvio, con un filo di voce.

"Forse potrebbe dirgli che Luisa s'è sentita male e che tu sei in ospedale con lei... per iniziare a prepararlo..." suggerì Svevo.

"Non lo so... sì, forse... Facciamo così, vai con Corrado, Mattia. Svevo mi porta in ospedale. E restiamo in contatto coi telefonini, eventualmente. Usa la mia macchina, Svevo mi porta in ospedale con la sua."

"D'accordo."

Si separarono.

Mentre Svevo guidava, disse: "Dovrai prenderti cura tu di Ermando, ora. Non ha altri. Povero piccolo..."

"Sì, certo."

"Dovrai andare in tribunale per farti dare la tutela."

"Sì."

"Però... faranno indagini, e... se scoprono come ti guadagni da vivere... rischi che lo mandano in un orfanotrofio."

"Ci mancherebbe altro! Farò in modo che non lo scoprano."

"Senti, al più presto io prendo contatto con l'avvocato Pedretti, lui ti potrà assistere, consigliare. E con lui non ci sono problemi. Te lo ricordi, no?"

"Sì, me lo ricordo... Sì, facciamo così."

Arrivarono in ospedale. Non poté vedere subito Luisa. C'erano diversi poliziotti e un graduato interrogò Silvio, dicendogli che stavano cercando l'assassino, che alcuni passanti avevano descritto. Era un giovanotto sui trenta anni, aveva scaricato la pistola sulla donna, poi era fuggito a piedi. Dalle testimonianze risultava chiaro che non s'era trattato di una rapina. Silvio lasciò al graduato le sue generalità e il numero del telefonino. Dichiarò che era ospite di Svevo.

Finalmente gli fu permesso di vedere la sorella. Un medico, o un inserviente, gli disse che nel pomeriggio si sarebbe eseguita l'autopsia e che finché il magistrato non avesse dato il nulla-osta, non si sarebbe potuto fare il funerale. Era stesa su una lettiga, un lenzuolo celeste la copriva fino al collo. Il volto era disteso, gli occhi chiusi, pareva quasi che dormisse.

Silvio scosse il capo, ancora incredulo. Svevo lo guardava preoccupato, standogli accanto, temendo o attendendo una reazione. Silvio dette una lieve carezza a una guancia della sorella.

"Povera Luisa." mormorò. Poi aggiunse, "Povero Ermando..."

Guardò l'orologio: "Dovrebbe stare uscendo adesso da scuola. Riportami a casa, tanto qui non possiamo fare niente, per ora. E quando siamo a casa, cerca l'avvocato Pedretti."

"Sì, certo. Vieni."

Quando giunsero a villa Arduino, la sua auto era già in garage, quindi capì che Ermando doveva già essere arrivato. Appena entrarono in casa, infatti, il ragazzino andò incontro allo zio, guardandolo con espressione tesa e preoccupata.

"Come sta la mamma, zio? Cosa ha avuto?"

Silvio, nonostante si fosse preparato, si sentiva incapace di dire qualcosa. Inghiottì a vuoto due o tre volte. Poi disse, con un filo di voce: "Ermando... la mamma..."

"Perché Mattia non m'ha voluto portare in ospedale? Come sta la mamma?"

"Vieni qui..." gli disse Silvio. Gli pose un braccio attorno alle spalle e lo portò a sedere in soggiorno. "La mamma, Ermando... ha avuto un... incidente, e ora..."

"Che incidente? È caduta? L'hanno investita? Come sta?"

"Un tizio... un disgraziato l'ha... l'ha assalita e..." iniziò a dire Silvio.

Ermando lo guardò in silenzio, attendendo che continuasse. Silvio tremava lievemente.

"E?" chiese il ragazzino.

"E..." ripeté Silvio ma si sentiva incapace di proseguire.

"E..." insisté Ermando, poi chiese, con un filo di voce: "... e è... morta?"

Silvio lo strinse a sé con forza e sussurrò un "sì..." e finalmente lacrime scesero a rigargli il volto.

Ermando si aggrappò a lui, chiudendo stretti gli occhi, ed emise una specie di gemito basso e lungo. Poi, con voce bassa e strozzata, chiese: "Perché?"

E, tutti e due stretti in un convulso abbraccio, piansero, i loro corpi scossi da singhiozzi silenziosi.

"Voglio... vedere... la mamma." gemette il piccolo.

"Ora non si può... dopo... quando si potrà... ci andremo."

"Perché? Prima i nonni... poi papà... adesso anche mamma se n'è andata... sono io che porto male!"

"No... no Ermando, non devi neanche pensarlo. No chicchino mio, no..."

Mattia era sulla porta, appoggiato allo stipite, e anche lui piangeva in silenzio, guardandoli. Svevo e Corrado erano in un'altra stanza e Svevo stava telefonando all'avvocato Pedretti e gli stava spiegando il problema.

Come immaginava, l'avvocato disse che nessun giudice avrebbe affidato il piccolo a Silvio se si fosse saputo come si guadagnava da vivere, perciò sarebbe stato opportune che Silvio andasse ad abitare altrove, e che trovasse al più presto un qualsiasi lavoro regolare che gli permettesse, agli occhi della legge, di prendersi cura del nipote. Comunque disse che sarebbe stato bene che Silvio andasse a trovarlo nello studio per accordarsi su come impostare la richiesta per ottenere la tutela del piccolo.

"Per l'alloggio non c'è nessun problema, avvocato, ho giusto un alloggetto libero, dove possono andare a vivere. Ma un lavoro, ai giorni nostri, non si trova facilmente. Ha qualche idea, avvocato?"

"Vedremo come fare. Qualcosa forse troveremo, anche se non c'è molto tempo. Il fatto che sia lo zio faciliterà molto le cose, se solo trova un lavoro regolare e uno stipendio sufficiente. Ma non può restare lì con voi."

"Certo, capisco. Possiamo sistemarli altrove anche entro oggi. Solo il lavoro, non saprei come trovarglielo. Lei sa quello che noi..."

"Appunto. Cercherò qualcosa per il ragazzo, non dubiti."

"Non c'è nessun problema per il suo onorario, avvocato... Mi fido di lei, mi raccomando a lei."

"Sì, va bene. Venite nel mio studio al più presto, comunque. Prima risolviamo il problema del lavoro, meglio è."

"Comunque, per ora, il piccolo può stare con lo zio, no?"

"Sì, certo, per ora sì. Potreste venire da me domattina alle... alle undici e trenta? Sì, domani non ho udienze in tribunale."

"Certamente. Verremo. Deve venire anche il piccolo?"

"No, meglio di no, se possibile. Saremo più liberi di parlare chiaramente. A domattina, allora."

Quando chiuse la comunicazione, Corrado gli chiese: "No potresti far figurare che gli dai tu un lavoro?"

"No, credo che sia meglio che non abbia contatti ufficiali con noi, almeno per ora, per sicurezza. Oggi pomeriggio vediamo di sistemargli l'alloggio che ho libero, e domattina sentiremo cosa dice l'avvocato. Una cosa alla volta, anche se prima si trova una soluzione, meglio è." disse Svevo.

Furono giorni febbrili. Nel pomeriggio andarono a sistemare l'alloggio e vi trasferirono tutte le cose di Silvio, poi andarono a casa di Luisa a prendere le cose di Ermando che portarono nell'alloggetto.

La mattina seguente, dopo aver telefonato alla scuola del ragazzino per avvertirli della sua assenza per qualche giorno, mentre Corrado e Mattia, assieme a Ermando, restavano nella nuova casa a sistemare le stanze, Svevo accompagnò Silvio dall'avvocato Pedretti.

Questi gli disse che aveva contattato un suo amico che aveva un'agenzia di pulizie e che avrebbe assunto volentieri Silvio, di cui lui si rendeva garante. Parlarono a lungo; l'avvocato preparò Silvio agli incontri con il giudice minorile e con gli assistenti sociali, e comunque Silvio firmò il documento che faceva del Pedretti il suo rappresentante legale.

Poi finalmente fu eseguita l'autopsia e il giudice dette l'autorizzazione per la sepoltura, perciò Ermando poté vedere per l'ultima volta la madre. Furono eseguite le esequie, e zio e nipote andarono a vivere nell'alloggetto che Svevo aveva dato loro.

Silvio iniziò il suo nuovo lavoro, Ermando ricominciò ad andare a scuola.

Dopo meno di un mese, vi fu l'udienza dal giudice minorile, alla presenza dell'avvocato Pedretti. Poi arrivarono gli assistenti sociali a vedere dove viveva Silvio, a informarsi sul suo lavoro, sul suo stipendio, e gli fecero un sacco di domande. L'avvocato l'aveva preparato accuratamente, perciò Silvio dette tutte le giuste risposte.

Come l'avvocato aveva previsto, tutto filò liscio e finalmente il giudice minorile nominò Silvio tutore di Ermando.

"Zio... tu non te ne andrai, vero?" gli chiese una sera Ermando, dopo aver finito di fare i compiti.

"Certo non per mia volontà... Speriamo che tutto vada bene, chicchino mio!"

"Ormai ho solo te, zio..."

"E anche io ho solo te, Ermando. Vedrai che ce la caveremo."

"Mica l'hanno ancora trovato quello che ha... che ha... che m'ha tolto mamma."

"Forse lo troveranno. La polizia lo sta ancora cercando."

"Ma perché quello ha... ha sparato a mamma?"

"Non lo sappiamo, chicchino. Forse per una rapina... o forse un matto..."

"Gli danno l'ergastolo, se lo trovano, vero? Lo chiudono in galera e buttano via la chiave, vero?"

"Speriamo... Dipende da perché l'ha fatto e da cosa decidono i giudici."

"Quel giudice che m'ha interrogato, continuava a chiedermi se ero sicuro che volevo stare con te. Che stronzo! E con chi, sennò? Avevo tanta paura che mi mandasse in orfanotrofio. Io gli ho detto che o mi faceva stare con te o io mi ammazzavo!"

"Non me l'avevi detto. Ma non devi neanche pensarci, a una cosa così..."

"Ma tu... non ti rompe le scatole che sto con te?"

Silvio lo abbracciò: "Ma no, Ermando! Lo sai che ti voglio bene, no?"

"Sì, lo so. Ormai ho solo te, zio." ripeté il ragazzino, guardandolo con affetto. "Anche io ti voglio bene, zio."


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