L'appartamento era composto di due camere da letto, un tinello in cui si entrava dal pianerottolo e un bagno. C'era già qualche mobile e lo finirono di arredare prendendo alcuni dei mobili che erano stati di Luisa. Silvio non aveva voluto andare ad abitare in quell'appartamento, perché pensava che fosse meglio che Ermando cambiasse ambiente.
L'assassino di Luisa non fu trovato, né si capì mai perché l'avesse uccisa. Ermando, molto gradualmente, ritrovò una certa serenità, grazie soprattutto all'affetto di Silvio.
I tre amici andavano abbastanza spesso a trovarli, specialmente Mattia che nel pomeriggio, quando Silvio doveva lavorare, andava a tenere compagnia al ragazzino e l'aiutava a fare i compiti. Ogni volta che li andavano a trovare, gli amici portavano sempre qualcosa da mangiare, provviste d'ogni genere e qualche abito in regalo soprattutto per Ermando che stava crescendo a vista d'occhio; Svevo spesso infilava qualche euro nel portafogli di Silvio, di nascosto.
Silvio era, al suo solito, un po' disordinato perciò, soprattutto Corrado, a volte gli dava una mano a rimettere in ordine e a pulire casa. A poco a poco la responsabilità di allevare il nipote, fece comunque mettere la testa a posto a Silvio.
Quando poteva, lo zio andava ai ricevimenti dei genitori alla scuola media di Ermando, per vedere come andava. Gli insegnanti erano abbastanza soddisfatti del rendimento scolastico del ragazzetto che era un po' debole solo in inglese, ma se la cavava bene in matematica e in italiano. Nelle altre materie era sempre appena sopra una sufficienza rischiata.
Ermando dava anche una mano in casa allo zio, per tenerla pulita e abbastanza in ordine. A sera spesso guardavano assieme qualcosa alla TV e la commentavano assieme.
Una sera, poco prima di andare a letto, Ermando chiese a Silvio: "Ma, zio, ti piace il lavoro che fai ora?"
"Beh, insomma... non mi dispiace."
"Ma non ti piaceva più di quello che facevi prima?"
"Per certi aspetti no."
"Anche se guadagnavi di più?"
"Ma ce la caviamo, no?"
"Sì, ma perché l'hai cambiato?"
"Beh... Per curarmi di te, questo lavoro è meglio."
"Avevi paura che se scoprivano cosa facevi prima, non mi lasciavano venire con te?"
Silvio lo guardò lievemente stupito per quella domanda. Ermando ridacchiò.
"Perché fai quella faccia, zio? Ormai sono grande, certe cose le capisco, sai? Non mi trattare da bambino, dai!"
"No... no, ma... che ne sai, tu?"
"Io so tutto." affermò il ragazzetto con aria di saputella. "E poi, con mamma ne avevamo parlato, sai? Lei non m'ha mai detto bugie, mai. Quando ha capito che avevo capito che lavoro faceva, lei m'ha detto la verità."
"Ah." mormorò Silvio, esterrefatto.
"E dai, zio!"
"No, è che... davvero non credevo che..."
"Guarda che mica mi piaci di meno solo perché so. Guarda che ti voglio bene come prima. Mica mi importa se a te piace farlo coi maschi..." disse con espressione seria, poi sorrise, "... d'altronde... anche a mamma piaceva farlo coi maschi e... e se a quelli gli andava di pagare, tanto meglio. E poi... tu sei stato grande a rinunciare a guadagnare di più solo per me!"
"Beh... è che anche io ti voglio bene, Ermando, e volevo occuparmi di te." disse Silvio, ancora un po' esitante. "Solo che non sapevo, non pensavo che tu..."
"Appunto! Ma stai tranquillo, mica lo vado a dire a nessuno. Lo so che la gente non può capire... o non vuole capire. E lo so che tu sei buono e in gamba e... e ti voglio bene."
"Ma tu, Ermando..."
"Io, cosa? Ah, vuoi sapere se io... se mi piacerebbe di più farlo con un ragazzo o una ragazza? Beh, credo proprio con una ragazza. Anche se mica ho ancora fatto niente."
"Com'è che all'improvviso hai deciso di... di fare questi discorsi?"
"Beh, a scuola ci hanno spiegato che a volte i grandi, i nostri genitori, non sono capaci a comunicare con noi adolescenti. Mica è colpa loro, ha detto la psicologhessa che c'è venuta a parlare. Allora mi sono detto che se tu non eri capace... beh... magari toccava a me parlare per primo. Cos'è, ti dispiace?"
"No... Beh, no. Solo che non... non me l'aspettavo, ecco."
"Se non parliamo fra noi, zio... Non abbiamo più nessuno, noi due, solo io te e tu me. Ma... non ti manca... non farlo?"
"Beh..."
"Cioè sì. Ma mica devi farti un problema per me. Se per caso... devi farlo senza problemi. Ce n'avrai amici che... che sono come te, no? Magari proprio quelli con cui abitavi prima. Sono anche loro come te? E lo fanno anche loro come mestiere?"
Silvio non rispose, continuava a guardarlo, ancora un po' turbato.
"A me sono simpatici tutti, ma specialmente Mattia. A te chi piace di più?"
"Sono tutti buoni amici... Hai fatto i compiti per domani?"
Ermando ridacchiò, comprendendo che lo zio era imbarazzato e perciò voleva cambiare discorso. "Sì, li ho fatti quasi tutti, mi manca solo da ripassare inglese."
"Che hai da ridere?"
"Oh, zio... niente. Solo che certe volte mi sembri anche più ragazzino di me! E dai, no?"
"Sentilo, il grandagnone! Vai a ripassare l'inglese, allora."
Più tardi arrivò a trovarli Corrado. Silvio ne approfittò per parlargli del colloquio che aveva avuto col nipote.
"Sveglio, il ragazzino! Meglio così, no?" commentò Corrado. Poi disse, "E comunque... ha ragione lui. Quant'è che non scopi più, tu?"
"Mica tanto. Non troppo, comunque. E poi, dovendomi occupare della casa e di Ermando oltre che lavorare, quasi non ho più tempo per me, ormai. Mica è facile trovarsi a fare il padre così, all'improvviso."
"Sei fortunato, perché Ermando è un ragazzetto a modo. Evidentemente tua sorella l'ha cresciuto bene."
"Ma davvero non avrei mai creduto che Luisa avesse parlato di certe cose col figlio."
"Io credo che i genitori dovrebbero sempre parlare di tutto coi figli. Sì, davvero di tutto. Proprio al contrario dei miei genitori, che si accorgevano di noi solo per sgridarci."
"Siamo proprio un po' sballati, noi quattro."
"Dici? Io trovo che siamo meglio dei tre moschettieri. Che poi non ho mai capito perché si dice sempre i tre moschettieri che invece erano quattro. Un po' ci manchi, comunque."
"Anche voi, e non solo un po'. Però sono contento che o uno o l'altro venite abbastanza spesso a trovarmi."
"Sì, ma tu dovresti darti da fare, e magari trovarti un compagno, specialmente ora che Ermando t'ha detto che sa e che non gli crea nessun problema. Devi darti da fare. Lo conosci il detto no? Quando si è giovani, il desiderio sale... e i calzoni calano; quando però si diventa vecchi, cala il desiderio... e i calzoni tornano su."
"Scemo! Sì, d'accordo, ma uno mica si trova un compagno così, solo schioccando le dita! Se capiterà... capiterà. E poi, dove e quando lo trovo, ora che sono tutto lavoro e casa? Magari, quando Ermando sarà un po' più grande, potrò uscire qualche volta la sera, andare a ballare, conoscere gente. Ma per ora non mi va di lasciarlo da solo la sera, la notte."
"Certo che hai avuto un bel coraggio a prenderti cura di tuo nipote e cambiare vita così, dall'oggi al domani... e andare a fare l'ometto delle pulizie."
"Ometto sarai tu!" rise Silvio. "Non si tratta di coraggio, è solo che mica potevo permettere che Ermando fosse messo in un orfanotrofio, no? E poi, è un ragazzino in gamba, stiamo proprio bene insieme. E pure se guadagno parecchio meno di prima, dopo tutto non mi dispiace aver cambiato vita."
"Stai cercando di convincere me... o te stesso?"
"Ma piantala, Corrado! Né me né te. Comunque non è che nel nostro lavoro si può andare avanti per sempre no? E allora, tanto vale aver cambiato per un buon motivo. Ormai ho quasi ventotto anni, prima o poi avrei dovuto cercarmi un altro lavoro lo stesso, anche senza dovermi occupare di Ermando."
"Sei ancora un bel fighetto, potevi andare avanti per qualche anno. E poi ci sono anche clienti che ai ragazzetti di primo pelo preferiscono giovanotti maturi. Però sì, hai ragione. Forse anche io dovrei cominciare a pensare di trovarmi un qualche lavoro diverso, per andare avanti. Mica tutti possiamo vivere di rendita come Svevo. Ah, Mattia ti manda i suoi saluti."
"Mattia? Beh, l'ho visto solo l'altroieri. Ultimamente mi è sembrato strano..."
"Strano? Strano come?"
"Non lo so. Sensazioni. Una volta mi pareva più... allegro. Sai mica se ha qualche problema?"
"No, non credo... non mi pare. A casa è come sempre. L'unica cosa è l'università... Gli mancherebbe poco per laurearsi, ma pare che gliene freghi poco. Non studia quasi mai, frequenta irregolarmente. Dà sì e no un esame ogni sei mesi."
"Se non gli interessa più, farebbe meglio a mollare. Non ha senso che paghi le tasse universitarie per niente."
"Sono d'accordo con te, Silvio... sarà che a me non è mai piaciuto granché studiare..."
"Continuate a scopare, fra voi tre?" chiese a un certo punto Silvio.
Corrado ridacchiò: "Ti manca, eh? Mattia quasi mai, anzi, ultimamente mai. Svevo e io qualche volta. Comunque ormai io dormo quasi sempre con Svevo, anche quando non scopiamo."
Chiacchierarono ancora un po'. Poi Ermando tornò a casa e dopo poco Corrado li salutò e andò via.
"Zio... ho preso otto in matematica!" annunciò trionfante il ragazzetto.
"Bene, bravo."
"Sono l'unico ad avere preso otto!"
"Beh, poco male."
"Eh? Come sarebbe, poco male?"
"Non importa se hai preso più o meno degli altri. Quello che importa è che hai preso un buon voto, perché vuol dire che stai migliorando. Se anche tutti gli altri avessero preso dieci, t'avrei detto bravo lo stesso. Non dobbiamo mai cercare di fare meglio degli altri, ma solo meglio di quello che s'era fatto prima."
"Ah. Beh... però..." disse il ragazzetto, lievemente deluso.
"Uno non vale di più o di meno secondo se arriva primo o secondo o terzo. Il valore di uno sta solo nel fatto che cerca di fare meglio che può. E poi il valore di una persona non si misura dai suoi successi, dalle graduatorie."
"Ma tutti ammirano chi arriva primo, in qualsiasi cosa."
"Sì, è vero. Ma sbagliano. Si deve ammirare altro, in una persona."
"E cosa?"
"Appunto, che uno non smette mai di cercare di migliorare se stesso. Non mi sono mai piaciute le gare, in nessun campo. Certo, essere ammirati dagli altri ci può dare forza, coraggio, sicurezza... Ma la vera forza, la sicurezza, la dobbiamo trovare in noi stessi, non nel giudizio degli altri."
"Vado a fare merenda, poi i compiti..." mormorò Ermando.
"Ehi, aspetta, vieni qui!" gli disse Silvio, lo tirò a sé e gli mise un braccio sulle spalle. "T'ho detto che sei bravo, che sono contento di te. Semplicemente non mi piace che ti paragoni agli altri."
"Ma perché?"
"Perché io non ti voglio più o meno bene a seconda se sei meglio o peggio degli altri. Perché chi si paragona agli altri, spesso o diventa superbo o diventa depresso, a seconda dei casi, e nessuna delle due cose è bella. Nessuno di noi mai dovrebbe misurarsi sugli altri... è questa l'origine del disprezzo, del razzismo, della discriminazione... Capisci?"
"Beh... un po'..."
Silvio sorrise: "Spesso, anzi quasi sempre, chi dice di essere migliore di un altro, in realtà lo dice solo per darsi una sicurezza che non ha. Per sentirsi importante. Invece la persona veramente sicura di sé è quella che sa riconoscere in che cosa gli altri sono migliori e non ne prova invidia. Una cosa non vale di più o di meno a seconda del suo prezzo. Cosa vale di più, un diamante o un bicchiere d'acqua?"
Ermando rise: "Un diamante, è chiaro!"
"Bene, prova a vivere pieno di diamanti, ma senza niente da bere, allora!"
"Non è possibile!"
"Appunto. Perciò vale di più un bicchiere d'acqua. Un diamante semplicemente costa di più, anche se vale molto di meno. Capisci? E io preferirei che tu fossi più come un bicchiere d'acqua che come un diamante. Tutti si fermano ad ammirare un bel diamante, nessuno ad ammirare un bicchiere d'acqua, eppure... l'acqua, come t'ho detto, è molto più importante, anzi, essenziale. Prova a dare a uno che muore di sete nel deserto un bicchiere pieno di diamanti..."
"E come si fa a essere come un bicchiere d'acqua?"
"Cercando di restare puliti... semplici... badando all'essenziale."
"Allora, per il tuo compleanno, preferisci che ti regalo un bicchiere d'acqua invece che un diamante?" gli chiese Ermando con un sorrisetto da monello.
"Se quel bicchiere d'acqua sei tu, sì! Anche perché comunque i soldi per un diamante non ce l'hai di sicuro."
"Devo pensarci su, zio... Chissà, magari è come dici tu." disse Ermando facendo spallucce e andò in cucina a prepararsi la merenda.
Dopo poco si affacciò alla porta, con uno sbaffo di marmellata sul labbro superiore e una fetta di pane in mano: "Ma a me, per il compleanno, mica mi regali un bicchiere d'acqua, eh?"
"Perché, mica vorresti un diamante, per caso?" gli chiese sorridendo lo zio.
"E che me ne faccio! Però non fare come mamma, che mi regalava calzetti, magliette o cose del genere!"
"Mica l'ho fatto mai, io! Cosa vorresti, comunque?"
"Non sarebbe una sorpresa, se te lo dico io. Mi fido di te."
"Beh, meno male che ti fidi, nonostante tutto!" scherzò lo zio.
Ma la vera sorpresa gliela fece Ermando pochi giorni dopo.
Silvio era in balcone che stava stendendo i panni che aveva tolto dalla lavatrice.
Sentì il nipote entrare in casa con uno squillante "Ciao zio! Dove sei?"
"Qui sul balcone..."
"Guarda cosa ho trovato!"
Silvio si giro e vide il nipote, ritto sulla porta del balcone, con un sorriso radioso in faccia ed un fagotto di pelo nero fra le braccia. Un cane!
"Trovato? E dove? Di chi è?" chiese accigliato, presagendo problemi.
"Di nessuno. È un trovatello. Guarda che bel musetto, eh, zio?"
"Mica avrai intenzione di tenerlo, per caso? Magari il padrone lo sta cercando..."
"Ma che padrone! Non ha il collare, non ha la medaglietta, è sporco e ha fame. È stato abbandonato, poverello."
"Ermando, non possiamo tenerci un cane in casa..." disse Silvio e si sentì un verme, fissato dagli occhi tristi e languidi del nipote e da quelli del cucciolo, che avevano proprio la stessa espressione.
"Zio! Ma sì che possiamo... È piccolo..."
"Ma crescerà... chissà di che razza è..."
"Di pura razza bastarda... come me. Ma lui... lui mica ha uno zio che si prende cura di lui, poverello! Dai, zio..."
"Non credi che mi basta prendermi cura di te, per prendere in casa anche un cane?"
"Ma di lui mi prendo cura io, zio!"
"Sì, ora dici così, ma poi... Poi toccherà a me curare quella povera bestia... Un animale non è un giocattolo che finché ti va ti ci diverti e poi te lo scordi o lo butti via."
"Ma a lui l'hanno buttato via! Senti zio, gli compro io da mangiare con la paghetta che mi dai... mi occupo io di lui, lo porto io a passeggio e a fare i bisogni fuori almeno tre volte al giorno... anche quando farà un freddo cane... Te lo giuro!"
"Sì, sì, ora prometti, ma poi..."
"Se vuoi te lo metto per scritto, zio." disse Ermando guardandolo con occhi imploranti.
E quasi contemporaneamente il cagnetto emise un lieve guaito, che sembrava altrettanto implorante.
Silvio stava per reiterare il suo dissenso, ma a quel punto non ne ebbe il coraggio. E capì che, forse, Ermando aveva bisogno di occuparsi, di sentirsi responsabile di qualcuno, sia pure solo di un cagnetto abbandonato.
"Come pensi di chiamarlo?" chiese allora.
Ermando per un attimo rimase pensoso, poi improvvisamente capì che lo zio aveva accettato, e allora, illuminandosi in un sorriso grato e felice, gli andò addosso per abbracciarlo e il cagnetto lappò il viso di Silvio, quasi avesse capito anche lui di essere stato accettato.
E Silvio, a quella leccata, ebbe un pensiero incongruo: preferirei che fosse un bel ragazzo a baciarmi... non un cagnetto!
"Peluche!" esclamò Ermando, felice.
"Che?" chiese Silvio, sottraendosi alle lappate della bestiola e scacciando quel pensiero.
"Lo chiamiamo Peluche. Ti piace?"
"Il cagnetto è tuo... Dovremo dargli una bella ripulita, e qualcosa da mangiare. Poi sarebbe bene portarlo da un veterinario... fargli fare la medaglietta..." Silvo aveva capitolato su tutta la linea. "Però..." aggiunse, "Non voglio che venga a dormire sul tuo letto, chiaro?"
"Gli preparo una cuccia qui in balcone, zio."
"E devi educarlo bene."
"Ci provo. Magari... magari mi dai tu qualche consiglio."
"Io non ne so niente, di cani."
"Neanche di figli ne sapevi niente... però sei meglio del più meglio dei papà!"
"Non serve che fai il lecchino, adesso. E poi non si dice 'più meglio'... si dice migliore."
"No, davvero... Lo sai che ti voglio proprio bene!"
"Sì, sì... Dai, portalo nella vasca da bagno, adesso, e vediamo di dargli una bella lavata. Speriamo che non abbia le pulci."
Ermando era felice e la sua felicità dissipò le ultime incertezze di Silvio.
Quando arrivò Mattia a trovarli, Silvio gli raccontò del cagnetto.
"Hai fatto bene a lasciarglielo tenere. Credo che aiuterà Ermando a crescere meglio, più responsabile." commentò l'amico.
"Speriamo. Comunque gli ho detto che se non se ne cura a modo, lo porto al canile comunale. Non si illuda che me ne prendo cura io."
"E dai, come se non ti conoscessi! Non saresti capace di farlo: da come ne parli sei già affezionato a quel cagnetto." gli disse Mattia con un sorriso.
Silvio gli dette un pugno scherzoso su una spalla. Poi disse: "Avrei preferito che Ermando mi portasse a casa un bel ragazzo, piuttosto! Ma lui pare che sia interessato solo alle ragazzine, anche se non credo che ci abbia ancora fatto niente."
"Beh, è ancora piccolo... Non ha ancora tredici anni..."
"Comunque già se lo mena e viene." disse con un risolino Silvio.
"L'hai sorpreso a farlo?"
"No... ma sono io che lavo le sue mutande e i segni sono inequivocabili, da qualche mese."
"Eh, i figli crescono, i genitori invecchiano..." scherzò Mattia.