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una storia originale di Andrej Koymasky


NON CI SIAMO MAI DETTI "TI AMO"
CAPITOLO 16
ALFREDINO

I gemelli stavano per compiere quattro anni, quando Cecilia fu nuovamente incinta.

"Questa volta, speriamo che sia una femmina." disse la madre quando lo seppe.

"Verrà quello che dio ci manderà, mamma." disse Cecilia, serena.

Nuovamente la gravidanza fu serena, senza problemi. E di nuovo Libero si fece in quattro per sollevare la moglie di tutte le preoccupazioni della casa e dei due piccini, di cui comunque si era sempre preso cura anche lui.

Un giorno Maurizio gli chiese: "Perché la mamma ingrassa? Mangia troppo?"

Libero sorrise, e decise che sarebbe stato giusto preparare i piccoli all'arrivo di una sorellina o di un fratellino. Quindi disse a entrambi: "No, è che la mamma sta preparando un fratellino o una sorellina per voi due e così il nuovo pupo sta crescendo nella sua pancia."

"E come c'è andato a finire nella pancia della mamma?" chiese Massimo sgranando gli occhi.

"Anche voi due eravate nella pancia della mamma, prima di nascere."

"Ah... e noi come c'eravamo finiti?" insisté Massimo.

"Ecco, vedete, quando il babbo e la mamma decidono che sarebbe bello avere un figlio, si mettono d'accordo e allora il babbo mette un semino nella pancia della mamma e se il buon dio è d'accordo, lo fa crescere, crescere e diventare un pupetto che, quando è abbastanza grande, viene fuori dalla pancia della mamma, proprio come avete fatto voi due."

"E questa volta, ci fate avere un fratellino o una sorellina?" gli chiese Maurizio.

"Questo lo può decidere solo il buon dio." rispose Libero con un sorriso.

"Babbo, giochiamo con le costruzioni?" disse Massimo, che evidentemente aveva appagato la sua curiosità.

"Certo. Cosa volete costruire, questa volta?" chiese Libero tirando giù dallo scaffale la scatola con le costruzioni di legno.

"Un castello!" disse Maurizio.

"No, una chiesa!" disse subito Massimo a cui spesso piaceva contraddire il fratello.

"E che ne direste invece di una bella villetta per il nuovo pupo?" propose Libero.

Seduti sul pavimento, tutti e tre si misero a sovrapporre i blocchi di legno, a spostarli, a toglierne uno e sostituirlo con un altro, finché i due piccoli sembrarono soddisfatti del risultato.

"Ma il pupo qui dentro non c'entra mica!" rise Maurizio.

"Certo che no, ma anche se costruivamo un castello o una chiesa, nessuno ci poteva entrare dentro, no?" disse Libero.

"I soldatini di piombo ci possono entrare, però." propose Massimo.

"E vero babbo che anche tu e anche il nonno avete fatto il soldato?" chiese Maurizio.

"Sì, è vero."

"E che avete ammazzato tanti nemici?"

"Non lo so Massimo... forse... la guerra è brutta perché muoiono sia gli amici che i nemici. E muoiono anche alcune mamme e alcuni bambini che con la guerra non c'entrano niente... E alcuni bambini gli muore il babbo e restano soli..."

"Allora è proprio brutta, sì!" esclamò Maurizio.

"Ma il nonno dice che bisogna farla, qualche volta."

"Eh... un po' come quando uno sta male e deve bere la medicina, anche se è amara..." spiegò Libero, pensieroso.

"Babbo, ci racconti di quando tu facevi il cane da caccia?" chiese Massimo.

Libero rise: "No, il babbo non faceva il cane da caccia, ma il guardiacaccia."

"Ah, e cosa fa il guardacaccia?"

"Fa attenzione che non vengano i bracconieri a portare via gli animali del padrone."

"Un balconiere è come un ladro?"

"Si dice bracconiere, non balconiere... Sì, Massimo, è un po' come un ladro."

"E allora tu eri come una guardia?"

"Eh, più o meno."

"Allora non ci racconti di quando eri la guardia di caccia, babbo?" insisté Massimo.

Libero si alzò dal pavimento, andò a sedere su una sedia, li fece sedere uno per gamba, circondò le loro piccole spalle con le braccia e iniziò a raccontare. I gemellini pendevano dalle sue labbra.


Pochi giorni dopo riuscì ad appartarsi con Pietro nella cantina di casa del ragazzo. Prima di mettersi a fare sesso, gli disse fieramente che sua moglie era di nuovo incinta.

"Sei contento, Libero?"

"Sì, certo. Mi piacciono i bambini."

Pietro ridacchiò: "Per mia fortuna ti piacciono anche quelli più grandi come me."

"Scemotto! Mica è la stessa cosa. Mica ci scopo coi miei figli."

"Oh, ci sono padri che lo fanno."

"Che? Ma no, non è possibile! Un padre con un figlio?"

"O con una figlia, perché no. In che mondo vivi? Sono cose che succedono."

"No... piuttosto me lo taglierei, se mi venisse una voglia come quella!"

"Un mio compagno, quando facevo la naja, il padre lo scopava da quando aveva quattordici anni. E prima di lui l'aveva fatto con il fratello più grande."

"Beh, uno così... io lo metterei al muro davanti a un plotone d'esecuzione! A parte che mai con un ragazzetto così piccolo... e tanto meno con il figlio! Come sono possibili cose come queste?"

"Ma il mio amico m'ha detto che a lui gli piaceva."

Libero scosse la testa, poi disse. "Beh... tale il padre e tale il figlio, allora. Dio, m'hai fatto passare la voglia di scopare, con questi discorsi!"

Pietro fece un sorriso come per scusarsi: "Mi dispiace... non credevo che eri così... sensibile."

"Ma scusa, tu immagina di avere un figlio, un ragazzetto... tu scoperesti con lui?"

"Beh, no... credo proprio di no... Credo che non potrei proprio. Che non mi verrebbe manco duro."

"Meno male... o ti avrei tolto il saluto."

"Ma ti piace farlo con me, no?"

"E che c'entra. Prima di tutto sicuramente non sei più un ragazzetto... e comunque sicuramente non mi sei neanche parente alla lontana."

"A me piace un sacco farlo con te."

"Perché qui in paese non sapresti con chi altro farlo." lo prese in giro Libero.

"Credi? E invece ti sbagli."

"E dai! Vuoi dirmi che... E chi sarebbero gli altri, qui in paese?"

"Tanto per cominciare don Felice..."

"Il parroco? Ma via!"

"E come. Ci prova con quasi tutti i ragazzi, mica i piccoli, quelli già grandi sui diciotto anni. Ci ha provato anche con me ma allora io gli ho detto di no, perché mi vergognavo troppo. Adesso forse gli direi di sì, dopo tutto è ancora giovane e bell'uomo... Poi Firmino il panettiere, col suo garzone Antonio... Sai che ha cambiato parecchi garzoni, finché ha trovato quello che ci stava... Poi anche il dottore..."

"Il medico condotto? Il dottor Fazzini?"

"Proprio lui. A lui piacciono uomini fatti, che glielo sbattano in culo. Poi anche Checco, il falegname, che se la rifà con Domenico la guardia... E anche Foschi, il segretario del partito fascista, con un paio di avanguardisti..."

"Ma che è un paese di finocchi, il nostro?" esclamò sorpreso Libero.

"Ma no, saremo una decina su mille abitanti..."

"Quelli che sai tu... magari ce ne sono anche altri... Ma tu come sai di tutti questi? Hai scopato con tutti?"

"No, a parte don Felice, per gli altri me l'ha detto mio cugino Giovanni, che o l'ha fatto con questi o che uno di questi ci ha provato con lui."

"Ah, perciò anche tuo cugino..."

"Sicuro."

"E a lui... gli hai detto di me?"

"No, mai e non glielo dico."

"Meno male. Ma come mai non glielo dici? Come l'hai detto a me, sicuramente..."

"No. Io so che tu non vai a chiacchierare in giro come fa Giovanni, perciò con te ne posso parlare. Con lui non ne parlerei mai. Non è che sia un pettegolo, ma preferisco non rischiare."

"Ma tu, oltre che con me, lo fai anche con altri, qui in paese?"

"No. Solo con Giovanni. Ma a lui piace solo prenderlo in culo... e comunque non lo sa fare bene come fai tu. Ma io e te ci si può vedere di rado... con mio cugino invece lo posso fare spesso, così quando mi tira troppo, gli faccio un fischio e lui mi dà il culo più che volentieri."

"Beh... m'hai fatto venire di nuovo voglia, con questi discorsi. Vieni qui, dai, calati i calzoni." gli disse Libero con un sorrisetto, cominciando ad aprirsi gli abiti anche lui.

Dopo poco stavano scopando, Pietro in piedi, appoggiato con le mani al muro e Libero dietro di lui che gli martellava dentro con vigore, come piaceva al ragazzo, che agitava il sedere contro il pube del giovane uomo a ogni suo affondo. Libero gli aveva infilato le mani sotto la camicia e gli stuzzicava i capezzoli.

Mentre gli stantuffava energicamente dentro, ripensava a tutti quelli di cui Pietro gli aveva parlato e pensò che non avrebbe mai sospettato di nessuno di loro... Ma che perciò quasi certamente nessuno poteva sospettare di lui e questo gli fece piacere. Pietro interruppe il filo dei suoi pensieri.

"Dai, dai Libero, più forte... fammi godere. Dai, fammi sentire quanto ti piace farlo con me." disse cominciando a masturbarsi velocemente.

Libero gli tolse la mano dal membro: "Guai a te se vieni! Dopo devi metterlo a me! E la prossima volta prima me lo metti tu a me e poi io a te, per non rischiare."

Pietro ridacchiò: "Anche a te piace prenderlo in culo, eh?"

"E certo. Mia moglie mica può farlo."

Pietro rise divertito. "Comunque nessuno fotte bene come fai tu. Peccato che non possiamo farlo più spesso."

Libero in quel momento ripensò ad Alfredo, e si disse che magari avesse potuto farlo con Alfredo almeno tante volte quante lo poteva fare con Pietro! Sarebbe stato l'uomo più felice del mondo.

Quel ragazzo gli piaceva, era un bravo ragazzo, carino e di gradevole compagnia... ma non era neanche lontanamente paragonabile ad Alfredo, al suo Alfredo. Ecco, non avrebbe mai potuto dire di quel ragazzo, per quanto fosse gradevole, che era il "suo" Pietro.

Quando infine raggiunse l'orgasmo e si svuotò in lui, scambiarono la posizione e finalmente anche Libero poté sentire un buon membro duro agitarsi dentro di lui. Certo era un pallido sostituto di quello di Alfredo, ma era meglio di niente. Quando faceva sesso con Cecilia, alla fine non si era mai sentito veramente appagato. Con Pietro invece lo era, almeno per un po'. Quando entrambi furono soddisfatti, ricomposero i loro abiti ed emersero dalla cantina.

Libero tornò nel negozio dei suoceri a vedere se avessero bisogno di qualche cosa, poi salì in casa per vedere come stava Cecilia e portare un po' fuori i gemelli.

"Oh, Libero..." lo accolse lei con un sorriso, "giusto tu. Non abbiamo ancora deciso come chiamiamo il pupo se è un maschio... Se è una femmina siamo d'accordo su Gemma, ma se è di nuovo un maschio? Che ne dici di Marco?"

"No... che è, tutti i nostri figli maschi devono avere nomi che cominciano con 'ma'?"

"E... Luca?"

"No, ha solo due sillabe... Massimo e Maurizio ne hanno tre. Io dico che lo dobbiamo chiamare... Alfredo."

"Alfredo? E perché Alfredo?"

"E perché no? Perché Luca o Marco e non Alfredo? Non è un bel nome, Alfredo?"

"Beh... sì... Se ti piace... Anche Alfredo può andare bene."

"Bene, d'accordo, perciò se è un maschio sarà Alfredo. Deciso!" disse Libero, soddisfatto.

Certo, Alfredo era davvero il più bel nome, pensò con un sorriso. I suoi due Alfredo... per la prima volta sperò ardentemente che il nuovo pupo fosse un maschio. E così, ogni volta che avesse chiamato il figlio, avrebbe anche "chiamato" il suo più grande amico.

Giunse il giorno del parto di Cecilia. Tutto si ripeté quasi come la prima volta. Fu chiamata la stessa levatrice, i due uomini attesero in cucina, facendo bollire i pannicelli e preparando l'acqua calda, Libero nervoso, il suocero pacifico che centellinava il vino, e in più solo i due gemelli che razzolavano sul pavimento con i loro giocattoli.

E finalmente giunse la levatrice a prendere i pannicelli e l'acqua calda. "Bene, i miei complimenti signor Norzi: un altro maschietto, vispo e forte come questi altri due quando sono nati!"

"È nato Alfredo!" Libero mormorò, commosso, e pensò che il suo desiderio era stato esaudito.

"Ma sei solo capace a fare maschi, tu, Libero?" gli chiese il suocero. "Quando me la dai una nipotina?"

"Io posso solo provare a fare un figlio, non ho sicuramente nessun modo di decidere se è un maschio o una femmina. Perciò non devi venirlo a dire a me, dovevi piuttosto andare ad accendere un cero alla Madonna o a qualche santo." gli rispose Libero con allegria. Poi si accoccolò accanto ai gemelli e disse loro: "La mamma e il babbo vi hanno fatto un fratellino. Siete contenti?"

"Possiamo giocae con lui, babbo?" chiese Massimo.

"Per ora no, è troppo piccinino. Quando sarà più grande, sicuramente potete giocare con lui, e proteggerlo e aiutarlo a crescere sano e forte come voi due."

"Pecché lui è nato da solo e non in due come noi?" gli chiese Maurizio.

"Vedi tesoro, anche quello non lo possono decidere il babbo e la mamma, ma lo decide il buon dio."

"E come si chiama il fatellino nuovo?" chiese Massimo.

"Si chiama Alfredo. Vi piace come nome?"

"Affedo? Sì mi piace!" esclamò Maurizio allegramente.

"E a te Massimo?"

Il piccino sembrò pensarci un po' su, poi disse: "Beh... sì... Ma mi piacea di più Macco, come il bimbo del lattaio!"

"Ma se gli mettiamo nome come al bimbo del lattaio, come fa poi il vostro fratellino a capire quando uno chiama Marco chi deve rispondere? Tutti i Marco del paese?" chiese Libero. "Pensate che gran confusione!"

I due piccoli risero divertiti all'idea e ripresero a giocare dimenticando il problema.

Quando finalmente Libero poté prendere in braccio il piccolo Alfredo, si sentì commosso al punto di trattenere a stento lacrime di emozione. Lo cullò ammirandolo con infinita tenerezza, poi guardò Cecilia e le chiese: "Non è bello il nostro Alfredino?"

Cecilia sorrise e annuì. Libero si chinò su di lei e le depose un bacio su una guancia, come per esprimerle senza parole, con quel semplice e lieve gesto, la sua gratitudine e la sua felicità.

La madre di Cecilia, Gemma, guardò padre e figlio e sorrise: "Sono belli tutti e due. Sarebbe da fargli una fotografia!" esclamò. "Ma adesso fuori! Cecilia deve allattare il piccino, e devono riposare un po'. Un parto è una fatica sia per la madre che per il figlio!" disse decisa.

Libero annuì, depose il piccino sul letto fra le braccia della madre e uscì, un sorriso felice sul volto.

Anche Alfredino crebbe forte e sano, a vista d'occhio, con le cure assidue del padre, oltre che logicamente della madre. Libero faceva molta attenzione a trattare nello stesso modo i suoi tre figli, ma dentro di sé onestamente non poteva negare di avere una lieve predilezione per il nuovo nato.

Libero imparò anche a riconoscere gli odori del nuovo nato, così diversi da quelli degli altri due piccini. In casa poteva esserci l'odore di stracci bagnati di candeggina, odore della lana bagnata, odore della pasta lievitata, di sudore, di sapone... ogni stanza in casa aveva il proprio odore, che era diverso quello delle stanze della casa dei suoceri o dagli odori nel bazar ma Libero era sempre capace di percepire l'odore dei suoi figli, di distinguerlo fra tutti.

Decise che voleva avere le foto della famiglia, perciò un giorno portò moglie e figli dal fotografo del paese, gli chiese di fotografare ognuno di loro, poi a piccoli gruppi e infine una tutti assieme. Il fotografo scattò diverse pose e quando le ebbe sviluppate e ne ebbe fatta una prima stampa, Lino andò a scegliere quelle che preferiva, e disse al fotografo quante copie di ogni posa voleva. Di ciascuna delle foto in cui c'era solo lui, o solamente Alfredino, oppure lui con Alfredino, fece stampare anche una copia per Alfredo e le mise via in una spessa busta marrone, aspettando con anticipazione la prima occasione in cui gliele avrebbe potute dare.

Una sera, tornando a casa, trovò in terra bussolotto di ferro. Lo aprì e vide che conteneva 167.000 lire. Allora cambiò strada e andò a consegnarlo ai carabinieri, spiegando loro dove l'aveva trovato.

Quando tornò a casa i suoi erano già a tavola. Cecilia gli chiese perché avesse fatto tardi, allora Libero raccontò quanto aveva trovato e portato ai carabinieri.

La suocera gli disse: "Oh ma che cretino sei stato, Libero! Non ti rendi conto di cosa potevamo fare con quei soldi? Cosa potevi fare per i tuoi figli?"

Lino tranquillamente rispose: "Non erano miei, non li potevo tenere. E poi, non ci pensi a che danno avrei fatto al proprietario di quei soldi, se li avessi tenuti? E magari anche ai suoi figli? È chiaro che non li potevo tenere."

Cecilia annuì e disse: "Hai fatto bene, Libero, sono d'accordo con te. E tu, mamma, belle cose insegni ai nostri figli! Meno male che sono ancora piccini, e che non hanno capito quello che hai detto."

Libero si sentì fiero della moglie.


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