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una storia originale di Andrej Koymasky


NON CI SIAMO MAI DETTI "TI AMO"
CAPITOLO 29
INVECCHIARE ASSIEME

La giornata era molto calda. Libero stava portando acqua nel giardino con un secchio, per annaffiarlo quando notò che si lasciava dietro, sul pavimento del soggiorno, una scia di goccioline.

Quando uscì nel giardino, disse ad Alfredo: "Questo secchio perde, dobbiamo comprarne uno nuovo!"

"Ah, e chi vince?"

"Eh? Cosa? Chi vince cosa?"

"Se quello perde, qualcuno deve vincere, no?" rispose Alfredo, serio, come faceva ogni volta che faceva una battuta d'umorismo.

"Tonto! Possibile che tu devi sempre giocare con le parole?"

"Preferiresti che giocassi con uno dei nostri garzoni, magari nel retro?"

"Provaci e ti taglio l'uccello!"

"Ci rimetteresti anche tu..." rise Alfredo.

"Beh... e allora ci proverei anche io con uno dei nostri ragazzi di bottega" rispose allegramente Libero, iniziando ad annaffiare le piante del giardino. Poi si girò a guardarlo e gli chiese: "Ma dì un po', Fredo, quant'è che io e tu non scopiamo?"

"Mmmhhh, lasciami pensare... circa cinquanta ore, mi pare..."

"Cos'è ti stai stancando di me?"

"Ma no, proprio per niente... Però non siamo più due giovanottelli, abbiamo passato la cinquantina tutti e due, da un bel po'."

"Io quando lo facciamo... mi sento ancora un giovanottello, comunque. Perché non molliamo tutto e andiamo sotto la pergola a farlo?"

"Sai che mi piace l'idea?" disse Alfredo alzandosi dalla sedia, posandovi sopra il libro che stava leggendo e avvicinandosi all'amante.

Gli tolse dalle mani il secchio, lo prese per mano e lo portò sotto la pergola. Stese il telo che tenevano lì sotto, lo abbracciò stretto e assieme vi scesero sopra. Si baciarono e iniziarono a spogliarsi lentamente l'un l'altro, accesi di desiderio.

"Avevo paura, adesso che sto avvicinandomi alla sessantina, che mi avresti scambiato con due giovanotti sui trenta anni." scherzò Libero.

"Non ti scambierei mai con nessun altro, neanche con il più bello e il più sensuale dei ragazzi del mondo." gli sussurrò Alfredo.

"Ma una volta facevamo l'amore anche due volte in un giorno... Adesso passano persino sessanta ore senza che lo facciamo."

"E quando avremo cento anni, magari passeranno anche cento ore... ma non mi stancherò mai di farlo con te."

Si baciarono di nuovo e, finalmente nudi, si stesero sul telo, allacciandosi con le gambe e le braccia e spingendosi uno contro l'altro, sfregando le loro erezioni una sull'altra. Le loro mani spaziavano sul corpo del compagno, donandogli e facendo aumentare il piacere e con esso il desiderio.

"Comincio ad avere i capelli grigi..." disse Libero.

"Il che ti rende anche più affascinante."

"Allora non me li devo tingere?"

"Certo che no, Lino. Mi sei sempre piaciuto come sei, dalla prima volta che t'ho visto a questo momento."

Libero scese lentamente a baciare, lecchettare, mordicchiare il corpo dell'amico, soffermandosi sui capezzoli sodi, sull'ombelico, finché raggiunse il bel membro dritto e duro. E finalmente si dedicò per un poco al membro di Alfredo. Questi si girò pian piano, in modo di rendere le stesse attenzioni al suo amante, e furono uniti in un calmo ma esperto e gradevolissimo sessantanove. Se lo succhiarono, leccarono l'un l'altro, compiacendosi nel percepire i sempre più forti fremiti del compagno man mano che il piacere s'intensificava.

Poi si staccarono, Libero si rovesciò in modo di baciarlo e far diminuire un poco le loro eccitazioni, per non giungere troppo rapidamente all'orgasmo. Era come un rituale, ben conosciuto e sempre nuovo, che compievano in perfetta armonia.

"Mi prendi, ora?" gli chiese Libero in un sussurro eccitato.

"Certo..." annuì Alfredo con un ampio sorriso, mentre Libero si metteva in posizione.

Alfredo gli andò sopra, con poche spinte esperte gli si immerse tutto dentro e iniziò a stantuffargli dentro con la consueta perizia e con piacere reciproco. I loro occhi erano come calamitati, spiando ciascuno i segni del godimento negli occhi dell'altro. Se ognuno di loro trovava bello il proprio compagno, in quei momenti lo trovava splendido.

No davvero, pensava Alfredo, non ci stancheremo mai di fare l'amore... e sapeva che un simile pensiero aleggiava anche nella mente del compagno.

Gli si muoveva dentro, alternando momenti di spinte calme e lunghe, a momenti in cui si prodigava con spinte più forti e veloci. Frattanto entrambi si stuzzicavano l'un l'altro nei punti più sensibili del corpo, si univano in nuovi baci, si scambiavano sorrisi teneri e sensuali, in una sinfonia di emozioni.

Libero spiava l'accumularsi del piacere nel suo compagno, cogliendone i mille sottili sintomi, sentendosi felice di essere lui la causa di quel piacere. Senza bisogno di pensarci, di volerlo, il suo corpo rispondeva autonomamente in modo di donare ancora più piacere all'altro. E quando Alfredo raggiunse l'orgasmo e iniziò a svuotarsi in lui con forti spinte appassionate, gemendo lievemente per l'intensità del godimento, Libero si sentì felice. Quelli erano momenti, forse brevi ma intensi, di reale felicità.

Dopo pochi minuti d'interludio, in cui si baciavano e carezzavano con immutato piacere e desiderio, era Alfredo a offrirsi con una lieta espressione al compagno, e Libero lo prendeva con totale dedizione. Tanto Alfredo godeva nel sentire il forte membro agitarsi dentro di lui, duro come acciaio temperato eppure soffice come la più pregiata seta, altrettanto Libero godeva nel sentire il proprio membro accolto e avviluppato nel caldo e morbido canale d'amore dell'amante.

Tutto sommato, specialmente dopo tanti anni, i gesti che compievano nell'unirsi erano sempre gli stessi, eppure non erano routine, non venivano a noia, e anzi ogni volta erano goduti come se fossero stati sempre diversi e sempre nuovi.

Quando anche Libero raggiunse la vetta del piacere e si abbandonò al suo orgasmo, Alfredo lo accompagnò muovendosi ad arte con lui e sotto di lui, facendo palpitare con vigore l'ano, carezzandolo ad arte, finché l'amico si lasciò andare su di lui, ansando felice.

Si stesero, rilassandosi, carezzandosi teneramente e scambiandosi baci lievi e dolci. Si guardavano e si sorridevano. Restavano così per parecchi minuti, di solito in un silenzio carico però di comunicazione, che diceva all'altro quanto era stato bello unirsi di nuovo.

Gli anni trascorrevano sereni.


Una domenica mattina, poiché la bottega era chiusa, stavano poltrendo sul loro letto, teneramente abbracciati, quando sentirono bussare alla porta del piano di sotto.

"E chi può essere?" chiese Libero.

"Beh, aspetta un attimo che vado a vedere." rispose Alfredo, indossò una vestaglia e, invece di andare al piano di sotto ad aprire, traversò il corridoio e andò nella camera che dava sulla facciata. Aprì la finestra e guardò giù. Riconobbe subito, anche così dall'alto, Alfredino e con lui c'era una donna e due ragazzini.

"Un attimo... vengo subito ad aprire!" gridò lietamente.

Tornò in camera per mettersi le pantofole. Libero, alzandosi a sedere sul letto, gli chiese: "Chi è?"

"Visite. Mettiti qualcosa addosso, e scendi in soggiorno. Li faccio entrare lì."

"Ma chi è? Chi sono?" chiese di nuovo Libero, avendo notato il plurale che Alfredo aveva usato.

"Sono i gendarmi..." inventò Alfredo.

"I gendarmi? E che vogliono? E di domenica?"

"Sai gli svizzeri come sono... E sarà per la nostra richiesta di cittadinanza..."

"Ah, sì, è probabile."

Alfredo, trattenendo a stento una risata divertita, scese svelto ad aprire la porta.

"Zio Fredo! Che piacere vederti... Ma... ti abbiamo tirato giù dal letto?" disse Alfredino.

"No, è già un po' che sono sveglio, stavo semplicemente perdendo tempo... Ma non fate rumore... Entrate."

"Il babbo dorme ancora?"

"No no, è sveglio anche lui... ma visto che siete arrivati di sorpresa, non gli ho detto che siete voi." Li fece accomodare in soggiorno e sedette anche lui. "Avete fatto un buon viaggio?" chiese poi.

"Sì, ottimo. Finalmente ci siamo potuti comprare un'automobile, così siamo potuti venire su tutti e quattro."

"Il babbo sarà felice." gli disse Alfredo.

Arrivò Libero, che si era vestito di tutto punto. Appena aprì la porta del soggiorno lanciò un "oh!" di sorpresa. Alfredino si alzò e gli andò incontro, e si abbracciarono stretti.

Poi il giovanotto disse: "Babbo, questa è Silvia, mia moglie, e questi sono i nostri frugoletti, Lino e Renato..."

Libero andò a salutare la nuora, poi si accoccolò davanti ai due ragazzetti: "Lasciatevi guardare, finalmente vi posso abbracciare! Venite qui..." disse aprendo le braccia. I due ragazzetti gli si accostarono e Libero li strinse entrambi.

"Salutate il nonno." disse Silvia.

"Buongiorno, nonno."

"Vi fermate qualche giorno, vero?" chiese Alfredo.

"Solo un paio di giorni, ma adesso che abbiamo l'auto, torneremo."

"Dobbiamo trovare il modo di sistemarvi su al piano di sopra... C'è solo un letto matrimoniale in camera mia... ma dobbiamo trovare qualcosa per i ragazzi." disse Alfredo.

"Ma... e tu dove dormi?" chiese uno dei ragazzetti ad Alfredo.

"Andrò a dormire nella camera del nonno..." disse Alfredo guardando Alfredino.

Questi annuì con un sorriso e disse: "Grazie. I ragazzi per un paio di notti possono dormire con noi sul letto matrimoniale, non preoccuparti, zio Fredo."

Libero disse: "Vuoi far vedere il giardino a Silvia e ai miei bei nipotini?"

Alfredo capì che voleva stare qualche minuto solo col figlio, annuì e li portò fuori.

Quando furono nel giardino, Silvia disse: "Non vedevamo l'ora di conoscerla, il nostro Alfredo ci ha parlato tanto di lei. Vero ragazzi? E anche di incontrare finalmente il nonno..."

"A Lino è dispiaciuto molto non poter venire al vostro matrimonio... in quei giorni aveva la febbre, purtroppo."

"Sì, lo sappiamo, signor Alfredo... E comunque il viaggio è piuttosto scomodo. Ora con l'automobile è molto più semplice."

"Non potremmo darci del tu? E chiamami Fredo... come mi chiama Lino, cioè, Libero, così non facciamo confusione con Alfredino... cioè il suo Alfredo."

Silvia sorrise e annuì. "Sono davvero contenta di conoscerti e di incontrare finalmente nonno Libero. Sentirci per telefono o mandarci fotografie non era abbastanza. E anche i piccoli ci tenevano a conoscere sia il nonno Libero che lo zio Fredo. Vero ragazzi?"

"Sì... È bello qui da voi..." disse il più grande, Lino.

"È il nonno Libero che ha fatto e che cura questo giardino, sai?"

Frattanto in soggiorno, Libero e Alfredino, seduti sul sofà fianco a fianco stavano parlando.

"Silvia, m'hai detto, sa di Fredo e me, vero?"

"Sì, certo."

"E... come l'ha presa?"

"Bene. Tranquillamente."

"È una donna in gamba. Ed è anche carina... e i piccoli deliziosi. Ma i piccoli non sanno, immagino."

"Non ancora, sono troppo piccoli perché capiscano. Quando saranno più grandi glielo diremo. Ma li stiamo preparando in modo che al momento giusto capiscano. Tutti e tre non vedevano l'ora di conoscervi, finalmente."

"Mi hai fatto... mi avete fatto una bellissima sorpresa. Peccato che possiate fermarvi così poco."

"Perché non venite mai a trovarci?"

"Oh, sai, la bottega... il viaggio... e tornare al paese... rivedere Maurizio e Massimo che ancora non me l'hanno perdonata..."

"Beh, sì, capisco, babbo. Ma adesso che abbiamo l'auto, magari verremo su a trovarvi noi."

"E faremo aggiungere due lettini nella stanza... degli ospiti... o di Fredo, ufficialmente."

"I piccoli erano molto eccitati all'idea di poter finalmente incontrare il nonno... e lo zio Fredo. Anche se ora li vedi così timidi timidi, aspetta che si ambientino e chi li terrà più? Sono due cicloni."

"Sono così belli..."

"Ma soprattutto buoni, a dispetto delle marachelle che mi combinano."

"Vanno già a scuola, vero?"

"Sì, Lino fa la quarta e Renato la prima elementare. Per fortuna piace a tutti e due andare a scuola. Andiamo con loro in giardino, babbo?"

Quando vi giunsero, Alfredo aveva i due piccoli seduti ognuno su una gamba e gli stava raccontando qualcosa. I due piccini lo ascoltavano sorridenti.

"Ehi, vi siete già accaparrati lo zio Fredo?" disse allegramente Alfredino.

"Sì, lo zio Fredo ci racconta di Guglielmo Otello, l'eroe svizzero!" esclamò Renato.

"Guglielmo Tell, si chiamava, non Otello." lo corresse Alfredo sorridendo.

"Sì, va bene, e allora, quando gli ha messo la mela in testa, suo figlio non aveva paura?"

"No, certo, perché sapeva che il suo babbo aveva una buonissima mira, e non gli avrebbe mai fatto male."

"Ma quel re cattivo non lo sapeva e sperava che il babbo sbagliava, vero?" chiese Lino.

Libero, Alfredino e Silvia si guardarono e sorrisero. Poi Libero chiese al figlio: "Dove avete lasciato l'automobile?"

"In Piazza Grande. Forse è meglio che vada a prendere i nostri bagagli."

"Sì, ti accompagno... Vuoi venire con noi, Silvia?" disse Libero. "I miei nipotini sono in buone mani."

"Certo, vengo anche io, babbo." disse la giovane donna con un sorriso.

Quando tornarono, Alfredo era steso sul tappeto del soggiorno con i due piccoli su di lui che cercavano di tenerlo fermo e fargli solletico.

"Eccoli scatenati!" mormorò Silvia, divertita. "E chi li tiene più, ora?"

Quei due giorni passarono anche troppo in fretta. Libero era veramente felice e Alfredo di riflesso era felice con lui.

Andarono a comprare due lettini da aggiungere alla camera che non usavano. La famigliola tornò diverse volte, fermandosi anche per un paio di settimane nel periodo delle vacanze, poi dovettero aggiungere un terzo lettino quando nacque anche la piccola Elisabetta.

Maurizio e Massimo non cambiarono mai il loro atteggiamento nei confronti del padre, e questa era l'unica spina nel cuore di Libero. Ma era compensata dall'affetto di tutta la famiglia di Alfredino.

Quando, prima Lino, poi Renato furono abbastanza grandi, i genitori spiegarono loro il vero rapporto che legava nonno Libero allo zio Alfredo. I due adolescenti, già per tempo preparati dal padre e dalla madre, non ne furono minimamente sorpresi né scandalizzati, e accettarono con naturalezza il fatto.

Libero stava per compiere settanta anni e Alfredo ne aveva appena compiuti sessantasei, quando trovarono un bastardino smarrito. Un giorno lo trovarono fuori dalla porta della bottega, quando chiusero per tornare a casa. Il cane scodinzolando li accompagnò fino alla loro casetta. Allora Alfredo prese qualcosa da mangiare in dispensa e con una ciotola d'acqua li mise fuori dalla porta.

La mattina seguente il bastardino era lì. Appena li vide li riaccompagno, sempre scodinzolando, fino alla bottega. Dopo alcuni giorni, decisero di prenderlo in casa, gli costruirono una bella cuccia in giardino e lo adottarono... o forse il cane aveva adottato loro due. Dopo poche discussioni, decisero di metterli nome Fox, poiché aveva il muso di un volpino.

Ma Libero pose una condizione: "Però non deve mai salire sul nostro letto! Dormire con il cane nel letto è come dormirci con un paio di scarpe sporche; infatti il cane sta sempre per terra... Il cane ha odore di scarpe vecchie."

Alfredo sorrise e annuì.

La vita scorreva serena, i tre nipoti crescevano a vista d'occhio, e con i genitori andavano a trovare il nonno e lo "zio" almeno tre volte l'anno. Per non farli stare troppo stretti nella stanza loro riservata, Libero e Alfredo comprarono tre poltrone letto che misero nel soggiorno, e un paravento per dare un po' di privacy a Elisabetta, che stava diventando una signorina. Anche crescendo, i tre nipoti andavano sempre volentieri in Svizzera per stare con loro.

Libero stava per compiere ottanta anni. Una notte, dopo aver fatto l'amore, con meno focosità che non nei loro anni giovanili, ma non con meno desiderio o piacere, si addormentarono pacificamente, semi-abbracciati come sempre.

La mattina seguente Alfredo si svegliò. Cercò di svegliare anche il suo Lino... e si rese conto che non si sarebbe svegliato mai più.


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