Sulla piazza del convento di Santa Chiara, di fronte alla chiesa, sull'altro lato della bella piazza, sorge un'antica e nobile costruzione, conosciuta come Palazzo Marini. Fu fatta costruire dal conte-duca Federigo Marini di Vallalba, condottiero del re, nel 1708, si dice dal famoso architetto Filippo Juvara allora trentenne, benché la sovraintendenza ai monumenti lo neghi, alcuni critici d'arte lo sostengano e altri dicano che è opera di allievi dello Juvara.
È un palazzo con un corpo centrale di tre piani, portone centrale sormontato da un balcone, cinque finestre per piano e il cornicione decorato con una balaustrata che ne nasconde i tetti mansardati. A destra e sinistra vi sono due corpi anche di tre piani, ma che arrivano solo all'altezza del secondo piano della parte centrale, anch'essi sormontati da balaustrate di pietra con finti vasi. La facciata, nel pian terreno è decorata da una parete liscia con incavi orizzontali, i due piani superiori hanno quattro lesene e le finestre sono sormontate da timpani triangolari o a arco ribassato.
Il portone centrale dà in un androne che conduce al giardino e alla rimessa delle carrozze, e in cui, sulla destra, si apre l'ampio scalone a due rampe che porta al primo piano. Nel complesso è un palazzo di una sobria eleganza, che denota come l'antenato che lo fece costruire non avesse problemi di denaro. Il corpo centrale era destinato alla famiglia nobile e le due ali laterali alla numerosa servitù.
Attualmente alla famiglia Marini di Vallalba non resta in proprietà che il primo piano del corpo centrale. Il pianterreno e il secondo piano, come pure le due ali, le rimesse delle carrozze e il giardino non appartengono più alla famiglia. Ai giorni nostri essa è composta dal vecchio conte Romano Amedeo (nei secoli la famiglia ha perso il doppio titolo di conte-duca) che è sordo come una campana, un po' svanito e che passa tutto il suo tempo a dipingere nature morte di poco valore artistico, e poiché le tele costano troppo, lava con solventi le più vecchie tele e ridipinge su esse. Vi è poi suo figlio Demetrio Leone, con la consorte Beatrice Maurizia dei baroni Santelli di Colloredo e il loro unigenito, il giovane Amedeo Ruggiero che frequenta la facoltà di legge all'università statale.
Tutto il primo piano del corpo centrale, come si è detto, appartiene ancora alla famiglia del conte, ma le quattordici stanze che lo compongono sono praticamente vuote o arredate con vecchi mobili troppo sgangherati per avere un qualche valore venale. L'unica eccezione sono la stanza d'ingresso, il salotto e il corridoio, che sono ancora arredati con pezzi di raro pregio, e il bagno degli ospiti. Ma i quadri che decorano le pareti sono copie molto ben eseguite delle pregiate opere che anticamente adornavano le stanze.
Anche i gioielli della contessa sono imitazioni, poiché i pezzi originali sono stati venduti da qualche tempo, come quasi tutti i mobili e le suppellettili di maggiore pregio, e anche gli antichi volumi che gli antenati avevano collezionato non riempiono più le belle librerie. Già il vecchio conte Romano aveva dovuto iniziare a vendere i tesori di famiglia, per pagare i debiti che faceva giocando a whist con altri nobili, con finanzieri e altre persone dell'élite cittadina.
Il conte Demetrio, invece, aborriva i giochi d'azzardo, pertanto non aveva mai perso un solo centesimo al gioco; si peritava però di essere un bravo giocatore di borsa... e aveva così aumentato le perdite che aveva fatto suo padre.
Nonostante anni di avverse fortune, e la continua spoliazione del patrimonio prima, e dell'appartamento poi, l'orgoglio impediva loro di lasciar vedere che erano in condizioni via via più misere. Pertanto, di tanto in tanto, ricevevano nel salotto. In queste occasioni il conte prendeva in affitto i libri per riempire ancora una volta le librerie, i camerieri che servivano i rinfreschi, e tutto ciò che poteva servire per ricevere gli illustri ospiti, senza che questi potessero rendersi conto che a parte la sala d'ingresso, il salotto, il corridoio e il bagno... tutto il resto era miseria e desolazione.
"Per fortuna ai giorni nostri si può affittare qualsiasi cosa!" usava dire di tanto in tanto il conte Demetrio. "Compresa un'auto con autista per andare a teatro."
Logicamente, avevano anche il loro palco di famiglia al teatro dell'opera, poiché amavano far credere che oltre a essere ancora ricchi fossero appassionati di opera e di cultura. In realtà era una buona occasione per incontrare la crème della città nel ridotto del teatro e intrattenere buone relazioni sociali. L'ultimo possesso che ancora avevano, era la bella cappella di famiglia nell'ala monumentale del cimitero. Il giorno dei morti, vendendo qualche ultimo pezzo di valore che ancora avevano in casa, facevano riempire di fiori e di grandi ceri accesi la cappella, per mostrare a tutti la loro "pietas" e più ancora il loro benessere.
L'unica fonte di reddito cella famiglia erano le antiche rimesse delle carrozze, che, dopo averle aperte verso la via posteriore, erano affittate come garage a diversi proprietari di automobili della zona. Il reddito era a mala pena sufficiente per coprire le spese vive della famiglia e pagare le forti tasse del vasto appartamento che veniva considerato "di lusso" e che era vincolato, come tutto il palazzo, dalle regole della sovraintendenza ai monumenti.
Con la scusa che il vecchio nonno s'irritava se vedeva estranei per casa, Amedeo fin dalle medie inferiori non aveva mai invitato i compagni e andava a studiare a casa loro. D'altronde Amedeo non aveva neppure alcun vero amico: quando non si è in grado di ricambiare gli inviti, non è facile mantenere amicizie.
Il giovane Amedeo quindi non invitava mai i suoi compagni a studiare da lui, si sarebbe vergognato di portarli nella sua stanza da letto, grande e con begli stucchi al soffitto ma con una lampada nuda che pendeva dal centro, belle tende alle finestre (poiché si potevano vedere dall'esterno) ma un lettino quasi da caserma, una vecchia scrivania sgangherata, una sedia dozzinale, alcune étagères per i libri scompagnate e malridotte, un armadio la cui porta aveva perso lo specchio e non chiudeva più per cui Amedeo la teneva sempre aperta.
La contessa Beatrice, quando non era occupata a fare le pulizie di casa o a cucinare i loro magri pasti, s'industriava per cucirsi abiti, togliendo dagli antichi armadi, prima di venderli, i rivestimenti di seta, trasformando ogni anno gli abiti che aveva, facendone dei nuovi, acquistando solo qualche scampolo di seta per variarne l'aspetto e farli sembrare nuovi, ispirandosi alle riviste di alta moda.
Il vecchio conte Romano da anni non usciva più da casa, e solo quando il figlio e la nuora davano un ricevimento, indossava il suo unico abito di taglio classico, che perciò non passava mai di moda. Il conte Demetrio e Amedeo, invece, per l'occasione prendevano in affitto un completo per essere presentabili e non indossare sempre gli stessi abiti.
Così, per anni, erano riusciti a tenere nascoste a tutti le loro reali, misere condizioni di vita.
Quando era nato Amedeo, il conte Demetrio si era lamentato con la moglie: "Se tu mi avessi dato una figlia, avremmo potuto sposarla a qualche ricco possidente e risollevare così le sorti della famiglia!" l'aveva rimproverata.
La contessa Beatrice si era giustamente offesa: "Caro signor marito, per tua norma e regola i figli si fanno in due, pertanto se è nato un figlio e non una figlia, è almeno tanto colpa tua quanto mia! Inoltre, ti faccio presente, che se avessimo avuto una figlia, si sarebbe dovuto fornirla di una buona dote, cosa che, come sai bene, non ci è possibile! Mi sembra invece provvidenziale che abbiamo avuto un maschio, almeno possiamo maritarlo a una ragazza di famiglia ricca che ci porterà la sua dote! Voi uomini non avete mai avuto un po' di senso pratico."
Il vecchio conte Romano, che aveva colto una parola su cinque, interloquì, con la sua voce bassa e roca: "Chi si sposa? E perché si sposa di notte? Ci hanno invitati? E che cosa gli portiamo come regalo di nozze?"
"Nessuno si sposa, papà, stavamo parlando di nostro figlio!" gli rispose il conte Demetrio ad alta voce perché il padre lo sentisse.
"Quale rosa del coniglio? Ma di che diamine state parlando voi due?" chiese il vecchio conte e riprese a dipingere la sua ennesima natura morta. "A volte mi sembrate due matti!"
Ma purtroppo, un triste giorno, i genitori di Amedeo si resero conto che anche il loro sogno di poter trovare una nuora che portasse con sé una cospicua dote, s'infranse miseramente.
Infatti la contessa Beatrice, mentre Amedeo era a lezione al liceo classico dove frequentava l'ultimo anno, era andata nella stanza del figlio per cambiare la biancheria del letto. Quando aveva finito, prese fra le braccia le lenzuola e le federe da lavare, si avviò verso il bagno in cui era la vecchia lavatrice. Non si era accorta che un lembo delle lenzuola pendeva davanti a lei, fra le sue gambe, toccando il pavimento.
Stava per uscire dalla stanza, quando s'inciampò su quel lembo e perse l'equilibrio. Lasciò andare la biancheria e per non cadere si aggrappò alla bassa étagère accanto alla porta ma questa, che stava in piedi per un puro miracolo, cadde rovesciando sul pavimento tutto il suo contenuto: libri, quaderni, scatole, cartelline, e tutto il resto.
La contessa si trovò a quattro zampe sul pavimento, circondata da tutti quegli oggetti. Ripresasi dallo spavento per la caduta, si alzò, rizzò di nuovo l'étagère, rimettendo il blocchetto di legno sotto la zampa mancante, quindi iniziò a raccogliere i libri e a rimetterli sui ripiani. Una delle vecchie scatole da camicia si era aperta e aveva sparso sul pavimento le carte che conteneva.
Brontolando, la madre di Amedeo si mise carponi sul pavimento per raccogliere le carte, quando le capitò in mano una rivista che la lasciò a bocca aperta e senza respiro: sulla copertina erano rappresentati due uomini seminudi che si... che si... che si baciavano! Sgranò gli occhi e, con mani tremanti iniziò a sfogliarla: all'interno le pagine di carta patinata mostravano fotografie di uomini completamente nudi che si accoppiavano nelle più depravate pose!
La contessa Beatrice si sentì mancare, si afflosciò lentamente a sedere sul pavimento e iniziò a farsi aria con quella rivista, che mentre si sventolava si riaprì mostrandole il suo osceno contenuto. Con un breve grido la lanciò lontana da sé e si fece aria sventolando la mano vuota davanti al volto, cercando di calmarsi.
Poi si alzò, andò verso il punto in cui era caduta la rivista che aveva lanciato via, la raccolse prendendone un angolo fra pollice e indice come se stesse sollevando un disgustoso topo morto e, una mano al petto che le batteva in un ritmo disordinato, uscì dalla stanza. Bene o male raggiunse la stanza in cui il marito stava leggendo il giornale finanziario e prendendo appunti e si fermò sulla soglia appoggiandosi allo stipite.
"Demetrio..." gemette con voce stridula, agitando debolmente il corpo del delitto davanti a sé, verso il marito, "Demetrio... guarda che cosa ho trovato nella stanza di tuo figlio!"
Il conte fu subito messo in allarme, non tanto dal tono pressoché isterico della consorte, quando dal fatto che aveva detto "tuo figlio". La conosceva ormai a sufficienza per capire che Amedeo doveva aver combinato qualcosa. Si girò a guardare la contessa e la vide, pallida, quasi barcollante, che agitava in una mano una rivista che non riusciva a distinguere bene.
"Che cosa accade, Beatrice?" le chiese, lievemente accigliato.
"Guarda questa... questa... rivista!" disse la donna pronunciando l'ultima parola come se fosse stata una parola sconcia, in un tono anche più isterico di prima.
"Di che si tratta? È per caso una pubblicazione... comunista?" chiese, intravedendo una predominante del color rosso sulla copertina.
"Peggio... peggio, Demetrio... molto peggio!"
"Anarchica?" chiese l'uomo alzandosi dal tavolo.
"No, peggio, molto, molto peggio!"
Il conte avanzò verso la moglie, cercando di vedere di che rivista si trattasse per ridurre in quelle condizioni la donna. Intravide un torso nudo d'uomo e credette di capire. Sorrise: "Una rivista di atletica?" chiese domandandosi perché la moglie fosse così sconvolta.
"Come puoi dire cose così assurde, Demetrio? Se ti dico che è peggio che se fosse comunista o anarchica... Guarda!" gridò quasi, continuando ad agitare la rivista.
Demetrio finalmente allungò una mano e prese da quella della moglie il corpo del reato, vide chiaramente la fotografia in copertina e sbiancò. "Dove... dove hai trovato questa... questa... pubblicazione?" chiese a voce bassa.
"Fra le cose di tuo figlio! E non hai visto il peggio... Sfogliala... Guarda dentro... Che schifo... che vergogna... che disgusto... Guarda!"
Il conte l'aprì a caso, e vide il paginone centrale: a tutta grandezza vi erano raffigurati due giovani uomini atletici ricurvi uno contro l'altro, ognuno con il membro dell'altro infilato dentro la bocca!
"Amedeo?" chiese incredulo.
"C'è... c'è... c'è... la su... la sua... fo... foto... fotografia?" chiese la contessa balbettando e portando entrambe le mani al petto a destra, premendole contro il cuore, sbagliando però il lato in cui era.
"Ma no! Non di Amedeo." disse a voce bassa l'uomo. "Ma l'hai trovata... in camera... sua?"
"E di chi sennò? Quanti figli abbiamo, tu e io? Certo che era in camera di Amedeo! Che vergogna... che disgusto... che schifo!"
"Ma com'è possibile? Vorresti dire che tuo figlio è... è... uno di quelli?"
"Non mi pare proprio una rivista d'arte, quella! Perché mai l'avrebbe nascosta fra le sue cose se... se non fosse... un... un... un invertito?" chiese la dama in tono ancora più stridulo, tanto che quasi le feriva le orecchie.
Il conte Demetrio aveva richiuso la rivista, poi l'aveva arrotolata stretta in modo che non fosse più possibile distinguerne l'immagine di copertina e la strinse nella mano che lasciò ricadere al fianco. Guardò la moglie e chiese: "E ora... che facciamo?"
"Se tu l'avessi allevato come si deve..." iniziò a lamentarsi la moglie.
"Io l'ho allevato con tutti i più sani princìpi!" protestò il conte. "Quello che conta non è com'è stato allevato, comunque, ma che cosa fare ora."
"Perché doveva capitare a noi una disgrazia così grande? Come se non ci fossero già abbastanza problemi, in questa casa!" si lamentò la contessa. "Che abbiamo fatto di male per essere così perseguitati dalla cattiva sorte? Che possiamo fare, ora?"
"Portarlo da un medico, da uno specialista, farlo curare! Che altro?"
"Non dal nostro medico di famiglia! Sarebbe una vergogna troppo grande."
"E invece sì, proprio dal nostro medico di famiglia, il dottor Ernesto Carradori. Il medico di famiglia è come il confessore, deve tenere il segreto e il dottor Carradori è la persona più competente e corretta che io conosca. Un medico che non conosciamo, chi ti dice che saprebbe tenere il segreto?" affermò il conte.
"Ma forse... ma forse Amedeo... forse non è sua, quella rivista..."
"Ma via! Credi che l'abbia presa in prestito alla biblioteca comunale?"
"Ma forse... ma forse Amedeo... era solo curioso..."
"Non l'avrebbe nascosta, non l'avrebbe conservata in casa... Ma possibile che tu non abbia mai sospettato nulla, fino a ora?"
"Perché, tu che cosa hai sospettato?" insorse la moglie. "Dopo tutto Amedeo è un uomo, e perciò..."
"Un uomo? Speriamo... non lo so, dopo che... dopo aver visto... questa!" disse il conte agitando la rivista stretta in pugno come un pezzo di tubo.
"Stavo dicendo che, poiché è un ragazzo, toccava soprattutto a te parlare con lui di... di certe cose. Hai mai fatto con lui un... un discorso... fra uomini? Sui... sui misteri della vita?"
"Ma sì, certo, sulle farfalle, gli uccellini e i cani! Certo che gli ho spiegato che i figli non li porta la cicogna. Certo che gli ho spiegato quello che... che un uomo deve fare con... con una donna!"
"Ma che non deve fare con un altro uomo!" strillò la contessa scuotendo il capo con espressione smarrita. "Quando torna a casa da scuola... devi affrontarlo, devi... devi fargli mettere le carte in tavola... devi... Oh, dio, chissà da quanto tempo... chissà... e... Oh, dio, avrà... anche lui... quelle cose... Con chi?"
"Con chi... che cosa?" chiese il conte Demetrio.
"Con chi fa quelle cose, tuo figlio!" strillò la contessa.
"E che vuoi che ne sappia io! Ne so quanto te, no? E poi... e poi magari... magari non ha ancora fatto niente. Magari... magari è solo curiosità la sua... Aspettiamo che torni a casa, prima di trarre conclusioni affrettate. Parliamo con lui e..."
"Tu! Tu parli con lui. Io mi vergognerei troppo a parlare di quelle oscenità! Siete due uomini, deve essere un discorso fra voi! Una cosa fra uomini!"
Il conte con sconsolata ironia, pensò che anche quanto era raffigurato in quella rivista oscena erano proprio cose fra uomini. Ma logicamente non lo disse alla moglie.