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una storia originale di Andrej Koymasky


MA QUANTI INTRIGHI! CAPITOLO 3 - IL RICEVIMENTO

Arrivarono i fattorini con i libri. Il conte Demetrio tirò fuori il disegno della loro disposizione nelle librerie e lo consegnò all'incaricato, che fatti aprire gli scatoloni, li fece disporre nel giusto ordine sui ripiani. Quando furono in ordine, il conte, che nel frattempo aveva spuntato i titoli sull'elenco, firmò la ricevuta e pagò l'importo, accordandosi per l'ora in cui sarebbero tornati a riprenderli due giorni dopo.

Più tardi arrivarono anche quelli che portavano il televisore, lo stereo e la fornitura di CD con le musiche. Li piazzarono, li provarono, quindi il conte pagò anche loro. Nel frattempo la contessa stava lavando il servizio di bicchieri e di caraffe di cristallo, le porcellane del servizio inglese, e lucidava i bricchi d'argento del caffè, del tè e del latte e le posate che quella mattina l'agenzia presso di cui li avevano presi in affitto aveva inviato.

Facevano sempre passare i fattorini dalla porta posteriore del giardino, per non far capire che stavano portando loro o riportando via tutte quelle suppellettili che affittavano in occasione dei loro ricevimenti.

A sera, finalmente tutto era pronto per il giorno seguente. A metà mattina il servizio di catering avrebbe inviato i rinfreschi e il personale di servizio. Si affidavano a quell'agenzia perché era l'unica che garantiva di inviare sempre lo stesso personale di servizio, sì che potesse passare per la servitù fissa della casa.

La contessa Beatrice chiese al figlio: "Amedeo, hai messo la sveglia per questa notte?"

"Non ancora, mamma. Ma è proprio necessario che io vada a rubare fiori nel giardino?"

"Rubare! Rubare! Che parola grossa!"

"Il giardino non è più nostro, appartiene metà all'ufficio di rappresentanza della Pubblicitaria Federzoni e l'altra metà allo studio legale Mangili e Rovelli!" protestò Amedeo.

"Suvvia! Per qualche fiore... non devi mica spogliare un'aiuola! Ne prendi al solito uno qui uno là... neanche se ne accorgeranno. Il salotto deve avere almeno quattro composizioni floreali, come le altre volte, no? Possibile che tu debba sempre fare storie? E in piena notte non c'è nessuno negli uffici, chi vuoi che ti veda? D'altra parte sarebbe assurdo che sprechiamo i nostri pochi soldi per i fiori."

"Non sarebbe più semplice smettere di fare questi ricevimenti, giacché non ce li possiamo permettere?"

"E far capire a tutti che siamo ridotti in miseria? Vergognarci di fronte a tutti? Piuttosto preferirei morire... che d'altronde morirei di vergogna se si sapesse. Non fare storie, Amedeo. Vai subito a mettere la sveglia alle tre di notte, che è l'ora migliore. Vai ora, o rischi di dimenticartene! Poi vai a fare la doccia, ché prima di andare a letto la voglio fare anche io."

Amedeo si recò di mala voglia in camera sua e regolò la sveglia. Si spogliò, indossò il pigiama e andò in bagno. Si denudò, regolò l'acqua nel box doccia e vi s'infilò sotto. Prese il sapone di Marsiglia e si lavò prima i capelli, poi tutto il corpo. Mentre si sciacquava, pensò all'ultima volta che aveva fatto l'amore con Sergio, e pensò che gli sarebbe piaciuto poterlo fare una volta sotto la doccia, ma nella mansarda del suo compagno di corso c'era solo un lavandino: Sergio faceva il bagno completo solo quando tornava a casa per i week-end.

Pensando a Sergio si eccitò e, restando sotto il getto della doccia, chiuse gli occhi, appoggiò la schiena contro le piastrelle della parete e iniziò a masturbarsi lentamente. Pensò che da una parte era fortunato ad aver trovato Sergio e poter fare sesso con lui, anche se gli sarebbe piaciuto di più poterlo fare con un uomo maturo. Comunque non era niente male anche farlo con Sergio.

Sentì tutti i muscoli del corpo contrarsi nell'imminenza dell'orgasmo e finalmente venne, schizzando tutto il suo seme contro le piastrelle della parete di fronte. Aveva appena lanciato l'ultimo getto, quando sentì bussare alla porta del bagno.

La voce della madre chiamò: "Amedeo? Non hai ancora finito?"

Il ragazzo si scosse, aprì di nuovo gli occhi e si rizzò. "Sì, sì mamma! Ho quasi finito. Fra poco esco." gridò in risposta, sperando che la sua voce avesse un tono normale.

Ripulì bene l'interno del box doccia assicurandosi che non vi fosse la minima traccia di quanto vi aveva fatto, chiuse l'acqua, socchiuse la porticina di vetro, allungò un braccio per prendere l'asciugamano e si asciugò i capelli e il corpo. Quindi uscì, si pettinò davanti allo specchio del lavandino, indossò la biancheria pulita e il pigiama, e uscì.

"Alla buon'ora!" gli disse la madre sulla porta. "L'hai messa la sveglia, vero?"

"Sì, sì mamma."

"Ho preparato il secchio in cucina. Quando porti su i fiori, metti bene i gambi a bagno, mi raccomando."

"Certo, mamma."

"E domattina rasati la barba!"

"Certo, mamma."

Amedeo tornò in camera, senza accendere la luce, poiché bastava il tenue chiarore che attraverso le finestre proveniva dai lampioni della via. S'infilò sotto il lenzuolo. Non aveva sonno, ma sperava di addormentarsi presto, perché diversamente temeva di non sentire la sveglia. Chi l'avrebbe sentita, la madre, se la mattina dopo non avesse trovato i fiori nel secchio in cucina? Non gli piaceva proprio per nulla dover andare a rubare i fiori in giardino ogni volta che i genitori decidevano di dare un ricevimento.

Gli occhi ancora aperti, guardava gli antichi stucchi che ornavano il soffitto e si disse che per fortuna non era possibile staccarli, o i suoi genitori avrebbero venduto anche quelli! Amedeo amava quella casa, che ricordava quando, bambino, aveva ancora le stanze arredate con bei mobili antichi, con lampadari di cristallo, quadri di famosi artisti del passato.

Alle finestre della casa erano rimaste solo le belle tende di finissimo cotone ricamate a giorno. Le contro-tende interne in velluto erano scomparse da qualche tempo: le aveva usate la madre per cucirsi vestiti alla moda... Ma dall'esterno si vedevano solo le bianche tende di cotone, quelle di velluto non erano visibili, perciò erano state tolte, nel giro degli anni. Solo nel salotto c'erano ancora le contro-tende in bel velluto azzurro.

Il pomeriggio del giorno seguente tutto era in ordine per il ricevimento. La "finta" servitù di casa era già arrivata e pronta a svolgere la sua parte. Amedeo si vergognava anche di loro, che sapevano come tutto non fosse altro che una recita.

Iniziarono ad arrivare gli invitati. Convenevoli, frasi di circostanza, banalità: anche quelle niente più che una recita.

"E così, cara Beatrice, il vostro Amedeo sta studiando legge! Sicuramente diventerà un avvocato di grido!"

"No, cara Maria-Pia, noi si pensava di farne un magistrato. Ma è ancora presto per prendere una decisione, in fin dei conti sta solo frequentando il primo anno."

"Ha già dato i primi esami?"

"Sì, e con ottimi voti, logicamente."

Poco più in là, il padre discuteva con altri uomini, di finanza.

"Hai sentito, Demetrio, che il cavalier Savino Bellucci ha ottenuto un prestito dal Monte dei Paschi per raddoppiare le installazioni delle sue industrie?"

"Bellucci? Industrie di che cosa?" chiese il conte Demetrio aggrottando la fronte per ricordare chi fosse.

"Il proprietario della IMEB." rispose il dottor Roberti, direttore generale della Mercedes Italia.

"Ah, sì, le Industrie Macchinari per l'Edilizia Bellucci, sì, certo, ne ho sentito parlare. Eh, sì, il mattone è uno dei pochi investimenti che continua a rendere. E così, caro Stefano, questo Bellucci vuole raddoppiare le sue istallazioni industriali?"

"Sì, certo. Un vero uomo di successo. A soli quarantadue anni ha saputo potenziare quanto gli aveva lasciato il padre e continua a ingrandirsi. Pensa che l'anno scorso alla festa del lavoro, il presidente della repubblica l'ha nominato cavaliere del lavoro."

"Sul Sole Ventiquattro Ore ho letto che è il sesto uomo più ricco d'Italia!" disse un altro dei gentiluomini del gruppo.

"E non è ancora sposato... farebbe gola a molte famiglie poter far sposare le loro figlie con questo Bellucci... Ma purtroppo, non hanno speranze!"

"Perché non hanno speranze?" chiese il barone Stefano Rossi della Torre.

Il dottor Roberti ridacchiò, e abbassando la voce e protendendosi verso gli altri, sussurrò: "Perché al cavaliere non piace cavalcare il gentil sesso, ma... i ragazzi!"

"Ma via!" disse il barone Stefano, "Solo perché non è sposato... e tu dai retta a queste chiacchiere? A queste maldicenze?"

Roberti scosse la testa: "Tutt'altro che chiacchiere, mio caro Stefano, te lo garantisco! Io stesso l'ho visto uscire più volte da una famosa sauna gay di Parigi che ha sede proprio di fronte ai nostri uffici! E ogni volta a braccetto con un diverso ragazzotto. Oh, beh... dopo tutto sono affari suoi, finché va con ragazzi maggiorenni e consenzienti."

Il conte Demetrio, cercando di non far notare quanto fosse interessato, chiese: "Ma, a parte certi suoi... discutibili gusti, questo cavalier Bellucci è dunque un così abile industriale? Il sesto più ricco industriale italiano?"

"Proprio così mio caro conte, proprio così!"

In un altro angolo del salotto, la vecchia duchessa Sofia Carancini di Montefiore con le due sue nipoti Angelina e Carlotta, stavano parlando con il giovane Amedeo. Con loro era anche il vecchio conte Romano, che cercava di cogliere qualche brano della conversazione.

"Ma dimmi, caro ragazzo," chiese la duchessa, "mi dice la tua mamma che oltre ad andare molto bene nei tuoi studi e fare sport, pare che tu ancora non abbia un filarino..."

"Di quale altarino parlate, duchessa?" chiese il vecchio conte con espressione interessata.

"Filarino, caro conte, filarino... un amore che sboccia!" gridò quasi la duchessa.

Amedeo si mosse a disagio sulla poltroncina di velluto azzurro. "Sono ancora troppo giovane per... per queste cose... C'è tempo per pensarci... Dopo la laurea, forse..."

"Oh, a mio parere," sentenziò la duchessa giocherellando con il pendente della sua lunga collana, "è molto meglio sposarsi giovani. Io fui data in matrimonio al mio defunto marito quando avevo quindici anni e lui diciotto... e pensa che ai nostri tempi si diventava maggiorenni a ventuno anni." La dama fece una pausa, poi riprese: "Un matrimonio lungo e felice, interrotto solo dal triste male che ha colto la vita del mio povero Carlo Filiberto or sono tre anni."

"Sì, finalmente è tornato in Italia il principe Emanuele Filiberto!" dichiarò con espressione soddisfatta il vecchio conte.

"Parlavo di Carlo Filiberto, del mio defunto marito!" urlò quasi la duchessa.

"Oh, è già partito?" chiese il conte scuotendo il capo.

Amedeo non sapeva come sottrarsi a quel tipo di conversazione alla quale la duchessa, in un modo o in un altro, girava attorno anche troppo spesso per i suoi gusti. Cercando di fare un sorriso amichevole, chiese alle due ragazze: "Avete per caso visitato la mostra degli ori ittiti al palazzo reale?"

"Non ancora. Comunque è ancora aperta per un mese, mi pare. Tu ci sei già andato?" chiese Carlotta.

"Sì, è molto bella; i pezzi sono tutti molto rari e sono esposti in modo egregio. Sono rimasto veramente sorpreso per l'abilità di quegli antichi artigiani." rispose Amedeo.

Come Dio volle, il ricevimento finì, gli ospiti si accomiatarono uno dopo l'altro dalla famiglia Marini di Vallalba e la contessa Beatrice ordinò al personale del catering di riporre quanto restava nel vecchio frigorifero e portar via tutto il vasellame e gli argenti.

Quando anche la servitù "affittata" lasciò l'appartamento, il conte Demetrio radunò la famiglia nella stanza che pomposamente chiamava il suo "studio". Ognuno si portò dietro una sedia poiché nello studio c'era solo quella del conte.

"Questo pomeriggio ho avuto una notizia assai interessante." esordì il conte. "Ascoltatemi bene: sono venuto a sapere che un certo cavalier Savino Bellucci, il sesto uomo più ricco d'Italia... è un omosessuale incallito, e che gli piacciono ragazzotti giovani."

La contessa guardò il marito un po' perplessa e chiese: "Ebbene? Non credo proprio che sia ricco perché è omosessuale... né omosessuale perché è ricco."

"Ma non capisci, cara Beatrice? Gli piacciono ragazzi giovani come il nostro Amedeo..."

"E va bene. Con ciò?" insisté la contessa chiedendosi perché il marito sembrava dare tanto peso a quel pettegolezzo.

"Giacché, data la condizione di nostro figlio e il suo fermo rifiuto di sposarsi, ci è preclusa la possibilità di farlo accasare con una ricca ereditiera... dobbiamo fare in modo che... che prenda al laccio quel cavalier Savino Bellucci... in modo che tutti noi si possa trarre profitto della sua cospicua ricchezza!"

"Ma papà!" insorse Amedeo.

"Ma papà un bel niente! Se tu fossi stato normale... cioè, voglio dire, normale come la maggioranza dei ragazzi, tua madre e io avremmo cercato di trovarti una sposa ricca. Ma siccome tu sei normale come... come il dieci per cento... che c'è di strano se tuo padre si preoccupa di trovarti un uomo ricco?"

La contessa Beatrice s'illuminò: "Tuo padre ha perfettamente ragione, Amedeo! Ma certo, ha perfettamente ragione! Dobbiamo solo fare in modo di... di farvi incontrare... e tu devi riuscire ad affascinarlo e... e compiacerlo... Sì, insomma... di farti portare a letto da quell'uomo e di farlo invaghire di te, in modo che... che apra la borsa anche con noi!"

"Mamma! Non credete che... che sarebbe... Non sappiamo che uomo sia... non so se io gli posso piacere, e se lui può piacere a me. Io non credo che... Non posso andare a trovarlo e dirgli..."

"Che uomo vuoi che sia? Non hai sentito che è il sesto uomo più ricco d'Italia? Il resto non conta no?" tagliò corto la madre.

"Comunque, per quanto sono riuscito a saperne, è un uomo di quarantadue anni al quale piace la bella vita... e che soprattutto se la può permettere. Dobbiamo solo trovare il modo di incontrarlo... di farlo venire ai nostri ricevimenti. E tu Amedeo devi fargli perdere la testa per te, tutto qui."

"Dopo tutto non ti dovrebbe essere difficile: sei un gran bel ragazzo e... e sai come... come si fa con un altro uomo, no?" gli disse la contessa con un sorriso astuto.

"Mi state spingendo fra le braccia di uno sconosciuto solo per... per i suoi soldi!" protestò il giovane in tono incredulo.

"Eh via, Amedeo! Capirei la tua contrarietà se cercassimo di sospingerti nel letto di una donna, giacché proprio non ti piacciono! E comunque, per il bene della famiglia..." gli disse il padre in tono ovvio.

"Non è che, perché mi piacciono gli uomini, io debba andare a letto con qualsiasi uomo." protestò ancora Amedeo.

"Ma non è un qualsiasi uomo! È uno dei più ricchi uomini d'Italia, ha detto tuo padre. Se anche qui da noi ci fosse il matrimonio fra uomini come in Spagna, sarebbe un normalissimo matrimonio, no?" insisté la madre. "Poiché non possiamo trovarti una sposa, dovresti esserci grato che ti stiamo trovando un... un... un amante maschio come piacciono a te!"

"Sì, certo." confermò il conte Demetrio. "Dobbiamo solo fare in modo di conoscerlo, di invitarlo, di farvi frequentare e poi sarà compito tuo riuscire a... a fare sì che s'interessi seriamente a te. L'importante non è per nulla che lui piaccia a te, ma che tu piaccia a lui. Se anche questo ti richiederà di fare qualche sacrificio... per il bene della tua famiglia... mi aspetto che tu faccia del tuo meglio."

Inutilmente Amedeo tentò di far cambiare idea ai genitori: erano entrambi più che mai decisi, e per la prima volta da quando avevano saputo che il figlio era omosessuale, ne sembravano quasi lieti.

"Sì, sì," disse la contessa Beatrice, entusiasta dell'idea, "Faremo dei sacrifici, se necessario chiederemo un prestito, e ti faremo fare un guardaroba alla moda... seducente; abiti che mettano in risalto la tua avvenenza fisica."

"Dobbiamo innanzitutto verificare quali ambienti frequenta, come fare a incontrarlo... casualmente e così fare la sua conoscenza, in modo di invitarlo e... Sì, una discreta ma accurata indagine." disse il padre.

"Forse ha anche lui un palco al teatro dell'opera." suggerì la madre. "Dobbiamo prendere informazioni... Incontrarlo al teatro dell'opera potrebbe essere un buon inizio."

"Ma non pensi, papà, che i tuoi amici che ti hanno detto che quell'uomo è gay... capiscano che state cercando di gettarmi fra le sue braccia?" obiettò ancora Amedeo.

"Oh. Beh... semplicemente non inviteremo mai il cavaliere quando invitiamo quegli altri. E poi... e poi ormai queste cose non fanno più scandalo, basta non sbandierarle ai quattro venti." affermò la contessa.

Amedeo era stato capace di far accettare ai genitori, una volta che avevano accettato "obtorto collo" la sua omosessualità, che lui non si sarebbe mai sposato, crollasse il mondo; ma ora non riusciva a trovare alcun argomento per convincerli di desistere dal loro piano. Non li aveva mai visti così eccitati, così felici all'idea che il loro rampollo potesse con le sue grazie, far tornare se non la ricchezza per lo meno il benessere nella famiglia Marini di Vallalba.

Si chiese come fosse possibile che i genitori lo considerassero, se non proprio al livello di una prostituta, per lo meno a quello di una cortigiana. Ma sentiva di non avere la forza di opporsi ai loro piani e finalmente, dopo altre discussioni, Amedeo promise loro che avrebbe fatto del proprio meglio per far perdere la testa a quel ricco industriale.


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