"Non ha un palco a teatro, ma spesso va alle prime, prendendo sempre una poltrona centrale in decima fila. Frequenta regolarmente gli impianti di tennis del parco ducale, di cui è comproprietario. Va spesso a mangiare a mezzogiorno al ristorante San Giorgio, che è vicino ai suoi uffici." elencò il conte Demetrio guardando alcuni fogli di appunti. "Possiede uno yacht su cui passa le vacanze girando il Mediterraneo, ha un aereo privato a quattro posti che a volte guida lui, a volte un suo pilota. Ha una Mercedes, una Ferrari, una Nissan-Crossover e una Nuova Panda. Inoltre, a parte il palazzo di uffici che ha qui in città, dove ha un suo pied-à-terre, possiede una villa in riva al lago di Como, che usa spesso, una in Côte d'Azur, una a Santorini e anche una in Normandia. Oltre a diverse proprietà immobiliari che dà in affitto."
"Fantastico! Ebbene, dobbiamo cercare di incontrarlo a teatro... e penso che Amedeo possa smettere di frequentare la palestra di scherma e iniziare a frequentare quel club di tennis," disse la contessa.
"Sì, certamente." assentì il conte. Poi prese una busta di carta beige e ne trasse alcune fotografie: "Ecco, guardate, questo è il cavalier Savino Bellucci."
La contessa Beatrice le prese e le esaminò, passandole al figlio. "Un bell'uomo! Non è vero, Amedeo?" esclamo in tono allegro.
Il giovane uomo le guardò e dovette ammettere che non era niente male: aveva un volto ovale, una capigliatura castana, folta e corta con una lieve scriminatura in centro, sopracciglia appena arcuate più folte verso il centro e sottili verso l'esterno, occhi castani, un naso dritto, labbra dritte e ben disegnate che in una fotografia in cui sorrideva, erano lievemente ripiegate in su, dandogli un'espressione simpatica e ai lati della bocca apparivano due leggere rughe simili a doppie parentesi tonde. Lievi rughe orizzontali di simpatia gli rigavano la fronte. Il mento appena squadrato gli dava l'aspetto di una persona volitiva, decisa.
In una delle fotografie era a piedi nudi su una spiaggia, indossava calzoni bianchi morbidi e una camicia nera aperta, che rivelava un petto appena lievemente villoso, dai muscoli ben definiti, e un ventre incavato. Amedeo pensò che se non avesse saputo che quell'uomo aveva quarantadue anni, gliene avrebbe dati al massimo trentacinque... Sì, pareva che avesse un bel corpo e che ne prendesse cura.
La madre riprese le fotografie e le mise una accanto all'altra sul piano del tavolo, osservandole ancora: "Il cavaliere ha un suo preciso stile nel vestire, come si nota da qui dove indossa abiti classici a qui dove è abbigliato in modo sportivo. Dobbiamo far fare il nuovo guardaroba per Amedeo in questo stile... solo un po' più giovanile e... e attillato, in modo che metta in risalto le sue doti fisiche. Anche i colori, vedete, sono sul classico, sempre piuttosto sobri. Domani, Amedeo, dobbiamo andare dal signor Ferlaino, farti prendere le misure e ordinargli il tuo nuovo guardaroba. Lui ci consiglierà anche un buon camiciaio. Poi dobbiamo pensare alle cravatte, alle scarpe, alle cinture... tutto quanto ti può servire per fare bella figura."
"Ma con che cosa paghiamo?" chiese Amedeo.
"È un investimento, caro Amedeo! Troverò il modo di pagare tutto... forse vendendo uno dei garage... e magari anche il secretaire del nonno, che è un autentico Maggiolini e si può vendere per una bella somma."
"Ti puoi immaginare se il nonno rinuncerà al suo prezioso secretaire!" ribatté Amedeo. "Già per vendere il suo letto avete avuto i vostri problemi!"
"In fin dei conti conviene anche a lui!" affermò la contessa Beatrice. "Comunque basta portarlo via e farlo sparire mentre tu Amedeo gli fai fare il bagno; poi potrà lamentarsi finché vorrà, ma non potrà più farci nulla! Dovrà adattarsi, come abbiamo dovuto fare tutti noi."
Amedeo smise di frequentare la palestra di scherma e, con un completo da tennista e una racchetta nuova, andò a iscriversi al club di tennis del cavalier Bellucci. Sapendo che l'industriale vi andava due volte la settimana, il martedì e il giovedì pomeriggio, chiese di andarci in quei giorni. La seconda volta che vi andava, aveva individuato il Bellucci.
Recitando la sua parte, l'aveva avvicinato: "Mi scusi, lei è un istruttore di tennis?" gli chiese.
Il Bellucci l'aveva guardato rapidamente dal capo ai piedi poi, con un sorriso, aveva risposto: "No... sono un socio del club. Ha già qualche esperienza nel campo del tennis?"
"No... sono un assoluto principiante. Per questo, sapendo che nella quota associativa sono anche comprese alcune lezioni, sto cercando uno degli istruttori. Lei saprebbe cortesemente indicarmene uno?"
"Sì, certamente. Ma se lo gradisce, potrei insegnarle io i primi rudimenti." gli disse il Bellucci con un cortese sorriso.
"Troppo gentile... non vorrei disturbarla..."
"Lo farei molto volentieri, non si preoccupi. Ma non ci si è ancora presentati. Io mi chiamo Savino Bellucci."
"Piacere. Amedeo Marini."
"Studente?" chiese l'uomo con un sorriso mentre si stringevano la mano.
"Sì, sto per terminare il primo anno di legge." rispose fremendo per la stretta decisa e virile dell'uomo.
"Bene. Se mi vuole seguire, possiamo andare su un campo libero e iniziare."
Mentre Amedeo seguiva l'uomo, ne guardava le gambe, lievemente pelose, che i bianchi calzoncini corti da tennis mostravano e pensò che anche le gambe erano belle, come le braccia che spuntavano dalla polo bianca a maniche corte.
Il Bellucci gli spiegò come impugnare la racchetta, e via via le cose fondamentali di quello sport. Quando lasciarono il campo da tennis, si davano già del tu. Amedeo pensò che quell'uomo aveva un sottile fascino e una sensualità discreta e si sentì lievemente eccitato. Si chiese come Savino potesse essere a letto... e la sua eccitazione aumentò. Verificò che i suoi calzoncini corti attillati non tradissero il suo stato.
Entrarono in due diverse docce. Amedeo si spogliò, e finalmente la sua erezione, che era stata tenuta compressa dalle mutande, saltò su dritta e fremente. Si mise sotto il getto d'acqua, s'insaponò il corpo e iniziò a masturbarsi, chiudendo gli occhi e pensando al corpo dell'uomo. Gli sarebbe piaciuto vederlo nudo! Se Savino avesse saputo fare l'amore bene, o per meglio dire come piaceva a lui, quella recita a cui peraltro si stava sottoponendo malvolentieri, poteva anche avere un suo lato piacevole.
Tornato a casa fu sottoposto a un "terzo grado" dai genitori, che volevano sapere tutto sul loro primo incontro. Amedeo fece del suo meglio per rispondere alle loro domande e si sentì vagamente infastidito per il loro insistere nel chiedergli se e come stesse allettando l'uomo.
"Non devi avere fretta a farti portare a letto, ma non devi neppure perdere troppo tempo." pontificò il padre. "Non riusciremo a sostenere a lungo le spese necessarie perché tu faccia bella figura con quel riccone!"
"Devi essere scaltro, Amedeo, far sì che si decida a raggiungere al più presto la necessaria intimità con te, senza però essere tu a offrirti a lui." rincarò la dose sua madre. "Devi suggerire senza dire, fargli capire che saresti disponibile, se ti sa prendere dal verso giusto."
"Il nonno... come ha preso la scomparsa del suo secretaire?" chiese Amedeo, per cambiare discorso.
"Oh, pare quasi che non se ne sia accorto... ormai è abbastanza svanito, grazie al cielo!" disse la contessa Beatrice facendo spallucce. "Gli basta poter dipingere le sue orribili nature morte!"
"Non sono orribili, mamma!" protestò il ragazzo. "Non saranno opere d'arte, ma non sono orribili!" insisté al sorrisetto della madre.
"Ma certamente non sono abbastanza belle da poterle vendere!" tagliò corto la donna.
Amedeo a Savino si incontravano regolarmente al tennis club, due volte la settimana, e la familiarità fra loro stava crescendo, senza però mai superare i limiti di una normale conoscenza, di un corretto rapporto cameratesco.
Al teatro dell'opera c'era la prima de "I Capuleti e i Montecchi" del Bellini. Logicamente la famiglia Marini di Vallalba, escluso il vecchio nonno Romano, si recò allo spettacolo. Durante l'intervallo, scesero tutti nel ridotto, per intessere le loro relazioni sociali. La contessa Beatrice era andata alla buvette per prendere qualcosa da bere, quando vide che c'era anche il cavalier Savino Bellucci.
Il bicchiere in mano, la dama fece in modo di portarsi alle spalle del cavaliere e, con mossa astuta, gli batté contro, rovesciandosi addosso il contenuto del bicchiere. Il cavaliere subito si girò, scusandosi.
"Oh, il mio abito!" si lamentò la contessa guardandolo con aria astutamente afflitta.
"Mi spiace immensamente, signora. La prego di perdonarmi... Come posso rimediare a questo spiacevole incidente?"
"Dovrò gettare questa mise, è completamente rovinata... l'avevo appena fatta venire da Parigi!" si lamentò la donna.
"Sono veramente desolato, signora. Se solo potessi..."
In quella, Amedeo, che aveva sentito la voce della madre lamentarsi, si era avvicinato e credendo a un reale incidente, le disse: "Mamma, che cosa è successo?"
La donna pensò che il figlio stesse astutamente recitando la sua parte. "Questo signore inavvertitamente mi ha urtata e così... guarda che disastro!"
Il cavalier Bellucci, con aria afflitta, disse: "Oh, Amedeo! Sono così confuso di aver urtato tua madre..."
La donna immediatamente disse: "Vi conoscete? Vuoi presentarmi questo signore, Amedeo?"
"Mamma, il cavalier Savino Bellucci... Savino, mia madre..." il ragazzo fece le presentazioni, sentendosi un po' a disagio per quella scena.
Bellucci abbozzò un lieve inchino: "Mi spiace di aver fatto la sua conoscenza, signora contessa, in un modo così... imperdonabilmente goffo. Ho il piacere di aver conosciuto suo figlio, poiché frequentiamo lo stesso tennis club."
Il campanello che annunciava il secondo atto suonò.
Bellucci insistette: "Vorrei davvero potermi far perdonare, signora contessa."
"Oh, via... non è un gran problema. Ha un palco, cavaliere?"
"No, sono in platea."
"Allora, se si vuol fare perdonare, perché non accetta di essere nostro ospite nel nostro palco? Dato che è amico di mio figlio."
"Troppo gentile, signora contessa... ma accetto volentieri la sua cortesia. Vorrei comunque farmi perdonare per aver rovinato il suo abito."
"Oh, non si preoccupi, lo regalerò a una delle nostre serve e ne ordinerò un altro a Parigi." disse la contessa poi, vedendo che il marito stava andando verso loro, fece le presentazioni e gli spiegò che il cavaliere e il loro figlio erano amici.
Il conte Demetrio guardò l'abito della moglie vistosamente macchiato di fronte e le chiese: "Ma che è accaduto al tuo abito nuovo?"
Bellucci, imbarazzato, intervenne subito: "È colpa mia, signor conte. Inavvertitamente ho urtato la sua gentile consorte e... Mi creda, sono profondamente desolato."
"Mah, nel nostro palco nessuno la vedrà, poi indossando il manteau... potrà tornare al nostro palazzo senza doversi vergognare. Lei è sposato, cavalier Bellucci? È qui con la sua sposa?"
"No... non sono sposato e sono solo, qui a teatro."
Terminato lo spettacolo, i genitori di Amedeo invitarono il cavaliere per un ricevimento al loro palazzo. Bellucci accettò con gratitudine.
Quando si presentò a palazzo Marini e il maggiordomo "in affitto" lo introdusse nel salotto, il cavalier Bellucci porse alla contessa un grande astuccio quadrato foderato di seta azzurra, con sopra il marchio in oro del più famoso gioielliere della città.
"Per me, cavaliere?" chiese la contessa prendendo in mano l'astuccio, senza ancora aprirlo.
"Un piccolo presente per farmi perdonare per aver rovinato il suo bel vestito, l'altra sera a teatro."
"Ma non doveva assolutamente disturbarsi..." esclamò la contessa, aprì l'astuccio e trattenne a stento un'espressione di stupore: conteneva un collier di oro bianco o di platino, con dodici gemme di diametro digradante che dovevano essere zaffiri, il più grande come una moneta da un euro! "Oh, è molto grazioso! La ringrazio, cavaliere." disse richiudendo l'astuccio e posandolo con espressione quasi indifferente su una mensola d'angolo. "Ma si accomodi, la prego!" gli disse poi, con uno smagliante sorriso.
Poi andò accanto al figlio: "E vai a sedere accanto al Bellucci, no? Datti da fare, non stare lì impalato!" gli sussurrò.
Amedeo si sentì arrossire, ma obbedì.
"Non sapevo, Amedeo, che tu vivessi in un palazzo così bello e antico!" gli disse Savino.
"Abitiamo qui da quasi trecento anni..." mormorò il giovane.
"Per fortuna tu non sei così... antico!" scherzò il cavaliere. Poi aggiunse: "Ho sempre amato e ammirato queste antiche dimore. Sei fortunato a vivere in questo palazzo. Io qui in città ho solo un piccolo pied-à-terre, un attico molto moderno e funzionale, esattamente l'opposto di questo bel palazzo."
"Ci vivi da solo?"
"Sì. Raramente ho qualche ospite."
"Amici?"
"No, più che altro qualche ospite occasionale."
"Ragazze?" chiese Amedeo, sapendo bene che non era il caso.
"No, non ragazze. Diciamo... conoscenze occasionali. Mi piacerebbe un giorno farti vedere dove vivo normalmente, quando sono in città."
"E a me piacerebbe vedere dove vivi." azzardò Amedeo, chiedendosi se non fosse un modo troppo esplicito per farsi invitare.
Passarono i camerieri con i rinfreschi, il salotto era animato, Savino e Amedeo restarono tutto il tempo uno accanto all'altro chiacchierando del più e del meno e lanciandosi lunghe occhiate. Parlarono di arte, di architettura, di storia, di letteratura. Amedeo pensò che Savino era una persona colta e molto gradevole. Si trovavano d'accordo si quasi tutto, e quando non lo erano le discussioni erano comunque pacate e gradevoli.
Quando il ricevimento terminò, poco prima di accomiatarsi, Savino disse ad Amedeo: "Ci potremo vedere solo martedì prossimo al club, perché poi devo andare per una settimana in Svizzera. Desideri che ti porti qualche cosa dalla Svizzera?"
"No, grazie... Forse una barra di cioccolato." si corresse poi, con un sorriso.
"Perché martedì prossimo, dopo il tennis, non ti fermi per un po' con me? Vorrei offrirti la cena, poi portarti a vedere dove vivo... Ti sarà possibile?"
"Credo di sì, grazie. Sarà un piacere."
"Sì, anche per me sarà un piacere, Amedeo. Mi piacerebbe se tu potessi venire con me in Svizzera... ma credo che non potrai assentarti dalle lezioni dell'università."
"Grazie. Sì hai ragione, tanto più che gli esami estivi sono vicini."
Quando la famiglia Marini di Vallalba fu sola, nuovamente i genitori di Amedeo lo subissarono di domande. Quando seppero che il martedì sera della settimana seguente il cavaliere aveva invitato a cena, e poi, soprattutto, a visitare il suo attico, ne furono felici.
"Non ti preoccupare se fai tardi... o se ti dice di fermarti a dormire da lui! Accetta, e datti da fare!" gli disse il padre.
La madre poi si ricordò del collier di zaffiri, lo prese e lo fece vedere al marito. Il conte Demetrio lo prese in mano, lo guardò con attenzione poi disse: "Con questo ci ripaghiamo tutte le spese che abbiamo fatto fino a ora. Hai avuto un'ottima idea a versarti addosso quel bicchiere al teatro. Questi sono sicuramente zaffiri birmani di prima qualità e sono anche belli grossi."
"Ma se vendete un collier così bello e particolare... e se Savino lo rivede nella vetrina di un gioielliere..." obiettò Amedeo.
"Oh, lo venderemo alla gioielleria Musso, che ha anche un negozio a Londra e uno a New York, e gli chiederemo di metterlo in vendita là e non qui in città. Non ti preoccupare, Amedeo." gli disse il padre, con un sorriso soddisfatto, riponendo il bel collier nel suo astuccio.
E venne il martedì.
Giocarono a tennis, poi andarono a fare la doccia e si cambiarono. Savino quindi lo portò in un piccolo ristorante sulla collina, dove aveva prenotato una stanzetta con un solo tavolo, apparecchiato per due, e illuminata solo da una gran quantità di candele, tutto attorno, ognuna in un vaso di vetro colorato di un diverso colore.
Amedeo pensò che era un'atmosfera magica. I camerieri ogni volta che arrivavano con una portata, bussavano. A metà cena, mentre attendevano la pietanza, Savino allungò una mano sul tavolo e la pose su quella del giovane.
"Sto molto bene con te, Amedeo." gli disse guardandolo con occhi luminosi. "Sono contento di averti conosciuto."
"Anche io..."
"Mi dispiace che per poco più di una settimana non ci potremo incontrare. È diventata una gradevole abitudine, poterti incontrare due, tre volte ogni settimana. Mi mancherai."
Amedeo non sapeva che dire. Quella mano lievemente posata sulla sua, gli stava provocando un lieve, gradevole turbamento. Poi Savino mosse lievemente le dita, intrecciandole con quelle del ragazzo. Amedeo sollevò gli occhi, sorpreso per quella mossa improvvisamente così intima, e lo guardò. Savino gli sorrise.
"Vedi, Amedeo, io..." iniziò a dire, ma in quella i camerieri bussarono lievemente alla porta. Savino immediatamente ritirò la mano, giusto in tempo prima che i camerieri aprissero la porta e servissero la pietanza.
"Brasato di cervo alla tirolese con contorno di porcini al forno e salsa di cioccolato bianco e pistacchi." annunciarono, poi si ritirarono.
Nuovamente soli, Amedeo per vincere il proprio imbarazzo disse: "Non ho mai mangiato questo piatto... la salsa di cioccolato con la carne e i funghi... mi sembra strana."
"Una ricetta particolare ma ottima, vedrai. Una specialità del cuoco, che è giovane ma uno dei migliori in Italia. Se non ti piace, puoi lasciarlo lì e ordineremo qualcos'altro."
Amedeo iniziò a mangiare poi si fermò e disse: "Un gusto molto particolare... ma veramente buono. Sì, mi piace!"
Savino sorrise: "È una ricetta speciale... un piatto che dicono sia... afrodisiaco." mormorò.
Amedeo rimase con la forchetta a mezz'aria e lo guardò, stupito. Savino gli sorrise nuovamente. Il giovane abbassò lo sguardo, lievemente confuso, ma si disse che stavano rapidamente giungendo al dunque... e si sentì eccitato alla prospettiva di poter presto scoprire come sarebbe stato Savino a letto. Ormai non aveva più dubbi.
Terminarono di mangiare in silenzio. Poi Savino firmò il conto, chiedendo che glielo addebitassero. Uscirono e con l'auto dell'uomo, scesero di nuovo in città. Giunti in centro, dove Savino aveva i suoi uffici, parcheggiò nel garage sotterraneo e con un ascensore privato salirono fino all'ultimo piano, all'attico.
Amedeo era nervoso, attendeva che Savino compisse il passo finale e se lo portasse a letto. Da una parte era eccitato e desiderava che avvenisse, ma dall'altra ora si sentiva anche più incerto di prima.
L'attico era ampio, molto ben arredato con tutti pezzi costosi di famosi designer contemporanei. Savino glielo fece visitare, e quando giunsero nella sua stanza da letto, Amedeo pensò che erano arrivati al capolinea. In centro alla stanza vi era un ampio letto circolare, con lenzuola azzurre. La stanza aveva ampie finestre su tre lati, e all'esterno si potevano intravedere i rami di alcune piante di diverso tipo.
"C'è un giardino pensile, lì fuori?" chiese Amedeo, per rompere il silenzio.
"Sì, un piccolo giardino che corre tutto intorno all'attico. Torniamo in soggiorno, ora." disse Savino.
Amedeo fu sorpreso, lievemente deluso ma anche un po' sollevato. Aveva immaginato che Savino l'avrebbe sospinto sul letto e gli sarebbe saltato addosso..
Tornati in soggiorno, Savino mise sullo stereo alcuni CD, abbassò le luci, poi invitò Amedeo a sedere con lui sul sofà. Quindi gli mise un braccio attorno alle spalle, lieve, poi gli disse in un sussurro: "Ho voglia di baciarti, Amedeo."